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No-vax dove? Una caccia al capro espiatorio per coprire errori e ritardi dello Stato

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Se l’85 per cento degli italiani è disponibile a vaccinarsi, ma solo il 55 ci è riuscito, non è colpa dei no-vax, che sono al massimo il 5 per cento. Ingiusto escludere dalla vita sociale milioni di italiani per i quali ancora non ci sono dosi (ammesso e non concesso che sia giusto escludere chi – per svariati motivi – sceglie di non vaccinarsi). Primo passo verso il sistema dei “crediti sociali” alla cinese…

Ce la stanno mettendo davvero tutta per etichettare come no-vax (termine che ormai va prendendo il posto di “sovranista” come epiteto più sprezzante usato dalla sinistra nei confronti dell’avversario politico) le migliaia di italiani, forse centinaia di migliaia, che sabato pomeriggio hanno riempito le piazze di decine di città in tutto il Paese. Il regime ha bisogno di criminalizzarli, demonizzarli. Manifestazioni ancora più imponenti hanno avuto luogo a Parigi e a Londra.

Peccato che le piazze di sabato non erano contro i vaccini, ma contro l’obbligo di Green Pass per avere accesso ad una moltitudine di attività quotidiane e locali pubblici. Giusto o sbagliato, condivisibile o meno, è cosa molto diversa dai no-vax, ideologicamente contrari al vaccino, a qualsiasi vaccino.

Quella dei media, dei commentatori e dei politici che insistono a bollare come no-vax chiunque osi manifestare contro il Green Pass e le restrizioni, per la libertà, accusandolo addirittura di far risalire i contagi e di provocare nuove chiusure, è una odiosa manipolazione. Gay Pride e manifestazioni pro-Ddl Zan non rischiavano di far risalire i contagi?

Si può essere a favore del vaccino anti-Covid, persino aver completato il ciclo vaccinale, eppure essere contrari ad un uso così estensivo, e invasivo, del Green Pass per limitare libertà individuali tutelate dalla Costituzione. Il controsenso giuridico è enorme, dal momento che non si è scelta la via diretta e costituzionale (articolo 32) dell’obbligo vaccinale: si limitano diritti fondamentali di chi non si è sottoposto ad un trattamento sanitario che però non è obbligatorio e per il quale non ci sono ancora dosi per tutti.

Addirittura ai ragazzi dai 12 ai 17 anni, per i quali i vaccini sono autorizzati ma il rapporto rischi-benefici è chiaramente squilibrato verso i primi. E ormai il solco è tracciato: poche settimane e il Green Pass sarà obbligatorio per prendere un treno, per lavorare e frequentare le scuole in presenza. Un tremendo dilemma per tanti genitori con figli adolescenti.

E questo “prezzo” lo pagano milioni di italiani che, come vedremo tra breve, non c’entrano nulla con i no-vax.

C’è una sola politica che durante questi mesi di pandemia è stata perseguita con rigida coerenza e ostinata determinazione sia dal governo Conte che dal governo Draghi, per altri aspetti diversissimi. Un filo rosso che lega la comunicazione istituzionale, la narrazione dei media mainstream e dei televirologi: la caccia al capro espiatorio su cui scaricare i costi di errori e ritardi della gestione pubblica prima dell’emergenza, poi della campagna vaccinale.

Prima erano runner e chi non indossava la mascherina, poi i giovani della movida, le discoteche… Ora i no-vax.

Come ha osservato il nostro Andrea Venanzoni, infatti, in cima alla metaforica piramide raffigurante le responsabilità, morali e materiali, dell’aver incrinato la fiducia nei vaccini non troviamo certo i no-vax, ma premier, ministri, dirigenti del Ministero della salute, dell’Aifa, consulenti, televirologi, giornalisti etc… È evidente dunque il conflitto di interessi: tutti costoro, che occupano le posizioni di vertice di quella piramide della responsabilità, cercano ora con ogni mezzo di farci salire i no-vax

Ma i sondaggi parlano chiaro e stimano tra il 2 e il 5 per cento massimo i cosiddetti “no-vax”, i contrari al vaccino anti-Covid a prescindere. Come può essere colpa loro se ancora solo il 55 per cento degli italiani ha completato il ciclo vaccinale?

Secondo l’ultimo studio, condotto dall’Univesità Statale di Milano e da Swg, sarebbero il 5 per cento ma a giugno la disponibilità degli italiani a vaccinarsi contro il Covid avrebbe raggiunto la quota record dell’85 per cento. Un livello ampiamente sufficiente per raggiungere la famosa immunità di gregge e fermare la corsa del virus. Tra il 60 per cento che ha avuto almeno una dose e quell’85 per cento di disponibili, c’è chi ancora sta aspettando la sua dose, a causa degli errori e dei ritardi della campagna vaccinale, non dei no-vax.

D’altra parte, gli italiani over 12 sono 54 milioni. Le dosi arrivate finora sono 68 milioni. Dunque, ne mancano 40 milioni (circa 3 mesi di consegne) per coprire tutti. Perché gli italiani disponibili a vaccinarsi, ma per i quali le dosi arriveranno nelle prossime settimane, dovrebbero essere discriminati (ammesso e non concesso che dovrebbe esserlo chi – per svariati motivi – sceglie di non vaccinarsi)?

Tra il 5 per cento dei contrari e l’85 per cento dei disponibili al vaccino ci sono gli incerti. E tra questi una quota non trascurabile di italiani che hanno ragione di temere per la propria salute e si trovano in un vero e proprio limbo. Molte situazioni borderline su cui persino i medici alzano le braccia: nessuno si prende la responsabilità di escludere reazioni avverse in presenza di certe patologie e terapie farmacologiche, ma nemmeno di certificare una incompatibilità. Semplicemente perché non c’è certezza, i vaccini sono troppo “giovani”. Questo è un problema più comune di quanto si pensi. Anche a queste persone diamo dei “sorci”? Invece di rassicurarle, di seguirle, giù parole sprezzanti…

Ma è chiarissimo: se dopo sette mesi siamo ancora molto indietro con le vaccinazioni, persino nella fascia degli over 60, non è per i no-vax ma per come la campagna vaccinale è stata concepita e attuata nella gran parte delle Regioni. Non basta aprire ad una fascia d’età e aspettare il click via pc o smartphone. Fisiologico che qualcuno più dubbioso e molti anziani restino fuori, pur non essendo a priori contrari. Serve un lavoro attivo per contattare e farsi carico di queste persone, studiare caso per caso. Un lavoro che nessuno ha fatto né immaginato di fare, quindi si scaricano le responsabilità sui no-vax.

Gli argomenti ‘epidemiologici’ a sostegno del Green Pass sono in realtà molto deboli. Con la variante Delta il virus circola in modo molto significativo anche tra i vaccinati e la loro minore contagiosità rispetto ai non vaccinati (la maggior parte dei quali, ricordiamolo, ancora non lo è non per sua scelta) non sembra tale da giustificare una discriminazione così punitiva (non solo viaggi all’estero e grandi eventi, ma attività quotidiane).

Né si può pensare di arrivare a contagi zero ed evitare l’insorgenza di varianti vaccinando tutti gli italiani, o tutti gli europei: in un mondo globalizzato in gran parte non ancora vaccinato, le varianti arriverebbero comunque dall’esterno. Per questo le restrizioni imposte dall’uso estensivo del Green Pass appaiono quanto meno sproporzionate.

E per questo, la motivazione prevalente nella decisione di estendere il Green Pass ad attività quotidiane è una politica premiante/punitiva rispetto ad una scelta individuale. Da qui al sistema dei “crediti sociali” alla cinese è un passo…

Le curve da tenere d’occhio sono quelle inglesi, perché nel Regno Unito i dati non sono biased (come quelli italiani) dal basso numero di tamponi né dalla scarsa incidenza della variante Delta. Con una quantità di vaccinazioni complete vicina a quella ottimale di una campagna di successo (70 per cento, nessuna è mai del 100 per cento), se il virus non stesse circolando in modo significativo anche tra i vaccinati, ma solo tra i non vaccinati, vedremmo meno contagi e più ricoveri/decessi. Che anche i vaccinati siano a rischio contagio non significa che i vaccini non funzionano. Significa che ci vorrà tempo, anni, per debellare il virus, ma se la tendenza in Uk si confermerà, vorrà dire che i vaccini funzionano nel mantenere livelli di ospedalizzazione e decessi più che gestibili, e quindi che possiamo tornare ad una vita normale e senza apartheid.