Relazione

Se il Grande Fratello salva la democrazia

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Nell’era della videosorveglianza di massa la democrazia può essere salvata proprio grazie al controllo che magistratura e informazione svolgono su pezzi di potere insensibili ai principi costituzionali. I casi delle violenze della polizia penitenziaria nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e dei militari della motovedetta libica sono l’ultimo esempio di controllo vigile svolto da chi lotta per la democrazia contro gli abusi.

Le telecamera della democrazia sono accese su chi violenta la Costituzione in un carcere a Santa Maria Capua Vetere. Come lo sono le telecamere delle ONG su chi infanga la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo nel mar Mediterraneo. Alcuni giudici, diversi giornalisti e molti cooperanti vigilano con coraggio e dedizione sulle nostre libertà. Accendendo la luce negli angoli più tenebrosi della nostra democrazia, la salvaguardano da chi tradendola la indebolisce. Le telecamere sono accese nelle scale e nei corridoi angusti di un carcere dove è scattata, favorita da un malsano sentimento di protezione politica, la vendetta di un pezzo dello Stato contro chi ha tentato di indebolirne l’autorità.

Sono accese nella vastità di un mare grande, ma non abbastanza da celare tutte le vergogne che in esso si consumano quotidianamente. Lì dove nell’ombra pezzi marci del potere insultano i principi dello Stato di diritto. Lì dove nello spazio indefinito di un mare, unica via di salvezza, si calpestano i valori della vita umana. Lì, per fortuna, ci sono gli occhi aperti di uomini e di istituzioni che non sono disposte a voltarsi dall’altra parte, lasciando degradare la nostra convivenza civile. Quelle telecamere accese, quegli occhi aperti oggi salvano ciò che abbiamo di più caro: la democrazia. 

Vedere uomini in divisa usare violenza su persone indifese e con i manganelli picchiare i corpi degli uomini che dovrebbero in nome del diritto custodire e riconsegnare integri al termine della pena alle famiglie e alla comunità è la sindrome di una patologia latente del nostro sistema politico. Allo stesso modo vedere altri uomini con altre divise su di una motovedetta libica, donata delle Stato italiano grazie alle tasse dei contribuenti, tentare di fermare i migranti che cercano la salvezza in Europa a colpi di mitragliatrice e con spericolati speronamenti a largo delle coste africane ci dice dell’ipocrisia occidentale nel finanziare e sostenere gli Stati cuscinetto contro i flussi migratori. Le risorse stanziate per pattugliare il mare e i confini terrestri con lo scopo di salvare vite umane sono invece usate per metterle in pericolo e in ultima istanza impedire che chi cerca pace e speranza lontano dalla propria disperazione possa raggiungere l’Europa. 

Quando gli uomini in divisa deviano dai loro compiti lo sfaldamento democratico non è un approdo impossibile dell’involuzione del potere. La storia delle democrazie fragili ci ha insegnato che i corpi militari agiscono in stretta connessione con il sentimento di protezione che avvertono giungere dal governo o da chi il potere è disposto a conquistarlo in sfregio anche delle regole democratiche.

La stagione che viviamo, vent’anni dopo il G8 di Genova, ci racconta una volta ancora che le scelte politiche non sono mai neutre. In quella circostanza ministri per la prima volta al governo dopo una storia ai margini dell’arco costituzionale dimostrarono la loro inattitudine alla gestione della responsabilità della sicurezza pubblica. La maturità democratica di un Paese è conquistata in ultima analisi quando l’offerta elettorale è composta da forze che si riconoscono pienamente nei principi costituzionali. Quando ci sono movimenti o partiti che giocano con le parole, aizzano gli istinti delle masse e di fatto indeboliscono i diritti costituzionali si dà il segnale a pezzi instabili della macchina burocratica che è possibile deviare dai propri doveri. Si dà il segnale che è possibile prendere scorciatoie per ribadire la forza dello Stato, dimenticando che uno Stato democratico è forte e sano solo se preserva sempre lo Stato di diritto.

Le telecamere del Grande Fratello nel libro di George Orwell erano accese sulle vite degli altri, di tutti gli altri per coartare qualsiasi forma di libertà in ogni individuo e consentire al potere di preservarsi a scapito di tutto, a partire dalla verità. Per nostra fortuna in questo presente reale pieno di altri difetti ma anche ricco di diversi pregi rispetto al futuro immaginifico dell’autore di 1984, altre telecamere sono accese e altre lo devono essere. Esse non puntano solo sui singoli individui, ma soprattutto sui pezzi del potere dello Stato. Se questo controllo del cittadino è la forma di maggiore tutela che si ha contro l’abuso di potere, allora si accendano tutte le telecamere necessarie.

Del resto è giunto il momento che anche in Italia come già accade in tutta Europa, ogni membro delle forze dell’ordine, che hanno una responsabilità enorme nel preservare le nostre libertà, debba essere posto sotto un vero controllo pubblico nello svolgimento delle proprie funzioni. La necessità che i comportamenti delle forze dell’ordine possano essere giudicati in base alle azioni dei singoli individui e non in base ad un arcaico spirito di corpo è indifferibile. I codici identificativi su ogni membro dei corpi di polizia è un passo necessario per tutelare ogni cittadino dai possibili soprusi del potere, ma soprattutto lo è per tutelare i tanti militari, poliziotti, carabinieri, guardie penitenziarie che hanno scelto di svolgere il loro lavoro a servizio della democrazia e contro ogni tentativo di favorire forme di potere autoritario e contrario ai principi della costituzione.

 

Antonello Barone

 

 

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