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Dalla Russia alla Cina, il gioco delle spie torna alla ribalta. Il nodo 5G

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Negli ultimi tempi abbiamo assistito a un ritorno mediatico non indifferente verso il mondo dello spionaggio, quasi fossimo ritornati ai tempi della Guerra Fredda o catapultati in opere cinematografiche come la serie “007” e “Spy Game”, con Robert Redford e Brad Pitt. Ma diversamente dal periodo che deve il suo nome al giornalista americano Walter Lippmann, oggi lo spionaggio si arricchisce di nuove tecniche, trame e tecnologie.

Mosca rappresenta ancora una top player in questo settore, rendendosi protagonista di diverse vicende nell’ultimo anno. La rivelazione più recente arriva dall’Olanda, con l’intelligence militare olandese (MVID) che ha reso noto l’arresto e, successivamente, l’espulsione di quattro agenti russi lo scorso 13 aprile. I quattro infatti avrebbero tentato di hackerare i server dell’Agenzia per la proibizione delle armi chimiche (OPCW), con sede a l’Aia. L’obiettivo ha un suo perché: l’OPCW è l’ente internazionale che si è occupata ad esempio dello smantellamento dell’arsenale chimico di Assad nel 2013, dei numerosi attacchi chimici avvenuti in Siria negli ultimi anni e, infine, del caso di Sergei Skripal, l’ex spia russa avvelenata insieme alla figlia a Salisbury, Regno Unito. Proprio su quest’ultimo l’OPCW ha indagato sull’uso di un gas militare di fabbricazione sovietica, il Novichok, attraverso le analisi dei laboratori svizzeri Spiez. L’intelligence olandese ha scoperto, insieme a quella svizzera, che proprio durante le indagini agenti del GRU (il servizio d’intelligence russo) avevano tentato di hackerare i sistemi dei laboratori, forse per alterare i risultati dei test. L’azione tuttavia è fallita, con l’OPCW che ha confermato l’utilizzo del Novichok e la responsabilità di Mosca.

Tornando in Olanda, l’intelligence olandese ha dichiarato che i quattro erano specializzati in diverse aree, come cyber spionaggio, cyber guerriglia e human intelligence. Il 13 aprile sono stati colti in flagrante nei pressi dell’OPCW. Secondo le prime ricostruzioni, pare che il tentativo in Olanda sia nato dopo il fallimento di un hackeraggio remoto da Mosca. Le spie sono state espulse e spedite a Mosca, mentre l’attrezzatura utilizzata (situata in una Citroën noleggiata che usavano per gli spostamenti), è stata requisita. All’interno dell’auto sono stati trovati cellulari, computer e anche un’antenna. Secondo le prime analisi, pare che l’attrezzatura utilizzata sia la stessa usata in altri attacchi informatici, come quello durante una conferenza antidoping a Losanna (la Russia ha avuto un enorme caso di doping di stato) e anche in azioni legate all’abbattimento del volo di linea MH17 della Malaysia Airlines, partito da Amsterdam direzione Kuala Lumpur e abbattuto sopra i cieli dell’Ucraina orientale (territorio sotto l’influenza russa) il 17 luglio 2014 da un missile che, secondo le indagini di una commissione olandese (la maggioranza dei passeggeri era olandese), è stato lanciato dai separatisti ucraini, forse per errore, tramite un sistema antiaereo russo.

Le indagini hanno anche un collegamento con il caso Skripal, dovuto ad alcune somiglianze circa i numeri seriali dei documenti utilizzati dagli agenti con i presunti responsabili dell’avvelenamento dell’ex spia russa e di sua figlia. Infatti, l’identità degli avvelenatori è stata svelata dal sito investigativo Bellingcat, in collaborazione con la testata russa The Insider: si tratta infatti di Aleksander Petrov e Ruslan Borishov (conosciuti però anche con altri nomi), accusati il 5 settembre scorso dalla premier britannica May come i responsabili dell’attentato. Il giornale investigativo è riuscito a confermare le identità dei due (scoprendo anche ulteriori identità fasulle utilizzate durante gli spostamenti in Europa) tramite foto trovate su alcuni database di ex studenti militari russi e le immagini recenti dei due, fornite paradossalmente dalla stessa Russia durante un’intervista in Tv (voluta, pare, fortemente da Putin) dove i due dichiaravano di essere semplici turisti in visita a Salisbury. Altre indagini hanno ripercorso le attività dei due: tutte prove a sostegno della tesi di Londra, confermando che a cercare di ammazzare Skripal è stato il GRU, su ordine di Mosca.

La fuoriuscita di queste informazioni getta ombre sull’integrità del Cremlino e la posizione di Putin: la recente crisi di popolarità nei sondaggi e discorsi sulla sua successione (ricordiamo che il presidente russo ha da pochi giorni compiuto 66 anni) potrebbero aver aperto una competizione interna che coinvolge anche i reparti dell’intelligence, tra i più vicini alla presidenza russa. Lo scontro tra occidente e oriente pare quindi continuare, con nuovi attori come la Cina che entrano prepotentemente in questo mondo. Pechino infatti è spesso stata accusata di compiere attività di spionaggio industriale, anche in settori strategici. L’ultimo esempio ce lo fornisce l’inchiesta di Bloomberg che ha scoperto lo spionaggio cinese ai danni di circa 30 aziende americane nel 2015, tra cui Apple e Amazon, attraverso dei minuscoli chip spia inseriti nei processori dei server costruiti in Asia e poi esportati negli Stati Uniti. Nell’occhio del ciclone ci è entrata Supermicro, multinazionale statunitense leader nel settore, ma di proprietà cinese. Bloomberg ha successivamente reso noto il nome della sua fonte, Yossi Appleboum, ex membro dell’intelligence israeliana fondatore di Sepio Systems, specializzata in sicurezza hardware e incaricata da una grande compagnia di telecomunicazione statunitense (di cui non si fa il nome) di controllare le proprie macchine, riscontrando l’anomalia durante un’ispezione. Diversamente dai chip tuttavia, Appleboum afferma che in questo caso pare che sia stato manomesso il connettore ethernet, ovvero la componente che permette il collegamento dei server alla rete.

La Cina non è nuova a queste azioni: già colossi come Huawei e ZTE sono stati al centro dell’attenzione per vicende simili. Non è un caso infatti che il Pentagono, attraverso le parole del segretario della difesa Mattis, abbia vietato la vendita di cellulari di queste aziende nelle proprie basi sparse per il mondo, scelta replicata anche da Regno Unito e Australia, e, attraverso la legge di stanziamento del budget per la difesa, vietare l’acquisto di beni e servizi da entrambe. Inoltre, sempre Huawei e ZTE sono state escluse dalle gare per il 5G negli Stati Uniti e Australia per motivi di sicurezza nazionale. Proprio la Cina è anche il grande interrogativo che si pongono i servizi d’informazione italiani: la vicinanza dell’attuale governo (principalmente la componente pentastellata) a Pechino e la corsia preferenziale di Huawei per il mercato del 5G in Italia stanno preoccupando non poco gli ambienti dell’intelligence.

Il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) ha infatti ascoltato in audizione il ministro della difesa Elisabetta Trenta, discutendo presumibilmente anche della questione 5G. A breve toccherà al ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio parlare dinanzi al Copasir, in seguito anche alla sua presenza all’evento “Huawei 5G Summit” avvenuto presso la Nuova Aula dei Gruppi alla Camera dei Deputati, in compagnia di altri esponenti 5 Stelle come Virginia Raggi.

Il 5G rappresenta sicuramente una delle sfide tecnologiche del prossimo futuro, ed è probabilmente il motivo che si cela dietro la guerra commerciale tra Usa e Cina. Secondo le valutazioni dell’intelligence statunitense, i cinesi potrebbero essere tranquillamente in grado di garantire l’accesso (tramite backdoor hardware o software) all’intelligence di Pechino. Offrire la possibilità alla Cina di controllare i sistemi di reti critiche come quelle energetiche ed elettriche, o ancora automobili e attrezzature sanitarie, potrebbe essere un errore a cui difficilmente si potrebbe rimediare. Anche in Europa c’è preoccupazione per i prodotti di aziende come Huawei che potrebbero essere utilizzati dal governo cinese per attività d’intelligence, in particolare le agenzie, allarmate dall’acquisizione di società strategiche da parte di entità cinesi.

L’Italia si mostra deficitaria in questo settore, con il dossier “intelligence” che ancora tiene banco a Palazzo Chigi, dopo la fumata nera circa le nomine per i vertici delle agenzie e la mancata individuazione di un’autorità delegata del governo. Il gioco delle spie non è mai tramontato e certamente non è finito con la caduta del muro di Berlino, ma anzi ha riacquistato una vitalità che non vedeva da molti anni: è necessario quindi tenere il passo in tempi come questi, che vedono l’utilizzo di nuove tecnologie sempre più sofisticate e, al tempo stesso, sempre più vulnerabili.

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