Da quando l’attuale amministrazione americana ha iniziato a prendere posizione contro le manifestazioni filopalestinesi nei campus universitari, ad esempio tagliando i fondi alle università troppo permissive come la Columbia, o annullando i visti per alcuni studenti stranieri, coloro che protestano sono stati dipinti dalla maggior parte dei media come delle povere vittime di una censura autoritaria. Tanto che persino Barack Obama, in un recente discorso tenuto al Hamilton College di New York, ha invitato le università a difendere la libertà accademica e a rimanere fedeli ai loro principi.
Tuttavia, quello che né Obama né la maggior parte di coloro che difendono le manifestazioni hanno detto, è che le università avevano già tradito la loro missione di difendere la libertà accademica, molto prima che Donald Trump ritornasse alla Casa Bianca. Lo hanno fatto esponendo gli studenti ebrei e filoisraeliani agli attacchi e all’emarginazione sociale da parte dei collettivi filopalestinesi, che per oltre un anno si sono comportati come se fossero i padroni degli atenei. E di fatto lo erano, considerata la negligenza dei rettori.
Aggressioni e intimidazioni
Nonostante ci sia chi ha cercato di minimizzare la violenza delle manifestazioni propal, i dati parlano chiaro: secondo un report dell’ADL (Anti-Defamation League), nel periodo che va dal 1° giugno 2023 al 31 maggio 2024 sono stati registrati 2.637 episodi di manifestazioni d’odio nei confronti d’Israele nei campus statunitensi, un aumento del 628 per cento rispetto all’anno precedente. Tra questi, figuravano 33 aggressioni fisiche, 86 appelli al boicottaggio d’Israele, 280 episodi di vandalismo, 525 episodi di minacce e molestie e 1.713 semplici manifestazioni e accampamenti.
Già il 25 ottobre 2023, neanche tre settimane dopo le atrocità commesse da Hamas in Israele, al Cooper Union College di New York diversi manifestanti filopalestinesi si misero a dare colpi contro porte e finestre della biblioteca per minacciare gli studenti ebrei che si ritrovarono asserragliati all’interno, e che poterono uscire dalla biblioteca solo quando arrivò la polizia per scortarli fuori.
Un’altra aggressione è avvenuta nell’aprile 2024, quando uno studente ebreo è stato preso a pugni in faccia in un accampamento pro-Palestina situato presso l’Università di Berkeley, in California. Il giovane è stato colpito dopo essersi rifiutato di interrompere le riprese che stava facendo, nonostante potesse farlo poiché l’accampamento era in un luogo pubblico. Mentre nel febbraio 2025, un membro del personale del Barnard College di New York è stato picchiato a tal punto da finire ricoverato in ospedale dai manifestanti filopalestinesi, che hanno fatto irruzione e occupato l’edificio principale.
I centri Hillel
Tra i principali bersagli dei manifestanti, figurano i centri dell’organizzazione Hillel, che si occupa di organizzare nei campus attività di aggregazione sociale per gli studenti ebrei. Ad esempio, nel maggio 2024 una studentessa dell’Università del Delaware venne arrestata dopo che le telecamere di sicurezza la ripresero mentre vandalizzava delle bandiere installate presso un memoriale della Shoah, realizzato all’interno del campus proprio da Hillel.
Un altro episodio si è verificato nel febbraio 2024 presso la Gallaudet University a Washington DC: mentre il centro Hillel locale stava tenendo un incontro avente come ospite un relatore israeliano, all’esterno si radunarono dei manifestanti che cercarono di far annullare l’evento scandendo slogan come “sionisti fuori dal campus ora”.
Legami con Hamas
Le associazioni studentesche filopalestinesi hanno spesso inneggiato a Hamas e agli attacchi del 7 Ottobre: la più importante del Nord America, SJP (Students for Justice in Palestine, presente oltreché negli Stati Uniti anche in Canada e Nuova Zelanda), ha in più occasioni sostenuto apertamente Hamas, tanto che nel novembre 2024 la loro sezione presente alla George Mason University in Virginia è stata sospesa dopo che la polizia ha fatto irruzione in casa del loro presidente e del suo predecessore, trovando armi da fuoco, munizioni, passaporti stranieri e materiale di propaganda, che includeva bandiere di Hamas e Hezbollah.
Proprio alla Columbia University, il primo ateneo preso di mira dal taglio dei fondi voluto dalla nuova amministrazione Usa, nell’ottobre 2024 la SJP ha commemorato l’anniversario del 7 Ottobre, descrivendo i massacri compiuti da Hamas nei kibbutz e al Nova Music Festival come “una controffensiva strategica degli oppressi contro l’aggressione imperialista”.
A marzo di quest’anno, alcuni familiari delle vittime del 7 Ottobre hanno fatto causa a quattro leader delle organizzazioni antisraeliane Within Our Lifetime, SJP, JVP e CUAD (tra questi vi è anche lo studente della Columbia Mahmoud Khalil, del quale è stata chiesta l’estradizione dagli Stati Uniti) perché, secondo loro, essi erano in combutta con Hamas, tanto da sapere in anticipo della pianificazione degli attacchi del 7 Ottobre prima ancora che questi venissero messi in atto.
Tra le prove addette dai querelanti, vi è il fatto che SJP Columbia avrebbe riattivato il suo account Instagram dopo mesi di silenzio proprio tre minuti prima che iniziassero gli attacchi, invitando i loro sostenitori a “restare sintonizzati”. E anche Shlomi Ziv, uno degli ostaggi israeliani liberati, ha raccontato che i suoi rapitori gli avevano raccontato di avere degli agenti operativi all’interno dei campus americani.
Il contesto italiano
Sebbene in Italia questo fenomeno abbia messo radici più tardi che negli Stati Uniti, anche da noi i collettivi pro-Palestina hanno preso di mira le voci dissenzienti: dopo il 7 ottobre 2023, relatori filoisraeliani sono stati più volte censurati negli atenei a causa dei collettivi pro-Palestina (è successo a David Parenzo alla Sapienza di Roma, a Maurizio Molinari all’Università di Napoli Federico II e ad associazioni filoisraeliane alla Statale di Milano). E proprio come ha fatto SJP al di là dell’Oceano Atlantico, anche l’associazione Giovani Palestinesi d’Italia ha inneggiato al 7 Ottobre, da loro definito “la data di una rivoluzione”.
Ironia della sorte, il collettivo filopalestinese che più di ogni altro ha costretto rettori e senati accademici ad accogliere le loro istanze, Cambiare Rotta, si è rivelato una minoranza rumorosa quando si è presentato alle elezioni studentesche: alla Statale, hanno preso solo il 2 per cento dei voti, e anche all’Università di Torino non sono arrivati nemmeno al 3 per cento.
Conclusioni
In definitiva, è chiaro che risulta assai ipocrita il modo in cui i media dipingono i manifestanti filopalestinesi negli atenei statunitensi come delle vittime della censura, quando quegli stessi manifestanti hanno fatto di tutto per censurare e istigare all’odio e alla violenza nei confronti di chiunque non la pensasse come loro.