Politica

A mancare è l’opposizione: Pd grande malato

Mentre le opposizioni gridano alla svolta autoritaria, Giorgia Meloni si rafforza. Sui temi centrali – energia, guerra e immigrazione – sono divise e il Pd è senza identità

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“Abbocca, abbocca”, mi farfugliò l’amico nell’orecchio. Parlava dell’opposizione praticata da Pd e 5 Stelle, che ha gridato allo scandalo per ogni intervento di Palazzo Chigi, a cominciare proprio dalla scelta dell’articolo premesso a presidente del Consiglio.

Le esche

A dire il vero, appare paradossale che da dove si sostiene l’identità di genere – che una persona possa esigere di essere considerata maschio o femmina a seconda del suo attuale sentirsi – si neghi alla Meloni l’uso di tale articolo, nonostante sia stato specificato che ci si vuole riferire al ruolo e non al sesso di chi lo ricopre pro tempore.

Il che ha dato vita ad una sorta di commedia all’italiana, con una linea distintiva più o meno rispettata che attraversa i mass media a seconda della loro collocazione politica, a destra “il”, a sinistra “la”.

A seguire una pioggia battente senza interruzioni circa la nuova intitolazione di alcuni ministeri, con l’aggiunta alla parola istruzione di “merito”, che avrebbe evidenziato una scuola riproduttrice delle disuguaglianze naturali e sociali originarie; e alla parola famiglia di “natalità”, che avrebbe significato una esaltazione della vocazione univoca ed esclusiva alla maternità.

Circa la proposta di alzare la soglia del contante disponibile, che avrebbe comportato una facilitazione dell’evasione fiscale e del lavoro nero; e ancora circa la riammissione anticipata in servizio dei sanitari che si erano sottratti alla vaccinazione; e poi, circa la cancellazione delle multe imposte ai no vax, che avrebbe significato una sanatoria destinata ad abbassare la guardia rispetto al Covid.

E infine circa la norma contro i rave party, che avrebbe ben potuto essere utilizzato per impedire proteste sindacali e sociali.

La narrazione della svolta autoritaria

Tutti interventi accompagnati da un coro di riserve e critiche, come espressione di una svolta autoritaria in direzione di una democratura all’ungherese, con una elezione che, nonostante la sua scarsa rappresentatività in ragione della bassa partecipazione, verrebbe intesa come una piena legittimazione della maggioranza a fare e disfare a piacere l’articolazione costituzionale; e, comunque, come rivendicazione forte della propria identità di destra-destra, che chiaramente sottintende una destra al limite se non al di là della carta fondamentale. 

L’opposizione abbocca

Per il mio amico tutto questo era vero se guardato dal fronte dell’opposizione, però, a suo avviso si doveva spostare lo sguardo sul punto di vista di Palazzo Chigi, dove era saldamente insediata una donna aggraziata e minuta, ma astuta e determinata

Si poteva coltivare il sospetto che la Meloni volesse usare come esche parole e azioni intenzionalmente caricate, facendo concentrare l’opposizione su fatti distinti e frammentari, solo con uno sforzo ideologico riconducibili ad un unico progetto autoritario ereditato se pur alla lontana dal ventennio fascista, senza, peraltro, che la stessa opposizione né si facesse carico dei relativi problemi, né contrapponesse un progetto di società alternativo.

E l’opposizione abbocca fino a farsi scendere le esche in fondo allo stomaco, sì da esaurirsi in conati di vomito che rafforzano anziché indebolire la Meloni, tanto che nel mentre gli zelanti apologeti del resistere-resistere-resistere condividono l’ottimistica certezza che via via che la Meloni getterà la maschera la gran parte del suo elettorato le volterà le spalle, Fratelli d’Italia vola nei sondaggi fino a vedere da vicino al 30 per cento.

Opposizione divisa

Per di più il nostro presidente del Consiglio sa perfettamente che su almeno un paio di temi altamente sensibili agli occhi della c.d. opinione pubblica l’opposizione è divisa, con Pd e 5 Stelle attestati su sponde opposte su guerra e immigrazione.

Sotto la bandiera della pace, agitata da entrambe le forze politiche, c’è una sostanziale differenza di strategie, tali da assicurarla a condizione che la Federazione russa perda o vinca: il Pd, fedele alla linea europea e atlantica, sostiene che bisogni inviare le armi fino a quando perdurerà l’occupazione illegittima, scommettendo sulla sconfitta della Russia; i 5Stelle, cultori di un pacifismo senza se e ma, che non bisogni inviarle, dando per scontata la vittoria della Russia.

A sua volta, di fronte ad un’immigrazione irregolare, la riprovazione dei provvedimenti assunti dal ministro degli interni è condivisa in ragione di una comune spinta umanitaria, ma il Pd è costretto ad andare oltre – come possono non fare i 5 Stelle, ritornati ad essere un mero movimento di protesta – impantanandosi fra una sottovalutazione dei numeri e una valorizzazione degli apporti di giovani a compensazione dei nostri bassi tassi di natalità.

A soffrirne di più è il Pd – inchiodato al ruolo auto-attribuitosi da sempre di garante dell’equilibrio democratico, come se a ciò non bastasse l’accorto gioco di poteri e contropoteri iscritto nel nostro testo costituzionale e impacciato dal suo atlantismo ed europeismo a tutto tondo – tanto che i sondaggi lo danno quasi raggiunto dai 5 Stelle.

La vera partita sul caro-energia

Nel mentre la Meloni, pienamente protetta con riguardo alla Nato e alla Ue dal vero ministro degli esteri, il presidente della Repubblica, gioca tutto su quella che rappresenta la vera partita, cioè la crescita a dismisura delle bollette, vara una manovra obbligata, difficilmente contestabile, una massiccia iniezione di denaro, contando sulla buona sorte di un clima a tutt’oggi favorevole e su una tendenza alla decrescita dei prezzi del gas.

La maggioranza è salda

A poter mancare non è la maggioranza, tenuta saldamente insieme, nonostante qualche alzata di voce identitaria, dalla capacità della Meloni di sfruttare una situazione senza alternative: far cadere il governo aprirebbe la via a nuove elezioni che potrebbero premiare ancora di più Fratelli d’Italia, sì che una chiamata fuori di Lega o Forza Italia resta una pia illusione.

Anche il venir meno dei referenti personali di tali partiti, Berlusconi o Salvini, causerebbe qualche turbolenza interna, che potrà far tremare ma non collassare la coalizione, niente di più per la ricaduta delle elezioni regionali del prossimo anno, mentre resterebbe comunque un appuntamento importante quello costituito dalle elezioni europee, nella misura in cui potessero confermare il cannibalismo del partito della Meloni ai danni dei partner.

Il grande malato

A mancare è l’opposizione, con a far la parte del grande ammalato il Pd, rispetto a cui il problema del segretari per non dire quello del nome sono del tutto secondari, anche se uno frigido come Letta sarebbe difficile ritrovarlo.

La liquidazione fallimentare dell’Ulivo che ha messo capo alla fusione fredda tra ex democristiani ed ex comunisti lo ha privato di una qualsiasi precisa identità storica, occultando tale mancanza sotto la generica denominazione di forza di sinistra, democratica e progressista, ma con uno sbilanciamento del programma da una intonazione socialista ad una radicale, ben riflessa nella sua capacità di rappresentanza elettorale, massima con riguardo ai ceti abbienti delle grandi città.

Qualcuno ha ipotizzato una lenta morte per consunzione sull’esempio del partito socialista francese, ma bisognerebbe scontare la forte differenza nell’assetto istituzionale e del sistema elettorale. Non esiste ragione per augurarselo, almeno da chi scrive, favorevole ad un bipolarismo pluripartitico, che bisogna dar atto a Berlusconi di aver creato nel centrodestra, mentre latita sul centrosinistra, peraltro in entrambi i casi con un centro all’interno ridotto al lumicino.

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