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Il passaparola ai tempi dei social: non si può fermare con la censura

Dal telefono a barattoli ai social media, passaparola e deformazione delle notizie oggi sono su scala globale e ingestibile. Lotta alle fake news ridicola

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Ai tempi belli e poveri dei giochi inventati dai bimbi, il “telegrafo senza fili”, con il quale una frase sussurrata da orecchio a orecchio partiva da “Roma” per finire in “toma” o “coma”, il pericolo di deformare e travisare un concetto di base era alto ma gestibile.

Intanto, non si poteva allungare la breve frase di partenza con troppi elementi aggiuntivi; per quanto potessero cambiare, anche in modo sostanziale le poche parole all’inizio della linea di trasmissione, non infrequentemente la frase veniva compresa, almeno per sommi capi, anche dall’ultimo bambino.

Dal telefono a barattoli agli smartphone

Allo stesso modo, in epoche in cui ai bimbi era vietato persino rispondere al telefono in bachelite nera, posto rigorosamente in corridoio, era assai diffuso il gioco del telefono a barattoli. Due contenitori vuoti, ex passata di pomodoro, debitamente forati al fondo con un chiodo ed uniti tra loro da uno spago tenuto teso, permettevano di comunicare a distanza, anche per decine di metri, e formare un antesignano del moderno walkie talkie. Schematicamente, l’informazione partiva da un capo, veniva diffuso da un medio conduttore e giungeva al destinatario.

Nel caso del telefono senza fili, la bizzarra e comica frase finale che l’ultimo anello della catena doveva pronunciare ad alta voce, tra le spensierate risate dei ragazzi, era esclusivamente dovuta alla fretta di ritrasmettere al successivo partecipante al gioco la frase percepita a bassissimo volume dal precedente “trasmettitore” e proprio in questo stava il divertimento.

Per il telefono a barattoli, formidabile esperimento di fisica che molti avrebbero ritrovato negli studi superiori, la possibilità di stravolgere il messaggio iniziale era tutta relativa a particolari costruttivi del sistema oppure allo spago che non venisse tenuto perfettamente teso.

In entrambi i casi si trattava di innocenti ed economici giochi infantili, seppure tali amenità ricalcassero puntualmente alcuni aspetti fondamentali della teoria della comunicazione.

Oggi la telecomunicazione ha letteralmente stracciato la comunicazione e due ragazzi, seduti l’uno di fronte all’altro in pizzeria, parlano tra loro inviandosi messaggi social col telefonino. Diciamo subito che tra le frasi sussurrate in fretta, barattoli di conserva e tutti gli ammennicoli del passato e la pratica della comunicazione del terzo millennio, i punti in comune sono davvero pochi, anche se, almeno dal punto di vista concettuale, più che da quello strutturale, non mancano curiose analogie e motivi di approfondimento che permettano di tratteggiare alcuni grandi problemi che affliggono il mondo della comunicazione, prioritari e meritevoli di strutture ad hoc che ne regolamentino e sorveglino un funzionamento “corretto”.

Il passaparola ai tempi di internet

Ciò premesso, è utile esaminare in generale l’interscambio delle nozioni, così come lo vediamo in questi anni, largamente più comunicativo che cognitivo in senso stretto. Lì ritroviamo il passaparola e persino il filo tenuto più o meno teso tra due barattoli, caratteristiche applicabili, nemmeno troppo in astratto, all’imperatore della comunicazione, ossia internet.

Inutile negarlo: la quasi totalità delle informazioni che si scambiano nella società attuale passano attraverso il web, quando, addirittura non siano nate in qualche angolo celato del web, con un processo generativo alquanto incerto ed ancora non compiutamente indagabile dagli analisti della scienza delle comunicazioni.

Purtroppo, oggi non si tratta di riferire al meglio quanto si sia appreso da altri, con la regola non scritta di sforzarsi di riferirlo letteralmente e senza aggiunte personali; al contrario, parrebbe che propalare qualcosa senza aggiungervi un quid di proprio sia persino scorretto, come fosse un mero “copia e incolla” e, di conseguenza, non risponderebbe alle regole della buona comunicazione.

Se, per fare un esempio banale, prendessimo le tante rassegne stampa sul web, potremmo leggere titoli diversissimi per la stessa notizia di cronaca e con un taglio, tutt’altro che inconsapevole, che sembra voler indirizzare il lettore a formarsi quell’opinione personale che maggiormente asseconda la linea politica principale di quella fonte di stampa. Si ride dei toni enfatici dei cinegiornali Luce del ventennio, controllati dal Minculpop, ma non si ride altrettanto nel riferire titoli bislacchi e gonfiati che, di bocca in bocca, portano a conclusioni popolari che stanno ad anni luce dalla cruda realtà dei fatti, quella che dovrebbero raccontare i media.

Esattamente così: oggi contano più i titoli dei contenuti, forse perché sono i soli che la maggioranza dei lettori frettolosi leggano ormai di un giornale, stampato o trasmesso che sia. Siamo giunti al paradosso di un singolo titolo di stampa che può costare un’indagine penale o far crollare la popolarità di un leader.

L’effetto moltiplicatore del web

Non sembrerebbe dunque cambiato un granché dai tempi della dittatura, ma non andiamo di corsa negli accostamenti e non trascuriamo il fattore “moltiplicatore” del sistema web.

Prima dell’avvento di internet, unico evento di natura epocale degli ultimi secoli, poteva capitarmi di leggere al bar (per il tempo di un caffè e del pezzetto di focaccia che ogni ligure ritiene indispensabile al mattino) e, mettiamo, mi capitava un titolo truffaldino e fazioso; al massimo correvo il rischio di farmi un’idea sbagliata e la cosa poteva riguardare quelle poche persone del mio stretto entourage o poco più.

Nulla avrei potuto aggiungere di mio, errori di interpretazione compresi, comunque, men che mai, avrei potuto diffonderlo nel mondo intero, senza alcuno scrupolo e del tutto gratis. Oggi si legge sui social una notizia e, pur senza conoscerne e verificare la fonte esatta, la si ripropone a tutti i propri conoscenti con un semplice “clic” magari corredata di tanto di propria interpretazione “a muzzo”, con relativo, catastrofico, effetto domino. Capiamo la differenza?

La ridicola lotta alle fake news

È del tutto risibile creare apposite strutture pubbliche, se non altrettanto inutili ministeri, per combattere le c.d. fake news se non si considera l’unica ragione (che si chiama, appunto, “ragione” e non “pensiero a casaccio”) che sta alla fonte delle notizie false, distorte, create ad arte che si vorrebbero combattere.

Suvvia, non facciamo gli sciocchini: abbiamo creato una macchina formidabile, la più grande della storia per diffusione ed accessibilità, che si chiama internet, spendiamo per diffonderla capillarmente somme di danaro che potrebbero, se non azzerare, almeno dare una bella mazzata alla fame nel mondo e poi, belli freschi, veniamo a raccontare la storiella della lotta alle fake news? Magari proprio da parte di chi sostiene la piena libertà di espressione del pensiero o da certi socialturboliberali di oggi?

E chi dovrebbe controllare, con quali mezzi pratici, che un utente qualsiasi nel mondo, con un telefonino da due soldi, possa postare su un social che conta ormai come un ufficio stampa governativo qualsiasi cretinata abbia inventato o che gli sia stata raccontata? Come non chiamare censura qualsiasi opera statuale di verifica e nullaosta di ciò che chiunque scrive e chi propaga nel pianeta ad una velocità minima di circa 300.000 km/s?

Chi controllerà i controllori? Come conciliare il crescente afflato delle maestrine che inondano il web di imperdibili performances in diretta di marmocchi che parlano di cose da grandi con l’esigenza di non formare opinioni parziali e/o distorte proprio nei giovani?

Aspetti negativi ineliminabili

Non sono avvezzo a proporre soluzioni salvifiche; preferisco suggerire a chi mi legge di approfondire il tema, per almeno ipotizzare qualche possibile rimedio ad un problema epocale, figlio indesiderato della rivoluzione del web, che sempre più fa di noi un popolo di ondivaghi ed incerti solutori di problemi ormai facenti parte del Dna della nostra società cibernetica.

Si è troppo trascurato in passato, ed ancora si trascura oggi, che l’interagibilità globale e quasi gratuita di cui andiamo tanto fieri, ha degli aspetti negativi pressoché ineliminabili. Siamo tutti in un’enorme piazza, anche se più o meno volontariamente “mascherinati”, nella quale tutti, letteralmente tutti, possono dire, magari gridandola, la propria verità.

Lo volevamo, l’abbiamo avuto. Era giusto volerlo? Forse sì. Ma teniamo ben presente che non abbiamo precedenti storici a cui riferirci per trovare suggerimenti. Dovremo per forza inventarci qualcosa, prima che questo coro assordante di messaggi contraddittori, molti dei quali socialmente pericolosi, quando non siano addirittura ispiratori di atti inconsulti, possa sopraffarci. Troppo cibo uccide.