David Horowitz, scomparso a 86 anni il 29 aprile scorso, è stato un pensatore politico, un critico culturale nonché un brillante scrittore, che ha dedicato gran parte della sua vita a sfidare le idee della sinistra. Nessuna credenza “progressista” usciva indenne dai suoi interventi imprevedibili, iconoclasti e sfatanti.
La sua efficacia argomentativa derivava principalmente dalla conoscenza diretta della sinistra, un mondo in cui aveva militato per almeno un ventennio, donandole così la veridicità di una testimonianza.
La Nuova Sinistra
Nacque a New York, il 10 gennaio 1939, l’anno del Patto Molotov-Ribbentrop, che infranse le illusioni di molti comunisti, ma non quelle dei suoi genitori, due agenti minori dello United States Communist Party (CPUSA), che rimasero saldi nelle loro convinzioni. Horowitz si definì un “red diaper baby”, ossia un bambino cresciuto da due militanti a Sunnyside Gardens, l’enclave comunista dei Queens, resa celebre dal romanziere Jonathan Lethem.
Nel 1956, quando Horowitz aveva diciassette anni, venne diffuso clandestinamente il discorso segreto sui crimini di Stalin pronunciato dal leader sovietico Nikita Krusciov al Cremlino, che provocò una crisi tra i fedeli. I membri del partito, che in precedenza avevano liquidato come “calunnie” tutte le accuse mosse contro Stalin, non ebbero altra scelta che fare i conti con le loro illusioni. Le defezioni annientarono il CPUSA come forza rilevante nella vita politica americana, sebbene per molti fosse impossibile rinunciare fino in fondo alla fede socialista.
Horowitz, quell’anno, era una matricola della Columbia University. Lì incontrò altri “red diaper baby” determinati come lui a dare forma a una politica radicale liberata dal fardello totalitario che, a suo avviso, aveva appesantito la generazione dei suoi genitori e corrotto i loro sogni politici. Scoprì il marxismo occidentale e le altre dottrine rivoluzionarie non-bolsceviche che avrebbero costituito la spina dorsale della nascente New Left.
Si recò in Inghilterra, dove divenne discepolo e stretto collaboratore dello storico Isaac Deutscher, biografo di Trockij e Stalin. Grazie a Deutscher, Horowitz incontrò altri esponenti della sinistra britannica, tra cui il sociologo Ralph Miliband. Consumato dal pathos rivoluzionario, scrisse libri, opuscoli e manifesti, denunciò l’imperialismo occidentale e condannò la guerra del Vietnam. Una volta tornato negli Stati Uniti, divenne direttore, insieme a Peter Collier, di “Ramparts”, la pubblicazione più influente della New Left.
L’inchiesta sulle Pantere
Negli anni Settanta si avvicinò a Huey Newton, leader del Black Panther Party. Horowitz, in precedenza, aveva evitato contatti con le Pantere per via delle loro attività terroristiche, ma nel 1970 Newton annunciò la fine della lotta armata. Si ritrovò così a raccogliere fondi per acquistare una chiesa battista nel centro di Oakland, che trasformò in un “centro di apprendimento” per centinaia di bambini neri.
Nel 1974, il corpo martoriato di Betty Van Patter, contabile della scuola, venne rinvenuto galleggiante nella baia di San Francisco. La polizia era convinta che fosse stata assassinata da membri del Panther Party, ma i procuratori locali, come il governo federale, assediati dai mass media di sinistra, evitarono d’incriminare i sospettati per timore di una campagna diffamatoria “antirazzista”.
Horowitz intraprese una propria inchiesta sull’omicidio, scontrandosi con un muro di omertà e minacce. A nessuno importava davvero dell’omicidio di una donna innocente perché gli assassini erano loro amici politici. Scoprì, inoltre, che le Pantere avevano ucciso più di una dozzina di persone nell’ambito di attività criminali come estorsione, prostituzione e narcotraffico nel ghetto di Oakland.
Horowitz si rese conto che erano stati i nemici della sinistra ad aver avuto ragione nella loro valutazione delle Pantere – proprio come trent’anni prima avevano avuto ragione nel condannare l’Unione Sovietica – mentre lui e i suoi alleati avevano preso l’ennesimo abbaglio. Ne seguì un percorso di autoanalisi, autocomprensione ed epifania morale.
La svolta neocon
Al termine degli anni Settanta, dopo aver assistito anche al fenomeno dei boat-people sudvietnamiti e al massacro di circa tre milioni di cambogiani da parte degli Khmer Rossi, si rivelò nuovamente al pubblico, ma questa volta nelle vesti di pensatore anti-marxista, anti-totalitario e anti-utopico.
David Horowitz non è stato certo il primo ad aver deplorato gli effetti ammalianti di quello che Raymond Aron chiamava “l’oppio degli intellettuali”, ma a differenza, ad esempio, dei collaboratori de “Il Dio che è fallito” – Louis Fischer, André Gide, Arthur Koestler, Ignazio Silone, Stephen Spender e Richard Wright – che rimasero di sinistra, Horowitz ruppe radicalmente con la visione “progressista” del mondo, un svolta che lo accomuna a quegli intellettuali che diedero origine al movimento “neoconservatore” (Irving Kristol, Norman Podhoretz, Nathan Glazer).
L’allucinazione totalitaria
Da allora divenne un apostata. Come maestri si scelse i critici delle allucinazioni totalitarie, da George Orwell a Leszek Kołakowski – bisogna rilevare che un ruolo importante nel “risveglio” di Horowitz dai suoi sogni “rivoluzionari” va attribuito all’effetto illuminante della lettura di Kołakowski, critico implacabile delle idee socialiste. Identificò la rivolta gnostica contro la condizione umana e la cecità ideologica di fronte alla realtà come fonti del fanatismo politico.
Judith Shklar scrisse una volta a proposito del “liberalismo della paura”, una filosofia radicata nella consapevolezza che l’attacco ai valori liberali delle dottrine moniste e apocalittiche si traduce, inevitabilmente, in una catastrofe.
Il conservatorismo di Horowitz traeva ispirazione da una convinzione simile, ovvero che la tracotanza utopica e l’immanentizzazione di speranze religiose nella redazione futura fossero, sempre, foriere di disastri morali, sociali e politici.
Contro l’egemonia progressista
Negli ultimi anni condusse una battaglia spietata contro l’egemonia culturale “progressista” nella vita pubblica americana. La sua critica, che mescolava elementi di liberalismo classico, conservatorismo “burkeano” e neoconservatorismo in modo originale, fu una risposta a quello che percepiva come il crollo della vocazione centrista della politica americana e la marginalizzazione dei “liberal” determinata dall’ascesa dei “progressive”, con le loro idee radicali su razza e sesso. Considerava l’anticapitalismo, il nuovo antirazzismo, l’antisionismo come espressioni “benevole” di un profondo disprezzo per i diritti umani, l’individualismo e la libertà.
I suoi scritti sono raccolti in un’opera monumentale in più volumi, “The black book of american Left” – evidente richiamo a “Il libro nero del comunismo”, a voler sottolineare la continuità tra il marxismo-leninismo e la sinistra statunitense – un contributo indispensabile per comprendere le “tempeste ideologiche” del XX secolo e di come queste hanno turbato l’ordine americano.
Horowitz, nei suoi libri, mostra come i radicali americani condividessero le stesse passioni romantiche e fantasie di redenzione dei loro coetanei europei. I linguaggi filosofici erano diversi, naturalmente, ma l’elettrizzante desiderio di negare l’ordine esistente, a prescindere dal costo umano, era il medesimo.