Economia

Prezzi energetici elevati e industria in fuga? Colpa delle politiche green

Gianclaudio Torlizzi: l’Ue spinge al rialzo il prezzo delle quote di emissioni, per rendere le fonti rinnovabili più attraenti delle fossili, ma così fa scappare l’industria

Economia

Non solo i prezzi del gas e la guerra di Putin, ecco i danni provocati dal Green Deal europeo, principale colpevole della crisi della nostra industria e del costo ancora elevato dell’energia elettrica. Atlantico Quotidiano ne ha parlato con Gianclaudio Torlizzi, esperto di materie prime e fondatore di T-Commodity.

TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Dott. Torlizzi, può spiegarci le ragioni per cui il costo dell’elettricità resta molto elevato, nonostante il crollo del prezzo del gas?

Nessun merito del price cap

GIANCLAUDIO TORLIZZI: Osservando il tema superficialmente, potremmo illuderci di aver assistito ad un miglioramento della situazione, dato che negli ultimi due mesi il prezzo del gas è sceso di oltre 100 euro a megawattora.

Tuttavia, ci sono degli aspetti da segnalare che suggeriscono di non illudersi precocemente del superamento della crisi: in primis, è doveroso annotare come il costo attuale del gas sia diminuito a causa di fenomeni esogeni difficilmente replicabili, come l’ondata di caldo protrattasi fino all’autunno inoltrato e la decongestione delle scorte industriali, che ancora risente dei postumi del picco della crisi energetica della scorsa estate.

Per intenderci, non c’è stata alcuna efficacia politica nella “risposta europea” alla crisi ed il tanto promosso price cap non ha sortito alcun effetto nell’abbassare il prezzo.

Rischio deindustrializzazione

Inoltre, è da annotare che una base perenne del costo del gas intorno ai 50 euro al megawattora rappresenterebbe una “vittoria di Pirro”, perché l’industria europea ha usufruito per anni di un costo medio di 15 euro. Questo alimenta il rischio di una de-industrializzazione dell’Europa.

Ad esempio, la Bosch ha annunciato un graduale abbandono del vecchio continente, in favore di nazioni asiatiche o del Messico, che più convengono sul piano degli investimenti. Quando avremo una normalizzazione dell’economia ed il ritorno della Cina sul mercato europeo, il prezzo del gas tornerà a salire sicuramente.

Colpa delle politiche green

Quanto al prezzo dell’elettricità, stiamo assistendo nelle recenti settimane ad un suo preoccupante scollamento da quello del gas, a cui è pure storicamente legato. Per quale ragione? Almeno in parte a causa dell’impennata del prezzo delle emissioni di carbonio che, sull’onda delle politiche climatiche europee, ha sfiorato i 100 euro a tonnellata.

Le politiche climatiche europee hanno grande peso in questa faccenda perché la loro ratio ruota intorno alla volontà di ridurre di anno in anno l’offerta dei certificati necessari alle imprese energetiche per lo sfruttamento dei fossili, al fine di spingerne al rialzo il prezzo.

L’ideologia green che sponsorizza questi piani mira a rendere le fonti verdi più attraenti delle fonti fossili, dato che le seconde dovranno risultare insostenibili per l’industria, così da essere abbandonate.

L’abbraccio cinese

TADF: Il Green Deal europeo si sta rivelando un boomerang anche per le stesse industrie automobilistiche del nostro continente, favorendo l’ascesa cinese?

GT: Molti rappresentanti del settore automobilistico europeo hanno nelle scorse settimane iniziato a denunciare il rischio derivante dall’applicazione troppo zelante dei piani climatici, sia pure con colpevole ritardo, dato che da anni si notano i rischi per l’industria derivanti dalle politiche green.

In particolare, negli anni a sottovalutare i pericoli è stato il comparto tedesco, che ha saldato l’abbraccio con la Cina nell’illusione che il suo mercato avrebbe salvato i colossi europei. La cosa ovviamente non sta avvenendo e Pechino sta divorando il nostro mercato, data la sua competitività grazie alla convenienza dei prezzi ed all’approvvigionamento delle materie prime necessarie per le auto elettriche.

TADF: Rischiamo un futuro in cui l’auto sarà sempre più un bene di lusso, alla portata di pochi, oppure continuerà ad essere un bene di massa, grazie ai produttori cinesi che soppianteranno i nostri?

GT: Sono due scenari realistici ma che possono essere evitati, se l’Ue capisce il suo errore madornale e riforma le politiche climatiche, dando ancora dignità alle imprescindibili fonti fossili. Attualmente non esiste una tecnologia in grado di fornire elettricità green a basso costo ed in modo stabile.

Pertanto, è necessario spiegare la verità e correggere gli errori, evitando danni enormi al sistema economico, sia in chiave produttiva che di potere d’acquisto dei singoli cittadini.

Un dietrofront clamoroso

TADF: Quali potrebbero essere le soluzioni a lungo termine da attuare sul piano industriale ed economico? Ritiene realistico attendersi un ripensamento ed un cambio di passo?

GT: Credo che ci sarà un dietrofront politico abbastanza clamoroso, perché l’industria sta capendo la posta in gioco: il settore farà forti pressioni sulla politica e produrrà nei governi il timore di assistere ad un continuo depauperamento industriale, dato che con i prezzi attuali non vale la pena investire in Europa.

È necessario rimodulare il mix energetico, dando vita ad uno in cui le fonti fossili esercitino ancora un ruolo di primo piano. Inoltre, la rimodulazione va apportata anche nelle formule di attuazione di decarbonizzazione e piani green.

La difesa del dirigismo Ue

Prendiamo ad esempio gli Stati Uniti: incentivano le aziende ad investire nel green, lasciando libertà di margine e gestione alle attività economiche, mentre qui è la Commissione a gestire i fondi ed imporre paletti che danneggiano il piano stesso di transizione ecologica.

Ad esempio, le amministrazioni pubbliche non sono in grado di gestire i fondi del Pnrr ed i Paesi corrono il rischio di non riuscire neanche a spendere i soldi stanziati.

Paradossalmente, le critiche franco-tedesche agli Usa sul piano di gestione delle politiche green mostrano il bluff europeo ed il grossolano errore: che senso ha criticare gli Usa che adottano uno schema corretto sul tema? Semplicemente quello di difendere un sistema centralista e dirigista di gestione delle politiche fiscali, che è andato in tilt.

In chiusura, aggiungo che l’Italia rischia di essere esclusa da ogni eventuale piano industriale, dato che l’asse franco-tedesco sul tema si muove in modo solitario e l’Ue non permetterà al nostro Paese di sostenere le imprese in difficoltà data la rigidità in materia fiscale attuata verso gli Stati membri.

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