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Pandemia e caro-energia: più che una road map verso la normalità, un campo minato

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“Abbassare il riscaldamento? Come indossare la mascherina”. Il metodo è collaudato: c’è un problema serio che non si sa come risolvere? E allora si dà la colpa ai cittadini e ai loro comportamenti irresponsabili. L’importante è seguire il binario mainstream e tracciare per ogni argomento la netta linea di demarcazione tra il bene e il male, i buoni e i cattivi, il politicamente corretto e il censurabile

C’è un filo sottile che lega il dibattito sulla pandemia a quello sulle risorse energetiche con le annesse difficoltà di approviggionamento e, infine, a quello più recente sul conflitto in Ucraina. Il tratto comune che caratterizza la discussione è un incredibile provincialismo, oltre una sorta di narcisismo intellettuale in cui l’opinionista è più importante delle opinioni e dei fatti stessi. La visione ombelicale prevale sull’analisi e le battaglie di retroguardia sull’approccio critico alle questioni. Non si riesce ad andare oltre il perimetro del nostro ristretto orizzonte nazionale. Un esempio lampante è rappresentato dalla difficoltà estrema a venir fuori dalle sabbie mobili dell’emergenzialità che ha caratterizzato gli ultimi due anni. Infatti, mentre il resto del mondo si sta liberando o si è già liberato delle catene pandemiche, da noi l’abbandono del Green Pass è operazione assai lenta e farraginosa visto che siamo imprigionati in una gabbia ideologica che ci rende ostaggi di questa ossessiva contemplazione delle curve dei contagi.

Non a caso, Walter Ricciardi, consigliere del Ministero della salute, già mette le mani avanti: si rischia un’ondata estiva se allentiamo le restrizioni troppo presto. Gli ha fatto eco lo stesso ministro che, durante un question time alla Camera dei deputati, ha elogiato la certificazione verde che ha, a suo dire, evitato chiusure generalizzate. “Questa è la verità, fuori da ogni propaganda” ha chiosato Speranza che ha pure ricevuto i complimenti di Draghi per lo “straordinario lavoro” svolto. Insomma, fra dichiarazioni ardite e smaccati autoelogi, il governo si arrocca sempre di più e si mostra ancor più lontano dai reali problemi della gente, piegata dagli aumenti indiscriminati e terrorizzata dalle bombe che esplodono a pochi chilometri dai confini europei. Mentre il mondo vive dei tragici sconvolgimenti, a Roma si discute di Green Pass base, super o rafforzato per andare a mangiare la pizza o a bere un aperitivo. Solo per noi la strada verso la libertà è lastricata di buone intenzioni e la tanto attesa road map si è rivelata l’equivalente di un terreno minato in cui l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Ha le sembianze di una roulette in cui vince sempre il banco.

E c’è addirittura chi si lamenta perché lo scoppio della guerra ha distolto l’attenzione dalle tematiche sanitarie. Tutto questo dà il segno di come si viva anche con una certa malinconia la transizione verso una parvenza di normalità. Viene in mente il feticismo dei ricordi di cui parlava Antonio Tabucchi in “Sostiene Pereira”. “La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro” era il consiglio del dottor Cardoso al protagonista del romanzo.

A questo partito di nostalgici va iscritto sicuramente d’ufficio Gian Antonio Stella che, dalle colonne del Corriere, è arrivato perfino a rimpiangere l’austerity del 1973 provocata da una crisi petrolifera che comportò la necessità di ridurre i consumi energetici. Stella ha ricordato le città al buio, gli italiani in bicicletta, il presidente Leone che si spostava dal Quirinale con una carrozza trainata da cavalli. Eppure, quella lezione non è stata recepita perché, secondo l’editorialista del quotidiano milanese, passata la burrasca, i cittadini hanno ripreso a consumare, a sprecare, a usare l’acqua in maniera smodata. Secondo lui, è stata un’occasione persa e quelle settimane di “stretta” non sono servite a nulla.

Eppure anche oggi c’è chi prova a mettersi al servizio della nazione come l’attore Alessandro Gassman, già in prima linea nella battaglia pandemica, che ha annunciato di aver ridotto la temperatura del suo termostato di ben due gradi. Ma, d’altronde, è stato Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, a spiegare che “abbassare il riscaldamento è come indossare la mascherina”. Il metodo è collaudato: c’è un problema serio che non si sa come risolvere? E allora si dà la colpa ai cittadini e ai loro comportamenti irresponsabili. Che poi il modello Frittole, la città medioevale in cui si ritrovarono catapultati Troisi e Benigni nel loro scanzonato viaggio nel passato, sia piuttosto grottesco non importa ai campioni della retorica nazionale. L’importante è seguire il binario mainstream e tracciare per ogni argomento la netta linea di demarcazione tra il bene e il male, i buoni e i cattivi, il politicamente corretto e il censurabile.

Per cui, non sorprende che questo fiume di impressionante vacuità stia dilagando anche nell’ambito della narrazione bellica che favorisce la creatività dei nostri intellettuali con racconti eroici e gesta valorose partoriti comodamente nel salotto di casa propria. Eppure la faccenda ucraina è maledettamente seria ma solo noi siamo stati capaci di trasformarla in una specie di soap opera a puntate con questo incessante chiacchiericcio dalla mattina alla sera, con esperti in prima linea pronti a battibeccare con altri esperti, ospiti che esperti non sono ma bucano il video, programmi di intrattenimento trasformati in reportage dal fronte, telegiornali sempre più a caccia di sensazionalismo da cui scaturisce un dibattito noioso, improduttivo e per lo più asfittico se non asfissiante. Materiale che probabilmente avrebbe ispirato la penna di Tom Wolfe. È il nostro piccolo mondo antico che preferisce crogiolarsi nel suo vizioso autoreferenzialismo e nella futile ostentazione di teorie da piccolo schermo. È l’Italia del 2022 molto simile alla Frittole del millequattrocento. Anzi, quasi mille-e-cinque. Ma pur sempre medioevale nel pensiero e nell’azione.

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