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Conclusioni sull’immigrazione una scatola vuota, l’Ue ancora non c’è. L’Italia porta a casa la chiusura della falla Ong

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Dopo una lunga notte di trattative e il rischio, nella tarda serata di ieri, che saltasse tutto, il Consiglio europeo si concluderà con una dichiarazione comune. Non era scontato, ma almeno quella… che serve all’Ue a guadagnare tempo rispetto al rischio concreto di un’implosione. Probabilmente la sintesi più puntuale ed efficace, e certo non rassicurante, è quella della cancelliera tedesca Angela Merkel: un testo comune è un “buon segnale”, ma le “divisioni” restano e c’è “molto lavoro” da fare per superarle. Siamo di fronte infatti alle solite conclusioni “scatola vuota”, scritte in modo che ciascuno possa cantare vittoria. Ma di fatto, sulla difesa dei confini esterni e su una politica davvero comune e condivisa rispetto a chi arriva in Europa, l’Ue ancora non c’è, siamo distanti anni luce. Sull’immigrazione ciascuno è ancora di fatto autorizzato a procedere come vuole, con un semplice invito a cooperare “su base volontaria”. L’Italia resta isolata sulla riforma del regolamento di Dublino, com’era ampiamente prevedibile, ma non sui centri, che ora si chiamano “controllati”, e che il presidente francese Macron voleva imporre solo a noi e ai greci, e sui centri extra-Ue (che quasi tutti vogliono ma che vanno pagati). Consenso anche sulla necessità di difendere in modo “più efficace” le frontiere esterne e – l’unico aspetto dai sicuri effetti pratici – sulla condotta delle Ong, la più grave falla del sistema fino ad oggi.

Forse passerà quasi inosservato, ma se molti in Italia (e a Parigi) condannano la “linea Salvini” di chiusura dei porti alle navi Ong, andrebbe sottolineato che invece il Consiglio europeo non solo non si unisce a tale condanna, ma sostiene la fermezza del governo italiano.

L’Italia ha rischiato l’umiliazione, ma nonostante la fisiologica inesperienza, il presidente del Consiglio, e avvocato, Giuseppe Conte ha mostrato nervi saldi. Da debolezza quella del governo italiano è diventata centralità. Eravamo talmente all’angolo da anni, che non avevamo nulla da temere nel far saltare il tavolo, mentre altri avevano tutto da perdere. Il presidente francese Macron ha dovuto mettere da parte l’arroganza con cui è entrato al vertice e sostituirla in tutta fretta con un sano pragmatismo, venendo a patti con le ragioni italiane, anche perché ad andarci di mezzo rischiava di essere la cancelliera Merkel, che non si poteva proprio permettere di tornare a Berlino senza almeno un accordicchio.

La Francia ottiene i “centri controllati”, propedeutici a qualsiasi ripartizione dei richiedenti asilo e ai rimpatri dei migranti economici gestiti dall’Ue, ma comunque sempre solo su “base volontaria”. Dunque, solo i Paesi che accetteranno di aprire tali centri sul proprio territorio potranno beneficiare della ripartizione dei richiedenti asilo tra alcuni Paesi europei (sempre su base volontaria), dei fondi e della gestione Ue dei rimpatri, ma la volontarietà qui è una garanzia anche per l’Italia, che finora ha continuato ad accogliere senza limiti anche se il sistema dei ricollocamenti non ha funzionato. Inadempiente non è solo l’Ungheria di Orban, ma anche la Francia di Macron. Quindi, o i centri accetteranno di aprirli tutti gli Stati europei che si affacciano sul Mediterraneo, o probabilmente non li aprirà nessuno e si tornerà al punto di partenza. La convenienza da parte dell’Italia ad aprirli dipenderà da quali e quanti altri Paesi (anche Francia e Spagna?) li apriranno e da quali e quanti saranno disponibili ad accettare (sul serio) la ripartizione dei richiedenti asilo.

L’Italia ottiene il principio che “chi arriva in Italia, arriva in Europa” (“la sfida migratoria non è di un solo Stato membro, ma dell’Europa intera”); il controllo delle frontiere esterne Ue che deve essere “più efficace”; le “piattaforme di sbarco extra-Ue”, in Paesi terzi o di transito (ma anche qui, occorrerà la volontà politica concreta dell’Ue di andarli a trattare, pagandoli, con i governi di quei Paesi); e 500 milioni in più al Trust Fund per l’Africa che andranno in parte alla Guardia costiera libica.

Ma il principale risultato per l’Italia, l’unico forse di immediato effetto pratico, è la ratifica nelle conclusioni del Consiglio Ue (di questo si tratta, perché il fatto è già compiuto) della chiusura della falla rappresentata dalla condotta opaca delle Ong. Il porto più sicuro per i salvataggi effettuati a poche miglia dalle coste libiche, nella Sar Zone libica, non è in Sicilia, non è Malta, ma è Tripoli. “Tutte le navi che operano nel Mediterraneo (quindi anche quelle delle Ong, ndr) devono rispettare le leggi applicabili e non devono interferire con le operazioni della Guardia costiera libica”. E questo significa che i trafficanti non potranno più cavarsela mettendo in acqua gommoni da 200 euro potendo vendere ai loro “clienti” il resto della tratta verso l’Europa sulle navi Ong.

Il gruppo di Visegrad ottiene che tutto sia su “base volontaria” e che il regolamento di Dublino verrà riformato per consenso, cioè all’unanimità, e non a maggioranza. Ma è chiaro che se il sistema su base volontaria delineato decollasse (improbabile), allora Dublino sarebbe superata di fatto, seppure non a livello dei 27 stati membri ma grazie a una cooperazione rafforzata tra alcuni “volenterosi”. Volenterosi che però al momento non vediamo. Infine, la cancelliera Merkel ottiene il cosiddetto “emendamento Seehofer”, che dovrebbe bastare a salvare la GroKo dalle minacce della CSU, ma anche qui si legge un impegno in realtà piuttosto generico a “cooperare per contrastare” i cosiddetti “movimenti secondari”.

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