Esteri

Stop armi a Israele? La scelta di campo di Biden: per Hamas

Il segnale che i molti nemici di Israele aspettavano. Non solo debolezza politica di Biden: la scuola della vittoria “impossibile”. Armi col contagocce anche a Kiev

Biden Netanyahu Israele Gaza Hamas © designer491 tramite Canva.com

E alla fine, dopo aver tenuto una linea politica solo apparentemente solida a sostegno di Israele, seguita da mille tentennamenti, Biden ha fatto una scelta di campo: per Hamas. “Ho detto chiaramente che se entrano a Rafah non fornirò le armi. Ma continueremo a garantire che Israele sia sicuro in termini di Iron Dome e della sua capacità di rispondere agli attacchi giunti di recente dal Medio Oriente”, ha dichiarato il presidente americano in un’intervista alla Cnn.

Ma nella stessa occasione ha detto anche un’altra cosa, ancora più grave, se vogliamo: “I civili sono stati uccisi a Gaza come conseguenza di quelle bombe e di altri modi in cui vengono attaccati i centri abitati”. Ciò vuol dire, non solo accusare Israele, ma anche discolpare Hamas dal suo crimine più assiduo: quello di usare i civili deliberatamente come scudi umani.

Effetti militari

Si tratta di una scelta di campo che ha effetti militari immediati: privare Israele delle armi che chiede, oggettivamente vuol dire schierarsi in difesa dei terroristi di Hamas. E politicamente parlando, è il segnale che tutti i nemici di Israele, a partire dall’Iran, attendevano: dal loro punto di vista, lo Stato ebraico, il “piccolo Satana”, sta perdendo l’appoggio del “grande Satana” statunitense.

L’ultima volta che l’ayatollah Khamenei parlò con soddisfazione dell’isolamento di Israele (erano i giorni di indignazione internazionale seguiti all’uccisione, per errore, di volontari della ong World Central Kitchen), non passò molto tempo prima che decidesse di lanciare un attacco missilistico senza precedenti contro lo Stato ebraico.

Il senatore repubblicano Lindsay Graham, giustamente indignato, ha messo in croce il generale Lloyd Austin (segretario alla Difesa) con una serie di domande ficcanti: “Lei ritiene che sia stato sproporzionato da parte degli Stati Uniti sganciare le bombe su Hiroshima e Nagasaki per porre fine alla guerra?” “Era nell’interesse americano”, ha risposto un Austin visibilmente in imbarazzo. E allora Graham lo incalza:

Quale è l’interesse di Israele? Lei crede che se potesse, il regime iraniano non ucciderebbe tutti gli ebrei israeliani? Lei crede a quello che dice Hamas quando afferma, “lo faremo ancora e ancora” (il pogrom del 7 ottobre, ndr)? Lei ritiene che Hezbollah sia una organizzazione terroristica che vuole la distruzione dello Stato ebraico? Israele è stato attaccato negli ultimi mesi da Hamas, dall’Iran e da Hezbollah, tutti intenzionati a distruggerlo, e mi viene a dire che lei vuole decidere come Israele deve combattere la guerra, quello che può e non può usare, quando chi circonda Israele vuole uccidere tutti gli ebrei? Lei mi viene a dire che se in questa guerra noi non usassimo tutte le armi, questo non manderebbe il segnale sbagliato? Se noi fermassimo le armi necessarie a eliminare chi vuole distruggere lo Stato di Israele, non pagheremo un prezzo? Tutto ciò è osceno, è assurdo! Date a Israele quello di cui ha bisogno per combattere la guerra che non può permettersi di perdere.

Confusione morale

L’amministrazione Biden era pronta da mesi a questa svolta. Troppe le pressioni interne ed esterne: le lettere di protesta da parte dei giovani funzionari della Casa Bianca, le lettere di protesta degli anziani ex funzionari, le manifestazioni pro-Palestina sempre più diffuse e violente fino alla paralisi delle università. Tutte cose note, iniziate sin dai primi colpi sparati da Israele, in risposta al pogrom di Hamas del 7 ottobre.

Così come sono note le pressioni esterne: l’Onu schierata come un sol uomo contro lo Stato ebraico, la Corte internazionale di giustizia che accoglie la denuncia per “genocidio” (!!) del Sudafrica, la stessa Corte dell’Aja che fa sapere che potrebbe spiccare mandati di cattura internazionali per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e per i vertici politici e militari delle Forze di difesa israeliane. Gli Usa stessi non si erano tirati indietro, in questo gioco al massacro, proponendo sanzioni contro alcune unità militari israeliane, considerate colpevoli di crimini di guerra, senza neppure attendere uno straccio di sentenza della magistratura di Gerusalemme (come se Israele non fosse in grado di giudicare i suoi cittadini, con una magistratura indipendente).

Questa tempesta di odio contro uno Stato aggredito brutalmente che sta combattendo una guerra difensiva, è segno di una profonda confusione morale e di un odio antisemita mai superato. Di fronte a ciò, dal leader della prima potenza mondiale, nonché leader del Mondo Libero, ci si attenderebbe almeno chiarezza. E invece vi troviamo solo un adagiamento all’immorale conformismo, per di più in ritardo.

Ipocrisia con gli Houthi

Ma l’atteggiamento remissivo di Biden non riguarda solo Israele, è una costante. Notare l’ipocrisia con cui, nell’intervista alla Cnn, distingue fra armi offensive (le bombe) e difensive (Iron Dome e altre). Quindi se Israele individua un lancio di razzi da Rafah, e ce ne sono di continuo anche in questi giorni, può intercettarli con Iron Dome, ma non può colpire il punto di origine del lancio.

Questo modo di ragionare, ricorda qualcosa? Certo: lo Yemen. Anche nello Yemen, sull’onda della protesta umanitaria internazionale, Biden ha interrotto la fornitura di armi “offensive” all’Arabia Saudita, perché i morti civili erano troppi. E per essere ancor più chiara, l’amministrazione Biden aveva anche cancellato gli Houthi, la milizia filo-iraniana locale, dalla lista nera delle organizzazioni terroriste. Gli Houthi hanno ringraziato a modo loro: bloccando il passaggio nel Mar Rosso. Un bel successo.

Armi col contagocce anche a Kiev

Ma Biden segue un ragionamento analogo anche sul fronte in cui è considerato un “falco”: l’Ucraina. Infatti, anche nella guerra per difendersi dall’invasione russa, gli ucraini potevano colpire i russi con armi di corto raggio, ma non di lungo raggio, entro il territorio nazionale e non nelle retrovie in Russia. Inizialmente, quando i russi minacciavano direttamente Kiev, non si voleva fornire agli ucraini neppure le armi pesanti, in senso lato: quindi sì ai lanciarazzi a spalla (Javelin e Stinger), ma no ad artiglieria e carri armati.

Poi è stata sdoganata l’artiglieria (ma si è dovuta attendere l’estate del 2022), ma non a lungo raggio e, in nessun caso, i carri armati. Infine, dopo lungo dibattito, sono stati sdoganati anche i carri armati. Ed era già passato un anno di guerra. Ma no agli F-16. Adesso sono stati sdoganati anche quelli, ma si dovrà attendere fino al 2025, per vederli in azione sui cieli dell’Ucraina… se ci sarà ancora un’Ucraina. In compenso, bontà loro, gli americani hanno rotto il tabù dell’artiglieria a lungo raggio e solo ora, due anni e tre mesi dopo l’inizio della guerra, inizia ad essere schierata sul campo.

Non è solo l’opposizione dei Repubblicani al Congresso (che c’è ed è grave, anche per il futuro dei Repubblicani) a determinare la contrazione degli aiuti indispensabili statunitensi alla difesa dell’Ucraina. C’è anche, a monte, la continua timidezza dell’amministrazione Biden a dare tutto il necessario per vincere la guerra.

Una linea politica remissiva che contrasta con il passato recente degli Stati Uniti. Quando Israele venne invaso nel 1973 da Egitto e Siria, nella guerra dello Yom Kippur, Nixon ordinò di organizzare subito un ponte aereo per Tel Aviv, mandando letteralmente “tutto ciò che può volare”. Una bella differenza.

La vittoria “impossibile”

Perché? È difficile credere che questa timidezza strategica sia dovuta solo a debolezza politica, ideale o di carattere del presidente Biden. Qui si vede lo zampino di una scuola strategica, dominante ormai da decenni, che considera “impossibile” la vittoria, per cui non ci sono mai vincitori e vinti, ma solo compromessi, per cui anche l’azione militare serve solo a “riportare al tavolo negoziale” l’aggressore. Per cui è giusto fornire agli alleati il minimo sindacale per sopravvivere, ma non quel che è necessario per vincere la guerra.

Si sente ripetere che sconfiggere la Russia sia impossibile: viste le sue dimensioni, le sue risorse e il suo arsenale nucleare è ragionevole credere che sia impossibile distruggerla. Però, cacciare i russi dall’Ucraina e ripristinare le frontiere internazionalmente riconosciute, o almeno ritornare alle linee del 23 febbraio 2022, non è come chiedere la testa di Putin, ma sarebbe ugualmente una vittoria strategica.

Si sente anche ripetere continuamente che sia impossibile distruggere Hamas, perché Hamas è un’ideologia e anche ammesso che lo si distrugga completamente nella Striscia di Gaza, rispunterebbe in Cisgiordania e nel resto del Medio Oriente, più forte e seguito che mai. Ma ragionando in questi termini gli Usa avrebbero dovuto rinunciare a combattere Al Qaeda in Afghanistan e l’Isis in Iraq. Distruggere la base operativa, territoriale, di un gruppo terrorista è importante, fa la differenza. Di sicuro aiuta a vincere la guerra, meglio di una politica che protegge i terroristi… dalle loro vittime.

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