I fatti sono noti, anche se in queste prime ore mancano ancora particolari forse decisivi: c’è stata una errata comunicazione all’esterno di una chat (non scherzo, era proprio una chat) tra i massimi esponenti della sicurezza nazionale Usa al di fuori della stretta cerchia top secret statunitense a proposito dell’attacco agli Houthi in Yemen.
Volutamente tralascio i contenuti di tale goffo inoltro di dati riservatissimi ad un giornalista famoso, Jeffrey Goldberg, prestigiosa firma della rivista americana The Atlantic, sui quali si verseranno fiumi di parole – mi perdoneranno i Jalisse – da quella e da questa parte dell’Oceano, guarda caso, anch’esso Atlantico.
Sono fatti gravi, che certamente non coinvolgono soltanto le strette regole di riservatezza dell’Espionage Act americano. Vi saranno conseguenze, tanto a livello diplomatico, che dal punto di vista del prestigio e della credibilità della Casa Bianca, anche perché la parte maggiormente offesa dalle considerazioni scritte nei messaggi del vicepresidente J.D. Vance dovrebbe essere l’Europa, accusata di essere patetica e meritevole di disprezzo per la necessità di essere nuovamente difesa dagli americani.
Questa la sostanza, al netto delle considerazioni strategiche, geopolitiche e militari che sono il prevedibile terreno di ricaduta dei colpi sparati dai grandi parlatori vicini a Donald Trump.
Già qui, mio nonno avrebbe detto che “un bel tacer non fu mai scritto”. Potremmo anche aggiungere che agli amici americani verrebbe da chiedere se esista una terza via tra i discorsi da bar (ai quali tali alte cariche dovrebbero esse assolutamente estranei persino a casa loro) e i segreti di stato (che non dovrebbero essere sciorinati sui telefonini). Se la troveranno, ce ne faremo una ragione.
Da Enigma a Signal
L’aspetto che, tuttavia, ci preme di esplorare, seppure in tono distaccato, è quello che, da queste pagine, propongo ormai da diversi anni, ossia quello relativo all’irrefrenabile desiderio di comunicare, soprattutto quando esso venga veicolato tramite il web. Viviamo nell’epoca del tutti-sanno-tutto, della comunicazione tecnologica che tratta ogni più recondito e riservato argomento di stato, senza che si riesca a rendere tali comunicazioni davvero segrete.
Subito mi salta in mente l’ultimo conflitto mondiale, con l’incredibile confidenza delle forze dell’Asse nella sicurezza delle comunicazioni criptate con la famosa macchina Enigma, quando tedeschi e italiani affidavano ad essa tutti i piani operativi e militari, del tutto ignorando che, già prima del 1940, gli inglesi di Bletchtley Park stavano proseguendo con lusinghiero crescente successo alla decrittazione di tali messaggi segretissimi.
Si giunse alla totale violazione dei codici dell’Enigma, che ben possiamo dire aver giocato un ruolo determinante nel volgere della Seconda Guerra Mondiale a favore degli Alleati.
Stavolta, a Washington hanno fatto ancora peggio dei tedeschi di allora: affidando ad un social media, l’americano Signal, discorsi strategici ed esternazioni personali di rilevante interesse per i servizi segreti del mondo intero, hanno combinato un guaio che sarà assai difficile riparare senza troppi danni ed effetti collaterali.
Addirittura open source, ossia di libero accesso anche per la sua parte di codice che ne forma l’algoritmo, evidentemente, Signal è stato ritenuto sicuro e meritevole d’utilizzo per la diffusione tra i diciotto partecipanti alla conversazione (al quale si aggiunga l’intruso giornalista) di particolari abbastanza tecnici da meritare la classificazione di segretezza.
Leggerezza madornale
E qui s’inserisce un’altra considerazione: ammettiamo anche che la chat scelta (già fa orrore parlare di chat trattandosi di quegli argomenti) sia sicura dal punto di vista della criptatura end to end, ma qui la leggerezza è stata madornale: qualcuno dei partecipanti alla conversazione telematica, pare sia stato il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, per errore ha incluso nella chat un giornalista, nemmeno “amico”.
Scusate, ma qui non c’è Enigma o protocollo di criptatura che tenga: io posso anche bisbigliare qualcosa in un orecchio a qualcun altro, ma se scelgo l’orecchio sbagliato, cari miei, sono stato un fesso. Punto.
Gli scrocconi
A rincarare la dose, ci sarebbero state le pezze successive, apposte dallo stesso presidente Trump, il quale, a quanto si legge sulle agenzie di stampa, avrebbe pubblicamente condiviso l’aggettivo “scroccone” ai danni dell’Europa, con una mossa decisamente poco diplomatica.
Sapete cosa li salverà da quel pasticcio? Che la parte offesa, ossia “l’Europa”, non esiste, né come nazione o vera confederazione e men che mai come popolo.
Ci ritorneremo, perché già s’intravedono alcuni particolari, diciamo “tecnici”, che meritano ulteriore investigazione ed approfondimento.