Economia

L’Ue non sa cosa impone: elettrico non significa green e i cavetti USB-C durano poco

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 30 novembre 2020

Economia

Ammettiamolo. Ormai comanda un’Unione europea sempre più impicciona su tutto, prodiga di insegnamenti che sembrano ormai rivolti ad una massa di mentecatti, ansiosa oltre misura d’imporre, e non solo agli europei, sempre nuovi standard della quale utilità si potrebbe e dovrebbe ampiamente discutere prima.

Apprendiamo in queste ore che la Commissione europea, subito assecondata dal Parlamento europeo, ha imposto il divieto di vendita di auto alimentate a benzina o gasolio a partire dal 2035. Bene, diranno molti, si mira ad un mondo più pulito! Viva Greta!

Siamo seri, suvvia… Tanta colpevolizzazione senz’appello del combustibile fossile più diffuso sul pianeta non risponde a criteri scientifici accettabili, se si considerino le alternative all’utilizzo di motori, termici e non, che dovrebbero sostituire, entro meno di quindici anni, quelli attuali.

Elettrico non significa green

Motori elettrici? Sicuri che l’enorme richiesta di energia elettrica che ne deriverebbe sia una scelta proprio green? Parrebbe vero il contrario. E dei materiali di cui sono composte batterie ed accumulatori elettrici ne vogliamo parlare?

Sono liberamente fruibili per qualunque Stato e realtà produttiva di libero mercato? Al contrario: è assolutamente evidente l’esistenza di una già ben sviluppata lobby dei detentori di “terre rare” e del litio, sostanze indispensabili per la moderna tecnologia automotive – e non solo.

Possiamo almeno dire che, a tutt’oggi, lo smaltimento degli innumerevoli scarti di lavorazione e riciclo delle batterie moderne sia meno inquinante e/o pericoloso degli scarti del ciclo produttivo del petrolio? Assolutamente no, anzi, molti esperti del settore sostengono l’esatto contrario e la soluzione tecnologica a tale effetto collaterale non sembra dietro l’angolo.

Perché i cavetti di ricarica USB-C durano poco

Consideriamo, poi, l’ultima grande trovata di questa Ue così prolifica di provvedimenti, guarda caso, sempre di divieto, di cui siamo bersaglio. Con tutti i problemi epocali che affliggono il Vecchio Continente, gli ineffabili di Bruxelles-Strasburgo hanno partorito l’ultima frescaccia, ossia l’introduzione dell’obbligo del caricabatterie unico per ogni tipo di telefono cellulare, con l’obbligo di impiegare per la connessione e ricarica dei dispositivi mobili la sola presa tipo USB-C.

Non vi annoierò con disquisizioni tecnologiche, che potrete trovare in abbondanza sui siti specializzati, ma mi limiterò a farvi una domanda: Quanto durava un cavetto di ricarica per il telefonino, fino a pochi anni fa? Anni, se non decenni. Quanto dura oggi lo stesso cavetto, rigorosamente di tipo USB-C? Pochi mesi; poi si guasta, ricarica male o niente del tutto e dobbiamo sostituirlo.

Ci sono ragioni specifiche per tale inversione in termini di durabilità ed efficienza, e mi limito a considerarne alcune, forse le più macroscopiche. Innanzitutto, consideriamo che i fili conduttori dei cavetti di connessione USB e ricarica sono fatti di rame e questa materia prima costa sempre di più, per cui i fabbricanti, cinesi in testa, tendono ad usare fili elettrici sempre più sottili per ottenere un consistente risparmio sull’impiego di rame.

Ciò già basterebbe a spiegare perché i cavetti elettrici ed elettronici durino sempre meno, ma non basta. Consideriamo che una moderna presa USB-C ha un numero di poli attivi superiore di molto ai primi cavi tipo USB, per cui, non potendo, o forse non volendo, impiegare cavi di collegamento troppo grossi – piccolo è bello, così vuole la moda dell’elettronica consumer – se in una guaina di ridottissimo diametro – parliamo di millimetri – devono trovare spazio molti più fili conduttori, l’unico rimedio è quello di ridurre il diametro dei conduttori all’interno della stessa guaina.

Questa è fisica, e, senza scomodare la Legge di Ohm ed altre che riguardano le basi dell’elettronica, potete chiedere al vostro elettricista cosa succede quando s’impieghi un filo elettrico di diametro più piccolo del dovuto, oltre che renderlo meccanicamente più esposto alle rotture con l’uso quotidiano. Non solo per questi motivi, ma principalmente per questi, i moderni cavetti di ricarica vanno ormai come il pane persino dal tabaccaio e al supermarket, perché si rompono spesso e necessitano di essere sostituiti.

Favori alla Cina?

Francamente ignoro se la Apple cederà al ricatto europeo e manderà in pensione prese e spine di ricarica del tipo “Lightning” per adeguarsi allo standard europeo USB-C, ma quale sarà la scelta del gigante di Cupertino, c’è comunque da chiedersi con quale diritto l’Unione europea, che di dispositivi radiomobile ne produce pochissimi, possa pretendere di dettare legge in termini di standard elettronici ai produttori extra-europei.

Tanto più se consideriamo che non ha mosso un dito per contrastare la ben nota marchiatura ”CE” scritta con le lettere ravvicinate, a significare China Export, invece della – confondibilissima – marcatura “C E” introdotta con la Decisione del Consiglio dell’Unione europea il 22 luglio 1993 per stabilire lo standard qualitativo comunitario vigente in Europa. Talvolta accondiscendente, per non dire inerme, altre volte intransigente ed impositiva anche fuori dei propri confini, così è l’Europa, che ci piaccia o meno.

C’è chi, giustamente, sottolinea che tanto zelo della Ue nel vietare questo o quel prodotto, in pari misura di quando vorrebbe estendere uno standard europeo che delle regole del libero mercato se ne fa un baffo, sottintenda certi favoritismi alla Cina, proprio in un campo d’importanza cruciale e strategico come quello dell’elettronica, magari in cambio di chissà quali altri “favori” potrebbe pretendere da Pechino. Ci sta: è un’ipotesi tutt’altro che peregrina e la prova provata difficilmente l’avremo.

Per quanto complessa ed articolata sia la materia degli standard qualitativi, come la normativa europea UNI – ISO e consimili, standard, perlopiù, liberamente adottati dai produttori e fornitori di servizi che aderiscono a tali regole, che è, quindi, ben altra cosa che imporre uno standard specifico per norma di legge, come l’obbligo della marcatura CE per produrre e commerciare praticamente ogni articolo.

Probabilmente si stabilirà che i cavetti di ricarica, per avere la marcatura CE, dovranno essere di quel tipo, tagliando fuori dal mercato europeo ogni altro produttore che non possa apporre il necessario simbolo “CE” ed il cerchio è chiuso, senza tanti complimenti.

Scoraggiare ricerca e sviluppo

Resta, per ultima, una domanda: siamo certi che “piallare” lo sforzo progettuale dei più disparati produttori mondiali, adattandolo alla normativa CE, e tenendo presente che proprio in Europa, parlando di telefonini, hanno il maggior numero di clienti, non si traduca nello scoraggiare la ricerca e lo sviluppo di nuovi sistemi e nuove soluzioni tecnologiche, magari ancora più efficaci e durevoli di quelli che ora vogliamo imporre.

La bellezza del libero mercato dovrebbe essere soprattutto quella, ossia nella libera concorrenza tra produttori che cercano di dare sempre il meglio ai consumatori. Ma forse è solo teoria e ben altre sono le regole di un mercato che non ha più niente da spartire con quello che gli economisti classici definivano, ossia il luogo ove l’offerta incontra la domanda. Chi siano e con quali scopi s’incontrino nel mercato odierno solo Dio lo sa.

State comunque certi che se solo la Ue provasse a imporre alle fabbriche militari di abbandonare i connettori di classe MIL a favore di questo o quel tipo di USB, ne riceverebbe una pernacchia da spettinare i commissari europei a vita.

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