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Muro sempre più alto tra Turchia e Iran, mentre Erdogan gioca le sue carte in Siria e Libia

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Mentre ci si concentra sul muro di Trump con il Messico e sulla barriera difensiva tra Israele e territori palestinesi, nessuno ve ne parla ma altre barriere difensive non solo esistono già, ma sono in piena costruzione. Una di queste, una delle principali, è quella che la Turchia sta completando al confine con la Repubblica Islamica dell’Iran. Secondo quanto dichiarato l’8 giugno dal ministro dell’interno turco, Suleyman Soylu, la barriera che Ankara sta costruendo sarebbe già completa al 75 per cento e avrebbe come obiettivo principale quello di evitare l’infiltrazione di “terroristi” – così definiti da Soylu – del PKK curdo in territorio turco. Anzi, per precisione, ha anche affermato che almeno cento “terroristi” del PKK vivono nell’area di Dambat in Iran, dove si addestrano per colpire all’interno della Turchia.

Dichiarazioni che hanno fortemente irritato il regime iraniano che, per bocca del generale pasdaran Mohammad Pakpour, ha negato la presenza del PKK in territorio iraniano. Il comandante delle Guardie Rivoluzionarie ha definito quelle turche accuse “prive di fondamento e irresponsabili”. Peggio, Pakpour – fingendo comprensione – ha accusato i turchi di prendersela con gli iraniani per giustificare l’incapacità di prevenire alcuni recenti attacchi del PKK.

Nel frattempo, mentre Iran e Turchia litigano per i curdi, e mentre Teheran è ormai ai ferri corti con i russi in Siria, Erdogan parla di nuovi importanti sviluppi possibili dopo una telefonata col presidente Trump. Sviluppi che potrebbero riguardare non solo le relazioni tra Washington e Ankara – e di riflesso quelle tra Gerusalemme e Ankara – ma anche le chance di un accordo russo-turco non solo in Siria, ma anche in Libia. Accordi che, se andassero in porto, potrebbero contribuire a isolare ancora di più Teheran, costringendola ad ammettere di dover trattare con la Casa Bianca. Ma si tratta anche di accordi che certificherebbero, purtroppo, la definitiva messa ai margini di un’Italia ormai costretta ad inseguire Erdogan in Tripolitania e a sperare nel sostegno di al-Sisi in Cirenaica.

Ecco il prezzo che si paga a pensare di poter continuare a vestire jeans americani a costo vantaggioso, però parlando cinese.

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