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Il ricatto di Erdogan all’Europa (e agli Usa): immigrazione ed energia

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L’allontanamento della Turchia dal mondo occidentale, ad opera del suo presidente, continua incessante ormai da tempo. Erdogan ha decisamente incrinato qualsiasi rapporto costruitosi nel corso degli anni, partendo dall’adesione della Turchia all’Alleanza Atlantica nel 1952 e attraversando gli ultimi decenni di avvicinamento all’Unione europea; ha peggiorato inoltre i già compromessi rapporti con Grecia e Cipro, voltato le spalle agli Usa per avvicinarsi a Russia, Iran e Cina e ripescato dal cilindro un revanscismo ottomano attraverso le sue campagne militari in Siria e Iraq. Gli ultimi capitoli di questo lungo processo vedono il presidente turco minacciare l’Europa utilizzando le armi dell’immigrazione e dell’energia per rafforzare la posizione della Turchia nel Mediterraneo. 

È infatti l’energia, in particolare il gas, l’obiettivo principale della strategia di Erdogan: come affermato dal ministro dell’energia turco Fatih Dönmez, la nave Yavuz ripartirà a giorni per un secondo ciclo di perforazioni a largo delle coste di Cipro. Le rivendicazioni turche, portate avanti dallo stato fantoccio di Cipro del Nord, minacciano i piani di esplorazione energetica di Nicosia e, attraverso manovre militari della marina, impediscono alle compagnie petrolifere di portare avanti i propri progetti nella Zona Economica Esclusiva cipriota.

Tra queste abbiamo Eni, Total ed ExxonMobile: proprio Eni, nel febbraio dello scorso anno, ha assistito ad una dimostrazione di forza della marina turca, che ha impedito attraverso un blocco navale alla nave italiana Saipem 1200 di avviare le attività di esplorazione in uno dei blocchi della ZEE cipriota. L’Italia del governo Gentiloni non ha minimamente protestato (e di questo non si aveva alcun dubbio), costringendo la Saipem a rientrare. Diversamente la Francia, con la Total anch’essa vittima del bullismo turco, nel gennaio 2019 ha inviato la fregata francese Aconit per tre giorni di esercitazioni insieme alle navi militari di Cipro in funzione anti-turca. Washington e Bruxelles hanno sollecitato più volte la Turchia affinché ritirasse le sue navi dalle acque di Cipro, con l’Unione europea costretta infine ad imporre delle sanzioni contro Ankara.

Turchia che inoltre avanza pretese anche sulle ZEE della Grecia: rifiutando le disposizioni della Convenzione sul Diritto del Mare delle Nazioni Unite (UNCLOS), che Ankara non ha mai adottato, la Turchia ha avanzato pretese sull’isola greca di Kastellorizo, che dista dalla costa meridionale turca solamente 5 miglia. Secondo UNCLOS, quindi, alla Grecia viene attribuita un’area di circa 100.000 km2, tagliando di netto la ZEE turca. Utilizzando invece il sistema della linea mediana propugnata da Ankara (oggi utilizzabile, secondo l’UNCLOS, solamente per le acque territoriali), la Turchia otterrebbe completamente l’area greca a sud della penisola anatolica.

Erdogan non ha intenzione di indietreggiare ed anzi, promette battaglia: durante la cerimonia di messa in servizio della quarta corvetta TCG Kınalıada prodotta in Turchia, il presidente ha rinnovato un concetto già avanzato nel programma Vision 2023: la Turchia deve raggiungere l’autosufficienza militare e migliorare le proprie capacità di proiezione marittima. Erdogan vuole infatti una forte marina militare in grado di proiettare la propria potenza navale in tutto l’Egeo e il Mediterraneo.

Questa volontà è significativa nello scontro diplomatico che si sta sviluppando in maniera sempre più feroce tra Cipro e Turchia, che coinvolge anche Grecia, Egitto e Israele, partner energetici (e non solo) dell’isola. Un esempio è dato dalle esercitazioni aeronautiche dell’aprile 2019 svoltesi in Grecia insieme a Stati Uniti, Italia, Israele, Cipro ed Emirati Arabi Uniti, con il fondamentale apporto di Washington nell’area.

Non a caso, il presidente turco ha già avuto modo di contestare la strategia americana di rafforzare la presenza statunitense in Grecia. Dopo la visita italiana, il segretario di Stato Pompeo ha visitato infatti Montenegro, Macedonia del Nord e Grecia. Con quest’ultima, Washington punta su nuove basi militari ed esplorazioni. La Grecia si candida infatti a diventare il nuovo hub militare statunitense nel Mediterraneo: nuove basi di sommergibili, con l’espansione della già presente base di Souda Bay e del porto di Alessandropoli, più uomini, mezzi e droni, nonché assistenza e formazione per le forze militari greche. Sul fronte energetico, gli Stati Uniti saranno in prima linea nelle esplorazioni che la Grecia prevede di compiere intorno a Creta e nel Mar Ionio. Così com’è in prima linea nelle esplorazioni a largo di Cipro. A tal proposito a Washington il senatore Bob Menendez, Demoratico, e il collega Repubblicano Marco Rubio hanno presentato lo scorso aprile l’“Eastern Mediterranean Security and Energy Partnership Act of 2019”, che prevede 3 milioni di dollari di finanziamento in ambito militare per la Grecia e 2 milioni di dollari a Grecia e Cipro per l’addestramento militare.

La strategia di Erdogan si regge anche sulla debole presenza dell’Unione europea nel quadrante orientale: per rafforzare la propria posizione e far desistere Bruxelles da eventuali intromissioni, il presidente turco ha nuovamente minacciato di permettere ai rifugiati presenti in Turchia di accedere all’Europa. Dopo aver incassato nel 2016 i 6 miliardi di euro promessi dalla Germania (pagati però dall’intera Unione), Erdogan ha nuovamente battuto cassa, minacciando l’apertura dei confini con Grecia e Bulgaria in caso di nuovi movimenti migratori verso la Turchia dalla Siria. Ankara vuole infatti siglare un nuovo accordo, sostenendo di aver fermato circa 270 mila migranti verso l’Europa nel 2018 e 170 mila nel 2019.

Le provocazioni di Erdogan non sono da prendere sottogamba: nonostante gli accordi, sono già moltissimi i migranti che attraversano i confini di Grecia e Bulgaria, aumentando il flusso migratorio che segue la rotta balcanica per arrivare nell’Europa centrale ed occidentale (compresa l’Italia). Inoltre, bisogna ricordare come dalle coste turche continuano a partire imbarcazioni dirette verso le isole greche di Chios, Ko e Lesbo: proprio quest’ultima isola ha visto un grave incidente nell’hotspot di Moira, ormai al limite del collasso dopo che alcuni migranti hanno provocato incendi per protestare contro le disumane condizioni in cui vivono. A causa di questi incendi sono morti una donna e la sua bambina e altre 6 persone sono rimaste ferite.

Le azioni di Erdogan nel Mediterraneo orientale e nei rapporti con i partner della Nato aumentano sensibilmente il rischio di un’escalation che comprometterebbe definitivamente il posizionamento atlantico della Turchia. Per quanto il Paese sia strategico per gli Stati Uniti e l’Europa, non si possono accettare le continue minacce del presidente turco. Al netto di un cambio politico (cosa alquanto difficile viste le azioni ben più esplicite che Erdogan compie in patria), Europa e Stati Uniti devono far fronte comune per proteggere i propri interessi, da quelli energetici a quelli migratori.

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