Politica

I diritti prêt-à-porter e il “partito Chiesa”

Paradossale che gli artefici del lasciapassare per lavorare, socializzare e vivere, adesso si presentino agli occhi degli elettori come i paladini dei diritti civili

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Di cosa parliamo esattamente quando parliamo di diritti civili? Prima di qualsiasi dibattito o dell’intervento banale dell’influencer di turno su tematiche pure complesse, bisognerebbe sgomberare il campo dagli equivoci.

Infatti, si ha l’impressione che il fronte progressista confonda la semplice adesione a ideologie politicamente corrette o ad argomenti di tendenza (se non modaioli) con il riconoscimento di diritti e libertà.

Centrodestra troppo in retroguardia

Ora, va anche detto che, su questi temi, lo schieramento di centrodestra ha spesso una posizione di retroguardia, distante perfino da quelle più illuminate di altri partiti conservatori come, per esempio, quello britannico. In generale, difficilmente tesi alla Pillon riuscirebbero a far breccia in una destra compiutamente liberale.

Peraltro, le stesse scelte private dei leader nostrani (legittime e incontestabili) suggerirebbero una maggiore apertura nei confronti di situazioni analoghe quando riguardano il resto della popolazione. Queste titubanze sul lato destro, tuttavia, non rendono certo il centrosinistra il baluardo dei diritti civili e delle libertà individuali come vorrebbe far credere la narrazione prevalente.

La sinistra della libertà condizionata

Si sbrigherebbe molto rapidamente la faccenda ricordando due anni e mezzo di assurde restrizioni sanitarie, di Green Pass, di discriminazioni, vessazioni. La pandemia è servita davvero alla sinistra per costruire una propria egemonia culturale fatta di divieti, obblighi e di sudditanza del cittadino verso lo Stato; assurdità declamate in chiave orwelliana grazie alla grancassa dei principali quotidiani e delle televisioni.

Come non ricordare il famoso discorso di Enrico Letta (che dei progressisti italiani è il leader) del settembre scorso alla Festa dell’Unità di Bologna: “Il vaccino è libertà e questa parola, libertà, che è stata usata a sproposito troppe volte, è libertà di andare a scuola, lavorare, guadagnare, viaggiare. Chi è ambiguo su Green Pass e vaccinazioni è contro la salute degli italiani ed è contro le imprese e i lavoratori“.

Cioè la libertà non è più qualcosa che preesiste all’individuo, intrinseco alla sua stessa natura ed è riconosciuto dalla Costituzione, ma diventa una concessione condizionata a una serie ripetuta di adempimenti sanitari (che come hanno dimostrato impietosamente i fatti non difendono dal contagio, al contrario di quanto predetto e predicato gli architetti del certificato verde).

Trascorso un anno, Letta non si è certo ravveduto. Anzi, ha rilanciato rivendicando nelle scorse settimane l’adesione alla catastrofica politica sanitaria di Speranza: “Il nostro lavoro vedrà come punto di riferimento il ministro della salute che ha impersonificato le nostre scelte a favore della sicurezza dei cittadini, una sicurezza che ha garantito libertà”.

Viene quasi il sospetto che sia Enrico Letta a usare a sproposito la parola libertà, confondendo la coercizione per libera scelta.

Per cui, risulta davvero paradossale che gli artefici del lasciapassare per lavorare, socializzare e vivere, adesso si presentino agli occhi degli elettori come i paladini dei diritti; gli stessi diritti, anche quelli più elementari come fare una passeggiata o una corsetta, negati per mesi.

Perciò, arruolare artisti, le Chiara Ferragni, gli intellettuali prêt-à-porter non servirà a far dimenticare un passato così recente e le lacerazioni profonde lasciate nel tessuto sociale.

La cultura dei divieti, non dei diritti

Tra l’altro, storicamente, le battaglie di sinistra si sono concentrate più in ambito sociale che nella sfera dei diritti civili. È sufficiente ricordare il modo in cui venivano mal digerite le lotte di Marco Pannella negli anni ’70. Enrico Berlinguer lo definì “un esibizionista”. Il futuro presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, bollò il referendum sul divorzio come “un pericolo per la democrazia”.

O, addirittura, c’era chi nel Partito Comunista riteneva le rivendicazioni dei diritti civili come una prerogativa borghese, distinta e distante dalle esigenze del mondo operaio e dei lavoratori in generale.

È vero che all’epoca giocava un fattore importante anche il compromesso storico e, quindi, queste incertezze erano strumentali a conservare un canale di dialogo con la Democrazia Cristiana, ma è altrettanto innegabile che la cultura dei diritti civili non rientra pienamente nel Dna della sinistra italiana.

Lo confermano anche le tendenze attuali. Se il modello è quello del ddl Zan, allora la svolta non sembra convincente. Infatti, la logica è sempre quella di piantare bandierine o criminalizzare il dissenso (nel caso della legge Zan, si sarebbero introdotti addirittura dei reati d’opinione) più che riconoscere diritti veri.

Ecco qual è il grosso limite di questa impostazione ideologizzata ed ecco perché solo immaginare che la coalizione guidata da Letta esprima un punto di vista minimamente libertario sfiora il grottesco.

Probabilmente, per il dogmatismo che lo caratterizza, Marco Pannella avrebbe considerato – al pari della DC e del PCI – pure quello di Letta “un partito Chiesa”.

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