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Le mosse di The Donald: proviamo a fare il punto oltre le curve di ultras

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è certamente un leader politico atipico, che non rientra fra i canoni dei conservatori classici americani, pur essendosi candidato sotto le insegne del Gop. Nulla di sorprendente, perché già in campagna elettorale si poneva in modo inedito rispetto al resto dei repubblicani e mantiene tutt’oggi questa sua, per così dire, diversità. D’altra parte, chi può stabilire quale sia il conservatore migliore e “normale” per l’America e il mondo? Non esiste una regola fissa, e infatti anche Ronald Reagan fu considerato all’inizio come uno strano conservatore, salvo poi rimanere nell’album dei più grandi statisti della storia occidentale. Senza dubbio, un certo modo di parlare e di agire, politically incorrect, fa di Trump un personaggio non sempre facile da interpretare con pacatezza e lucidità, senza tifoserie, anti o pro. Molti lo amano e altrettanti lo odiano, ma la sostanza politica delle principali scelte della Casa Bianca, sfugge sovente ai più. In tutto questo sguazza un’informazione ostile, negli USA e fuori, che predilige la distorsione della realtà. Purtroppo, bisogna dirlo, le cosiddette fake news vengono alimentate anche dallo stesso Trump, il quale molte volte ci mette del suo attraverso i suoi tweet, diciamo così, evitabili.

In ogni caso proviamo, nonostante tutto, ad analizzare le più importanti e recenti mosse politiche dell’America trumpiana, con serenità e qualche simpatia per The Donald, ma accompagnata da un’autonoma capacità di giudizio. In merito ai tanto discussi dazi su acciaio e alluminio, all’inizio si riteneva che essi fossero perlopiù rivolti alla Cina, in nome di una battaglia, giusta, per la concorrenza e la globalizzazione fra leali, ma poi, nemmeno realtà amiche come UE e Canada hanno potuto evitare l’imposizione delle gabelle trumpiane. E da ciò sono sorte molte polemiche, Trump è stato bollato come un bullo protezionista nemico del libero commercio. Si è generata una situazione paradossale in cui i socialistoidi della burocratica Europa sono sembrati più rispettosi del mercato del presidente americano. Tuttavia, si tratta di un racconto quasi opposto a quella che è la realtà. Da molto tempo, e nessuno lo dice, l’Unione europea pratica dazi non indifferenti sull’import di autoveicoli made in USA, mentre, prima dei dazi trumpiani, la produzione made in UE entrava negli States senza essere troppo colpita e infatti non sono poche le auto tedesche che circolano, oltre a quelle asiatiche, sulle strade d’oltreoceano. Trump, anziché fare il fascista autarchico come alcuni pensano, ha semplicemente reagito ad una situazione squilibrata e tutta a sfavore degli Stati Uniti. Naturalmente, se ragioniamo da un punto di vista liberale-liberista, non bisognerebbe rispondere al protezionismo di qualcuno con altro protezionismo, bensì fare il possibile per abbattere tutte le barriere commerciali.

Comunque la si pensi, Donald Trump ha espresso il desiderio di un Occidente privo di muri e gabelle a livello commerciale, sostenendo però la fattibilità di un simile scenario solo se tutti si impegnano nella stessa direzione. Del resto, l’apertura dei mercati non può essere unilaterale. Quindi i cari media non ce l’hanno raccontata proprio giusta, ma lo stesso Trump, dal canto suo, avrebbe fatto meglio a cercare un’intesa, un compromesso con Europa e Canada durante l’ultimo G7, magari evitando di maltrattare il premier canadese Trudeau. In una trattativa un po’ più seria, Bruxelles e Ottawa sarebbero andati a rimorchio di Washington, che poteva negoziare da una posizione di forza e, come scritto sopra, con molte ragioni. Tutto questo anche per preservare la solidarietà occidentale che è un valore superiore alle varie sfumature politiche e pure ai diversi presidenti o premier di turno. L’unità del mondo libero viene talvolta ignorata dalla stoltezza di un’Europa piena di problemi e contraddizioni, ma non ci si aspetta che essa venga messa a rischio dal presidente degli Stati Uniti.

Provando a rimanere sempre obiettivi e non ultras di qualcuno, dobbiamo apprezzare però l’approccio trumpiano alla questione Nato. Anche sull’argomento dell’Alleanza atlantica, la disinformazione ha colpito duro. Ogni tanto viene fuori la presunta intenzione del presidente di gettare alle ortiche la Nato o perlomeno di sfilare gli USA da essa, ma di fatto, al summit dell’Alleanza tenutosi a Bruxelles, il capo della Casa Bianca ha chiesto sostanzialmente più Nato e non meno Nato, esortando i partner europei a spendere di più in difesa in un’ottica transatlantica. Se si vuole smantellare una cosa, ben difficilmente si chiede di investire in essa. Purtroppo l’incontro di Helsinki con Vladimir Putin ha creato amarezza e malumore anche in quei settori, in America e nel mondo, che sono più vicini al presidente americano. I soliti disinformatori in servizio permanente effettivo hanno fatto la loro parte con consueta puntualità, ma Donald Trump, prima, durante e dopo Helsinki, ha offerto loro ponti dorati. Se si scrive che l’UE è addirittura “nemica” e poi si va ad incontrare Putin con palese entusiasmo, è comprensibile che poi venga detto che Trump scarica il Vecchio Continente per puntare sullo Zar di Mosca. L’Unione europea ha tantissime pecche e colpe (qui su Atlantico le conosciamo tutte), ma il presidente avrebbe potuto definirla in altro modo. È purtroppo passata l’immagine di un leader a stelle e strisce che impiega pochi secondi per litigare con gli amici tradizionali, UE e Canada, senza curarsi nemmeno di ricucire, ed è altrettanto rapido nel trovare intese con personaggi, Putin e il nordcoreano Kim, i quali finora hanno visto l’America come una potenza da attaccare in svariati modi.

Il faccia a faccia di due ore fra il presidente americano e quello russo e soprattutto la successiva conferenza stampa congiunta hanno sollevato un mare di polemiche, soprattutto negli Stati Uniti. L’indignazione non ha riguardato soltanto i Democratici, bensì pezzi importanti del Partito repubblicano. Paul Ryan, speaker repubblicano alla Camera, ha spiegato con chiarezza quanto sia ancora prematuro ritenere la Russia come un Paese amico. In effetti, Donald Trump, anziché incalzare Putin sulle tante malefatte, da Litvinenko a Skripal e passando per l’annessione della Crimea, ha praticamente dato ragione all’omologo russo in merito al Russiagate, smentendo di fatto l’operato dell’intelligence americana. Su questo è scoppiato un putiferio ed è comprensibile che sia successo. Trump può e deve legittimamente difendersi dai sospetti secondo i quali la sua vittoria elettorale sarebbe stata favorita, peraltro in maniera improbabile, da interferenze russe, ma non può mettere in discussione il lavoro degli 007 del proprio Paese, a maggior ragione in un summit internazionale con un interlocutore come Vladimir Putin. Deve essersi accorto, il presidente Trump, della gravità della situazione, ha messo la marcia indietro e meno male! Ma quando le rettifiche iniziano a diventare troppo frequenti (anche con Theresa May è stato necessario, pochi giorni fa, riformulare qualche frase), la popolarità si fa più piccina.

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