Esteri

Starmer rimette l’Europa (e Zelensky) in pista: sostegno a Kiev ma non contro Trump

Il vertice di Londra e la “coalizione di volenterosi” nel solco dell’iniziativa di pace Usa, spingendo Zelensky a ricucire e offrendo garanzie di sicurezza europee. Meloni perfetta, Trump rimette l’accordo sul tavolo

Starmer Meloni (Skynews)

Eccellente l’esito del vertice di Londra. Mentre presumibilmente i media tradizionali si concentreranno sulla pace che deve essere “giusta e duratura”, sulla “coalizione di volenterosi” che si impegna a mandare soldati in Ucraina come forza di peacekeeping (“stivali sul terreno e aerei nei cieli”), ma con il backstop Usa, sulle garanzie di sicurezza a Kiev e sul piano per un cessate il fuoco di un mese da presentare a Washington – tutte cose importanti, per carità – ciò che a nostro avviso va notato prima di tutto dell’iniziativa del premier britannico Keir Starmer è che si muove nel solco tracciato dall’amministrazione Trump.

L’intenzione è di favorire lo sforzo di pace avviato dal presidente Usa, mettendosi a disposizione, smussando le divergenze, svolgendo un ruolo di collegamento tra le due sponde dell’Atlantico, non di sabotarlo giocando la carta Zelensky, lo strappo di venerdì scorso, come arma contundente contro Donald Trump, come purtroppo in molti in queste ore hanno dimostrato di essere interessati a fare, pensando di trarre vantaggio dalle divisioni dell’Occidente.

Non si è parlato di un’Europa che “fa da sola”, senza gli Stati Uniti, dando per scontato quindi il “disimpegno” americano dal Vecchio Continente. Non si è parlato di un “esercito comune europeo”, di un “ombrello nucleare” francese al posto di quello statunitense, né di “indipendenza” dagli Usa o quant’altro, una pericolosa deriva che lo scontro nello Studio Ovale di venerdì scorso rischiava di alimentare ulteriormente.

Indietro tutta

Come ha osservato Mario Sechi nel suo editoriale di ieri mattina, è bastata una nottata per passare “dalle vibranti proteste sui social al Zelensky indietro tutta, per riportare le madamine europee sulla terra”. “Scoperto che senza Usa si va a finire in rovina, è partito l’ordine del circolo del bridge: Volodymyr, fai pace con Donald”. Di fronte alla prospettiva concreta che lo strappo consumatosi alla Casa Bianca significasse prendere in carico da soli la guerra in Ucraina, i leader europei hanno esortato, direi quasi imposto a Zelensky di ricucire con Trump. Vedremo se e in che misura questo sarà possibile.

Ma intanto va segnalato che Starmer è riuscito a riportare in carreggiata sia il presidente ucraino, che ora si dice pronto a firmare l’accordo con gli Usa sulle risorse minerarie (come peraltro gli avevano già suggerito alcuni tra i più ferventi sostenitori dell’Ucraina, come il senatore Lindsey Graham), e a passare a colloqui “costruttivi” sul futuro, sia gli alleati europei, rinnovando il ruolo tradizionale del Regno Unito di ponte tra le due sponde dell’Atlantico, a cui si è brillantemente affiancata, con dichiarazioni bisogna dire impeccabili, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Meloni perfetta

Sia quando ha esortato a non commettere “l’errore di dividere o di favorire una divisione dell’Occidente, perché sarebbe esiziale”, e quindi a “non lasciarsi andare alle tifoserie” di fronte alla lite nello Studio Ovale, sia quando ha spiegato che “l’ipotesi di un ombrello nucleare europeo prende in considerazione un disimpegno degli Usa” e che, siccome è uno scenario che non auspica, “parlare di queste cose favorendo uno scenario che non si auspica non è una cosa intelligentissima”.

Anche se per evidenti motivi – il possesso di un arsenale nucleare – Starmer e Macron sono stati i frontman del vertice e continueranno ad essere i frontman della “coalition of the willing”, idealmente è stata Giorgia Meloni ad affiancare il premier britannico, con il quale condivide l’obiettivo di preservare il rapporto dell’Europa con gli Stati Uniti da coloro che invece già si vedevano su un cavallo bianco alla testa di un esercito comune europeo.

Vano il tentativo del corrispondente di Repubblica a Londra Antonello Guerrera di ottenere da Starmer, in conferenza stampa, una risposta che potesse confermare la tesi di una Meloni messa da parte. Ha ottenuto il contrario: il premier britannico ha sottolineato che con la presidente del Consiglio italiana ha avuto “il primo pranzo di lavoro bilaterale nella storia delle relazioni italo-britanniche” e che condivide la stessa sua visione di Stati Uniti ed Europa che devono stare insieme.

Sostegno a Kiev ma non contro Trump

Sintomatico il post su X di Enrico Letta: “Questa è leadership. Grande vedere Regno Unito e Ue (semmai Francia, ndr) guidare insieme, dalla parte giusta della storia” – sottintendendo che non è la parte di Trump e Putin. Peccato che sia l’esatto contrario: è proprio dalla parte di Trump che si è schierato il gruppo di Paesi del vertice di Londra. Non si è trattato di una “risposta” all’agguato che avrebbe subito Zelensky da quei cattivoni di Trump e Vance.

Sostegno all’Ucraina e a Zelensky sì, ma non contro Trump, non per intralciare i suoi piani, ma nel solco dell’iniziativa di pace di Trump: offrendo garanzie di sicurezza europee e un aumento delle spese militari al 3-3,5 per cento del Pil, spingendo Zelensky a ricucire e a firmare l’accordo sulle risorse minerarie, insomma a salire a bordo del treno del negoziato impostato da Washington, anziché evocare armi e battaglioni di un fantomatico esercito comune europeo pronti a sostituire gli aiuti militari Usa per continuare a combattere.

Europa partner degli Usa

La cosa importante quindi è che nonostante lo scontro di venerdì alla Casa Bianca, l’Europa che emerge dal vertice di Londra – vedremo per quanto – non vuole essere una potenza indipendente e alternativa agli Usa, come qualcuno si aspettava o avrebbe voluto, ma continuare ad essere un junior partner dell’America – solo più capace, pronta e autonoma nella propria difesa, almeno convenzionale. E ciò è buono, molto buono, non scontato vista l’isteria e l’infantilismo di questi giorni.

Un’Europa che convince Zelensky a ricucire con Washington e che si prepara a prendere in carico – con ciò che comporta a livello di responsabilità politiche e finanziarie – la sicurezza dell’Ucraina nel dopoguerra è proprio ciò che richiede e si aspetta l’amministrazione Trump.

Anche il cessate il fuoco (per un mese niente attacchi aerei, via mare e su infrastrutture energetiche, secondo l’ipotesi franco-britannica) è esattamente ciò che vuole Trump. Anche perché, finché Zelensky non decide di sedersi al tavolo e andare a vedere le carte, finché su quel tavolo sul lato dei russi non arriva un piano, una bozza di cessate il fuoco, non si potrà cominciare a testare la volontà di Putin.

Trump rilancia l’accordo

Ieri in un’intervista alla Cnn, il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz ha ribadito che “sarà l’Europa ad occuparsi della sicurezza in Ucraina”, dopo l’accordo. Il ruolo degli Stati Uniti? “Prematuro” parlarne.

Ma sempre ieri il presidente Donald Trump ha lanciato un altro segnale sulla forma che potrebbe assumere il backstop di sicurezza Usa, confermando qualcosa che aveva già evocato con Macron e Starmer al suo fianco. Sul suo profilo Truth, ha rilanciato il post pubblicato su Facebook da un tale Michael McCune, Arizona, che così commenta l’accordo sulle risorse minerarie proposto a Kiev:

Ora Zelensky non avrà altra scelta che fare marcia indietro e accettare le condizioni di Trump. Ecco la parte geniale: Trump sta effettivamente proteggendo l’Ucraina senza trascinare gli Stati Uniti in guerra. Negoziando un accordo minerario, Trump garantisce che gli americani saranno coinvolti nell’industria mineraria ucraina. Ciò impedisce alla Russia di lanciare un’invasione perché attaccare l’Ucraina significherebbe mettere in pericolo vite americane – qualcosa che costringerebbe gli Stati Uniti a rispondere. Trump ha giocato su entrambe le parti come un maestro di scacchi. Alla fine, Zelensky non avrà altra scelta che cedere, perché senza il sostegno degli Stati Uniti, l’Ucraina non può vincere una guerra prolungata contro la Russia. E una volta che le società statunitensi avranno operazioni minerarie in Ucraina, Putin non sarà in grado di attaccare senza innescare enormi conseguenze internazionali. Non sottovalutate Donald Trump. In questa partita a scacchi sta dieci mosse davanti a tutti.

Il post di Trump è chiaramente un’apertura a Zelensky: caro Volodymyr, l’accordo che avresti dovuto firmare venerdì è ancora sul tavolo ed ecco cosa significa. Trump prende in prestito le parole di McCune per dire che l’accordo fungerà da pietra angolare di una garanzia di sicurezza: “impedirebbe alla Russia di lanciare un’invasione, perché attaccare l’Ucraina significherebbe mettere in pericolo vite americane, cosa che costringerebbe gli Stati Uniti a rispondere”. Non è esplicita questa clausola nel testo, ma potrebbe esserci una sufficiente ambiguità strategica.

L’accordo è una mossa astuta da parte di Trump anche dal punto di vista interno, perché impegna a lungo termine gli Usa in Ucraina in un modo accettabile per la sua base elettorale (interesse economico: America First), e negoziale, perché è difficilmente contestabile da parte del Cremlino, non riguardando il settore della difesa.

Come abbiamo osservato, lo scontro nello Studio Ovale e la mancata firma di venerdì scorso sono un danno anche per Trump, che vede allontanarsi l’obiettivo della pace su cui ha in parte costruito la sua rielezione e su cui almeno in parte ora si gioca la sua eredità, che dipende dal se e come riuscirà a porre fine alla guerra.