Esteri

Unifil e Cpi, perché il governo Meloni sta sbandando pericolosamente

L’elezione di Trump e i successi di Israele hanno cambiato lo scenario. Perché è necessario uscire dal Trattato della Corte e riportare a casa i soldati ostaggio di Hezbollah

Meloni Netanyahu (Youtube Palazzo Chigi)

Paradossale, ma nel momento in cui il contesto internazionale dovrebbe apparire di più facile lettura per un governo di destra, il governo Meloni sembra faticare a leggere e interpretare la nuova fase che si è aperta.

L’elezione di Trump

Primo, ovviamente, l’elezione di Donald Trump. Il nuovo inquilino della Casa Bianca avrà un atteggiamento molto diverso nei confronti dell’Unione europea e delle altre organizzazioni sovranazionali. Ma questo, lungi dall’essere una grana, dovrebbe rappresentare un’occasione per un governo e una maggioranza politica che si propongono di difendere e rafforzare il principio della sovranità nazionale e di convincere Bruxelles a cambiare rotta su alcuni dossier fondamentali, come immigrazione irregolare e politiche green. A Washington non potrebbero esserne che felici.

Anche sul dossier Ucraina, l’intenzione di Trump di arrivare quanto meno ad un congelamento del conflitto, ad una assunzione di responsabilità degli alleati europei, anche passando attraverso un riarmo che inevitabilmente vorrebbe dire derogare dagli stringenti vincoli di bilancio e strumenti comuni di investimento, non dovrebbe essere vissuta con allarme e disagio. Da un ordine atlantico in Europa preminente rispetto all’ordine franco-tedesco, Roma avrebbe tutto da guadagnare.

Indubbiamente un grosso grattacapo per Scholz, che infatti ha visto già liquefarsi la sua maggioranza. Per Macron, che sembra un dead man walking, e per qualsiasi governo progressista e globalista. Non dovrebbe esserlo per un governo di destra.

I successi di Israele

Secondo, siamo lontanissimi dalla fase in cui Israele era sotto le pressioni dell’alleato Usa che gli intimava di non aprire il fronte nord con Hezbollah e persino di non avviare l’operazione a Rafah (senza la quale non sarebbe stato eliminato il capo di Hamas Yahya Sinwar).

Netanyahu ha avuto ragione a resistere, ha amichevolmente ma decisamente contravvenuto a tutti i suggerimenti dell’amministrazione Biden, più preoccupata degli effetti di politica interna, cioè delle sue chance di rielezione, che delle conseguenze per il Medio Oriente. E infatti ora quelle pressioni si sono molto affievolite. Israele ha messo a segno alcuni colpi vincenti che offrono ora l’opportunità storica di ridisegnare gli equilibri a favore dell’unica democrazia del Medio Oriente, il che a nostro avviso coincide anche con gli interessi dell’Italia.

Con le recenti prese di posizione dei ministri della difesa e degli esteri il governo Meloni rischia invece di mettersi di traverso ad un corso che non si potrebbe immaginare più favorevole.

L’ostinazione su Unifil

Veramente stentiamo a capire l’ostinazione del governo italiano nel tenere, a proprio rischio e pericolo, i nostri soldati impegnati nella missione Unifil intrappolati in mezzo a due fuochi, ostaggio di un gruppo terroristico che tutti i governi arabi della regione si augurano di vedere scomparire. Una missione tra l’altro che lo stesso ministro della difesa ha riconosciuto essere impossibile da compiere. Dio non voglia che accada qualcosa di serio ai nostri soldati. Chi credete che la gran parte dell’opinione pubblica riterrà politicamente responsabile?

Di cosa si tratta? Qual è l’interesse italiano qui? Compiacere organizzazioni internazionali sempre più screditate e anti-occidentali? Non dare un dispiacere al vero capo dell’opposizione che è al Quirinale e che effettivamente può causare parecchi grattacapi al governo? Non guastare i rapporti con i nostri amici arabi, molti dei quali non vedono affatto negativamente l’impresa di “pulizia” israeliana?

Dopo i dieci razzi di Hezbollah che nell’arco dei due giorni hanno colpito la base Unifil di Shama, con i primi soldati italiani feriti, per fortuna lievemente, il ministro Guido Crosetto anziché prendersela con Hezbollah, con il quale afferma di non volere interlocuzione, ha senza pudore chiesto a Israele di “evitare di usare le basi Unifil come scudo”, quando al contrario è Hezbollah che da vent’anni le usa come “scudo”; è Hezbollah che tutt’intorno a quelle basi ha costruito postazioni, bunker, tunnel e depositi di armi. Sotto il naso dei contingenti Unifil, italiano incluso.

Il ministro sostiene che la soluzione è “l’attuazione e applicazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il ritiro di Hezbollah dal sud del Libano e lo smantellamento delle sue infrastrutture e armi nella regione”. Ma secondo lei, ministro, è un puro caso che per vent’anni questa risoluzione sia stata disapplicata? Non c’è forse qualche membro permanente del Consiglio di Sicurezza che non ha alcun interesse alla sua applicazione, per non indebolire i suoi alleati nella regione?

Lo scenario è cambiato, occorre prenderne atto, Israele sta facendo ciò che Unifil per vent’anni non ha saputo né voluto fare. Restare è un’impuntatura che non giova a niente e nessuno.

La Cpi disarma le democrazie

Stesso discorso vale per la grottesca e vergognosa (parole del presidente Usa Joe Biden) decisione della Corte penale internazionale di emettere mandati di arresto nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della difesa Yoav Gallant.

Come osserva il board del Wall Street Journal, la decisione della Corte rappresenta un precedente in grado di “danneggiare la capacità di tutte le democrazie di difendersi” da gruppi o stati terroristici. “L’auto-immolazione della Corte penale internazionale è un’ulteriore conseguenza della politica estera di Biden che troppo spesso ha anteposto l’autorità delle istituzioni internazionali all’interesse nazionale degli Stati Uniti”.

Non potrebbe esserci osservazione più corretta e al tempo stesso più favorevole ad un governo di destra intenzionato a riportare in auge la sovranità nazionale.

Eppure, sui mandati di arresto abbiamo registrato tre posizioni diverse all’interno del governo italiano. Quella del vicepremier Matteo Salvini, a difesa di Netanyahu e contro la decisione della Corte; quella più cauta del ministro degli esteri Antonio Tajani, poi ribadita dalla premier Giorgia Meloni, di demandare ogni valutazione al G7, un consesso internazionale; e infine, quella del ministro della difesa Guido Crosetto, che pur parlando di “sentenza sbagliata” (sic! un ministro dovrebbe sapere che non è una sentenza ma una misura cautelare pre-processuale), ha avvertito “se venissero in Italia Netanyahu e Gallant dovremmo arrestarli. Non per decisione politica ma per normativa internazionale“.

E qui si arriva al punto. Il problema non è solo la immorale equivalenza stabilita dalla Corte tra Israele (un Paese pienamente democratico, aggredito, che fino a prova contraria ha operato nel rispetto del diritto di guerra), e Hamas (una organizzazione terroristica responsabile delle sofferenze dei palestinesi della Striscia di Gaza, che ha deliberatamente violato tutte le convenzioni internazionali per massimizzare il tributo di sangue dei civili).

Intervenendo a guerra in corso, quindi senza possibilità di raccogliere prove attendibili e accertare i fatti, e soprattutto su stati e territori al di fuori della sua giurisdizione, la Corte ha distorto il diritto internazionale che pretende di applicare e prevaricato i legittimi poteri dei governi aderenti al Trattato, privandoli di fatto di iniziativa diplomatica e politica.

La legge: la Corte penale internazionale ha giurisdizione solo sui suoi Stati membri, ma Israele non è uno Stato membro e Gaza non è uno Stato. Per poter procedere, i giudici hanno riconosciuto unilateralmente uno Stato palestinese che include anche Gaza.

La sovranità. L’effetto dei mandati della CPI è quello di disarmare qualsiasi democrazia occidentale nel combattere gruppi terroristici e stati canaglia. Questo precedente verrà prima o poi esteso e utilizzato politicamente contro altri Stati, che abbiano o meno aderito alla Corte. Italia inclusa, magari per i trasferimenti di migranti irregolari in Albania e i rimpatri nei loro Paesi di origine.

Come ha ricordato Marco Faraci, “l’intero sistema di diplomazia internazionale si basa su un reciproco riconoscimento di immunità tra i governanti”. Se le autorità italiane sono tenute ad arrestare il capo di governo israeliano, nel momento in cui mettesse piede in Italia, di fatto “il nostro governo viene privato del potere discrezionale minimo necessario a perseguire la propria politica internazionale”. E questo vale per tutti gli Stati aderenti. Si tratta di una gravissima e sostanziale amputazione della sovranità nazionale.

Uscire dal Trattato della Cpi

Va detto infatti che il governo potrebbe non avere nemmeno il potere di impedire l’arresto di Netanyahu, dato che secondo quanto prevede la legge, il procuratore generale della Corte d’appello di Roma può autonomamente chiederne l’arresto e i giudici della medesima Corte d’appello autorizzarlo sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale. E visto come funziona la giustizia in Italia, non ci sarebbe il minimo dubbio che lo farebbero.

Per questo, la questione che si pone non è rifiutarsi di eseguire il mandato della Cpi e garantire al premier israeliano che non verrà arrestato, cosa che potrebbe non essere nella disponibilità del governo. L’Italia e altri Paesi che desiderano mantenere relazioni cordiali e normali con Israele, senza il quale ricordiamo che non può esistere una politica mediorientale, devono uscire dal Trattato della Cpi. Si tratta tra l’altro di una organizzazione sovranazionale della quale già non fanno parte le principali potenze – Stati Uniti, Cina e Russia – e importanti stati occidentali come appunto Israele.

Imminenti sanzioni Usa

Inoltre, Donald Trump starebbe valutando sanzioni contro i funzionari della Corte penale internazionale (CPI), tra cui sanzioni personali contro il procuratore capo Karim Khan e i giudici coinvolti nella decisione su Netanyahu e Gallant.

Il candidato consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Mike Waltz, ha affermato che a gennaio ci si può aspettare una “forte risposta al pregiudizio antisemita della Cpi e (attenzione, ndr) dell’Onu”. Tagliare fuori i cento principali funzionari della Corte dal sistema bancario Usa, con tutto ciò che comporterebbe anche per i loro conti bancari europei, potrebbe paralizzarla. Ma non escluderei che l’amministrazione Trump decida già a gennaio il congelamento dei fondi Usa alle Nazioni Unite: una bomba.

A giugno la Camera a maggioranza repubblicana aveva già approvato un disegno di legge bipartisan per sanzionare la Corte penale internazionale. Il dem Chuck Schumer, su indicazione del presidente Biden, ha congelato le sanzioni al Senato per quasi sei mesi. Il senatore repubblicano Lindsey Graham sta progettando un disegno di legge che va oltre e sanziona i gruppi e le nazioni che favoriscono ed eseguono le decisioni della Cpi, e ha diffidato gli alleati Usa a rendersi complici di essa: “A qualsiasi alleato, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, se provi ad aiutare la Corte penale internazionale, ti sanzioneremo”.

Insomma, potrebbe non bastare una dichiarazione dei Paesi del G7 che si impegnino a non eseguire il mandato di arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant, perché almeno in Italia esso verrebbe eseguito dai giudici.