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Pompeo al posto di Tillerson: ultimo avviso agli alleati europei, con l’Iran Trump fa sul serio

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Tra le molteplici chiavi di lettura della sostituzione alla guida del Dipartimento di Stato decisa dal presidente americano quella più solida riguarda certamente il dossier iraniano. Il messaggio che arriva agli europei, ma ovviamente anche a Teheran e Mosca, dalla nomina di Mike Pompeo al posto di Rex Tillerson è chiaro e inequivocabile: Trump fa tremendamente sul serio, a cominciare dall’accordo sul nucleare iraniano. E’ un cattivo accordo: o viene “riparato”, o Washington ripristinerà le sue sanzioni, di fatto rottamandolo.

Tra le divergenze di metodo e di merito tra il presidente e il suo ex segretario di Stato (che sarebbe stato contrario anche all’annuncio su Gerusalemme, prevedendo reazioni violente che non si sono verificate, così perdendo ulteriormente credibilità), l’unica ad essere stata citata esplicitamente da Trump nel motivare la sua decisione è proprio quella sull’accordo con l’Iran: “Mi sono trovato bene con Tillerson, ma aveva davvero un’altra impostazione mentale, un modo diverso di pensare… Quanto all’accordo con l’Iran, io penso sia terribile, ma credo che a lui andasse bene. Non la pensavamo proprio allo stesso modo”.

Fonti bene di informate citate dal sito Free Beacon sostengono inoltre che tra Casa Bianca e Dipartimento di Stato si sia andati ben oltre una leale divergenza di vedute sul tema. Un conto è dissentire e rappresentare al presidente un diverso punto di vista, diverse opzioni, tutt’altro è lavorare alle sue spalle per salvare l’accordo sul nucleare iraniano ignorando deliberatamente la sua linea: correggerlo o rottamarlo.

Nonostante la divergenza di vedute, nei mesi precedenti Tillerson si era impegnato a guidare gli sforzi per convincere gli alleati europei a concordare su una serie di correzioni all’accordo sul nucleare che avrebbero affrontato i problemi del programma di missili balistici e della ricerca nucleare, che Teheran sta portando avanti violando spirito e premesse dell’intesa. Tuttavia, più di recente, mentre Trump aveva prescritto una serie di correzioni per colmare le carenze dell’accordo, Tillerson avrebbe ceduto alle pressioni europee per fare marcia indietro rispetto a tali richieste e ricucire con Teheran, confermando l’accordo.

Secondo le stesse fonti, la Casa Bianca avrebbe avvertito per settimane lo staff di Tillerson che gli sforzi per salvare l’accordo sul nucleare, rifiutandosi di avanzare le richieste chiave del presidente, gli sarebbero costati il posto. Insomma, l’ex segretario avrebbe finito con il perseguire una propria agenda politico-diplomatica, quanto meno sul dossier iraniano.

Mesi persi, dunque, dal punto di vista di Trump, dal momento che a causa di Tillerson, i messaggi lanciati dalla sua amministrazione agli alleati europei e a Teheran sono risultati essere ambigui: con il presidente che pubblicamente agitava la minaccia di abbandonare l’accordo e il suo segretario di Stato che in qualche modo rendeva poco credibile tale minaccia. Ed è evidente che solo se presa sul serio avrebbe una qualche speranza di sortire l’effetto sperato.

Contrariamente all’ex segretario di Stato, Mike Pompeo è da sempre un “falco” sul dossier iraniano. Da membro del Comitato Intelligence della Camera si è battuto contro l’accordo sul nucleare prima e dopo la firma, denunciando gli sciagurati regali di Obama al regime degli ayatollah. Da direttore della Cia ha ripreso le operazioni di contrasto delle attività delle organizzazioni iraniane e filo iraniane e confermato di ritenere la Repubblica islamica il principale stato sponsor del terrorismo al mondo.

Ma attenzione, l’arrivo di Pompeo al Dipartimento di Stato non significa ancora che una decisione definitiva è stata presa sull’accordo, né segna un inasprimento della linea del presidente Trump. Piuttosto, significa che finalmente quella linea sarà attuata con coerenza: ripararlo o rottamarlo.

La prossima scadenza è il 12 maggio, il nuovo termine entro il quale l’amministrazione Trump dovrà comunicare al Congresso se l’Iran sta rispettando o meno l’accordo sul nucleare – in caso negativo, sarà il Congresso a decidere se e quando, e come, ripristinare le sanzioni sul programma nucleare. Lo scorso gennaio, in occasione dell’ultimo rinnovo della sospensione, Trump aveva lanciato il suo ultimatum agli alleati europei, invitandoli ad esercitare pressioni per convincere Teheran a tornare al tavolo del negoziato. Ultimatum però di fatto sabotato dalla linea di Tillerson. Ora si comincia a fare sul serio. Con Pompeo al posto di Tillerson, che era visto in qualche modo come garante dell’accordo, la pressione è finalmente credibile. Ora i partner europei non dovrebbero più dubitare della risolutezza dell’amministrazione Trump e impegnarsi seriamente a convincere gli iraniani.

Un’ultima nota su alcune stravaganti “analisi” dei soliti mainstream media riguardo la sostituzione di Tillerson. Gli stessi che avevano sbrigativamente bollato l’ex segretario di Stato come “amico di Putin”, per i suoi rapporti con il presidente russo quando era a capo della Exxon, oggi sostengono che sarebbe stato fatto fuori perché troppo anti-russo (tra l’altro, Pompeo non è certo una “colomba” nei confronti del Cremlino…). Ormai siamo alle acrobazie.

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