Emmanuel Macron ha scelto toni duri nel suo discorso di mercoledì sera, mettendo in guardia i francesi e l’Europa intera dalla minaccia russa. Ma mentre il presidente francese alza i toni, la realtà è che siamo arrivati in ritardo. L’Europa ha iniziato a preoccuparsi della propria sicurezza solo dopo l’invasione dell’Ucraina, ignorando per anni gli avvertimenti degli Stati Uniti e in particolare di Donald Trump, che già nel 2017 chiedeva agli alleati di investire di più nella difesa.
Un ritardo che pesa. Per anni l’Europa ha dato per scontata la propria sicurezza, delegandola alla Nato e quindi agli Stati Uniti. Ma solo dopo il 2022, di fronte all’evidenza della guerra in Ucraina, i governi europei hanno iniziato ad aumentare, lievemente, i budget militari. Un passo necessario, ma che arriva con anni di ritardo rispetto alla realtà geopolitica.
Ora ci troviamo a dover colmare un gap enorme, cercando di rafforzare le nostre capacità militari in tempi brevissimi. Ma il problema non è solo economico: manca una strategia chiara su cosa vogliamo essere e quale ruolo vogliamo giocare sulla scena globale.
Tempismo sbagliato
Il presidente francese ha parlato con fermezza, dipingendo la Russia come una minaccia diretta per l’Europa. Se nessuno nega i rischi, il problema è il tempismo di questa dichiarazione.
Siamo in un momento delicato del conflitto in Ucraina. Stati Uniti e Russia hanno iniziato un primo confronto sulla possibilità di un negoziato di pace. È evidente che l’Europa non può rimanere spettatrice, ma alzare i toni contro Mosca in questo momento rischia solo di tagliarla fuori dal tavolo delle trattative.
A questo si aggiunge l’ipotesi, avanzata dallo stesso Macron, di inviare truppe europee in Ucraina una volta raggiunta la pace, con l’obiettivo di garantirne il rispetto. Un’idea che, di per sé, potrebbe avere senso se ben strutturata e condivisa, ma che rischia di complicare ulteriormente il quadro se annunciata nei tempi sbagliati.
La Russia si è già detta nettamente contraria e, in una fase in cui i primi spiragli di negoziato iniziano ad aprirsi tra Washington e Mosca, mettere sul tavolo un tema così sensibile senza un chiaro piano diplomatico rischia di irrigidire le posizioni e allontanare ancora di più l’Europa dal processo decisionale. Se l’obiettivo è essere protagonisti, serve metodo, non dichiarazioni affrettate.
Problema di credibilità
Macron parla di un’Europa più autonoma, ma oggi siamo lontani da questo obiettivo. Il problema non è solo militare, è politico. L’Europa è divisa, senza una leadership chiara e con Paesi che spesso faticano a trovare una posizione comune. Se vogliamo contare qualcosa nei negoziati, dobbiamo dimostrare di essere un attore credibile e affidabile, capace di parlare con una sola voce.
Inoltre, investire nella difesa non significa solo comprare armi: è una questione di responsabilità politica. Se l’Europa vuole essere presa sul serio dagli alleati e dai rivali, deve dimostrare di sapersi assumere impegni concreti e di non dipendere sempre dalle decisioni altrui.
Se l’Europa vuole essere protagonista, deve costruire alleanze, non solo sul piano militare ma anche diplomatico. Altrimenti, si rischia di essere più deboli, non più forti. Un’Europa che alza la voce senza un approccio preciso non viene vista come un partner serio, ma come un soggetto imprevedibile e diviso. Per essere presi sul serio, serve coerenza. Dobbiamo dimostrare che siamo in grado di agire, non solo di parlare.
Il problema più grande è che l’Europa continua a muoversi in ritardo, reagendo alle crisi invece di anticiparle. Abbiamo iniziato a parlare seriamente di difesa solo dopo il 2022. Ora Macron lancia l’allarme sulla Russia e propone l’invio di truppe in Ucraina. La difesa europea non può essere solo una risposta agli eventi. Serve una visione a lungo termine, con investimenti strutturali e una politica estera coerente.
Al tavolo delle trattative
Macron ha ragione su un punto: l’Europa deve rafforzarsi. Ma non basta dire che servono più investimenti nella difesa, e non basta fare dichiarazioni forti sulla Russia. Serve una piano su come vogliamo inserirci nel nuovo equilibrio globale.
Gli Stati Uniti stanno portando avanti il dialogo con Mosca. Se l’Europa vuole contare, deve affiancarsi a Washington in questo processo. Il rischio, altrimenti, è che la pace si decida senza di noi.
L’Ungheria, che è sempre più isolata all’interno dell’Unione europea per le sue posizioni divergenti sulla guerra in Ucraina, trova ora negli Stati Uniti un alleato pronto a collaborare. Il recente incontro tra il segretario di Stato americano, Marco Rubio, e il ministro degli esteri ungherese, Péter Szijjártó, ne è una dimostrazione. Questo contrasto evidenzia come Washington stia costruendo alleanze con i singoli stati, piuttosto che con l’Unione europea.
Il vero obiettivo non è solo rafforzarsi militarmente, ma essere parte attiva nella costruzione della pace. E questo si ottiene con strategia e diplomazia, non solo con dichiarazioni di principio.