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Ventre molle d’Europa davanti a Putin sono le “europeiste” Parigi e Berlino, non Londra e Varsavia

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La crisi ucraina è tutta in divenire, non è detto che sfoci in una guerra o si limiti a restare una prova di ostentazione di muscoli militari. Ma dovrebbe già essere servita a smontare una serie di miti, attraverso i quali, da italiani, siamo soliti leggere la politica internazionale.

Il primo mito che è crollato è sicuramente quello sulla Brexit. La scelta compiuta dagli elettori britannici nel 2016 è sempre stata giudicata, a queste latitudini, come condizionata dalla propaganda russa per dividere l’Occidente. Zelanti patrioti europei in trasferta a Londra, appoggiati dall’intellighenzia della capitale, considerano addirittura il Partito Conservatore come una formazione ormai piena di “burattini di Mosca”. Non è un mistero che i russi più ricchi abbiano fior di investimenti nel Regno Unito e un fondo di verità sulla Russia Connection indubbiamente c’è. Ma da qui a definire il premier Johnson e il suo partito, dei “burattini” del Cremlino, ci passa un oceano. La realtà ci ha mostrato che, anche dopo aver completato la Brexit, il Regno Unito è stato il primo Paese Nato ad aver inviato aiuti militari all’Ucraina, di fronte alla prospettiva del rischio di un’invasione russa. La realtà ci mostra anche che il governo Johnson è stato il primo a chiedere e ad effettuare un dispiegamento di forze di rincalzo al fianco orientale della Nato. Questo cosa vuole dire? Molto semplicemente, che la Brexit non è stata voluta per “dividere l’Occidente”. Semmai per chiedere autonomia dall’Unione europea, che è un quasi-governo sovranazionale tanto invadente sugli affari interni, quando imbelle su quelli esteri. Già, l’Ue, come si sta comportando in questa crisi?

E qui veniamo al secondo punto. “O stai con l’Ue o con Putin” è da sempre il nocciolo della retorica dei partiti di sinistra europeisti, non solo italiani. I troll russi spuntano come funghi, stando a loro, sarebbero dietro ad ogni campagna elettorale dei partiti di destra, o ad ogni fuga di notizie che metta in difficoltà la sinistra. All’atto pratico, la sinistra europeista francese, a nome dell’Europa, è quella che è andata a dialogare con Putin, formalmente per scongiurare il rischio di una guerra, praticamente per prepararci a fare concessioni. I Paesi dell’Europa centrale, che vivono a ridosso della Russia, temono di essere barattati in cambio di qualche concessione russa in Africa, terreno in cui Parigi e Mosca sono in competizione diretta.

La sinistra europeista tedesca è quella che si rifiuta di mandare armi all’Ucraina, che impedisce anche alla Lettonia di fornire armi di fabbricazione tedesca al Paese minacciato, che impedisce anche agli aerei alleati il sorvolo del suo territorio per portare aiuti all’Ucraina, che al massimo fornisce elmetti e la promessa di posti letto per i feriti in caso di conflitto, che è cauta sulle sanzioni economiche perché dipende dal gas russo (via Nord Stream e prossimamente anche Nord Stream 2). La Germania è governata dal cancelliere Scholz, socialdemocratico, lo stesso partito di Schroeder, che sta entrando nel consiglio d’amministrazione di Gazprom, azienda statale russa.

Se parli di filo-russi, dunque, vengono in mente le immagini di Salvini sulla Piazza Rossa che indossa la maglietta di Putin, Trump e la sua infinita vicenda del Russiagate (mai dimostrata, per altro), o Berlusconi che invita Putin a casa sua prima di Expo 2015, durante la guerra nel Donbass. Ma non vengono mai in mente gli uomini che hanno creato legami asimmetrici (noi dipendenti da loro) e ormai inscindibili con la Russia di Putin, come Schroeder, appunto, o come Prodi, annoverati fra i fondatori dell’Unione europea. Alla faccia dei luoghi comuni, la Polonia, euroscettica, reazionaria, “putiniana” sui temi di immigrazione, gay e aborto, è invece l’unico Paese in prima linea che chiede a gran voce l’unità dell’Europa di fronte alla minaccia russa, si prepara ad assistere materialmente il popolo ucraino, attrezzandosi per un’eventuale ondata di un milione di profughi.

Certo, non tutti i luoghi comuni sono infondati. Ad esempio è vero che la destra italiana è assolutamente ancora putiniana, anche se la Lega (silenziosamente, per non farsi scoprire dai suoi militanti) sta forse riposizionandosi nel Parlamento europeo. Qualcosa cambia, ma culturalmente, la destra italiana (tutta) è ancorata all’idea che sia Mosca a dover salvare l’Occidente dalla sua decadenza. È un ideale pazientemente coltivato per più di un decennio, ormai penetrato nella massa, e sarà impossibile cambiarlo con un comando dal vertice. Ma questa crisi, appunto, dovrebbe servire a smontare anche i miti della destra: la Russia e la Cina sono dalla stessa parte. Inutile continuare a perorare la causa russa perché “il vero nemico è il regime di Pechino”, dal momento che Pechino e Mosca sono alleati. L’incontro fra Putin e Xi Jinping, prima dell’inizio delle Olimpiadi in Cina ha chiarito, o almeno dovrebbe aver chiarito, questo grave equivoco dei partiti italiani: il Cremlino promette all’alleato cinese appoggio per l’annessione definitiva di Taiwan, Xi risponde sostenendo la causa russa contro la Nato. Non ci sono mezzi toni, su questo i due leader autoritari sono stati chiarissimi, il loro nemico è uno ed è l’Occidente democratico.

Resta solo da chiedersi, semmai, perché in Italia viviamo in un bolla di disinformazione che ci impedisce di vedere gli eventi internazionali per quelli che sono. E la risposta va cercata in chi narra la politica estera, quali gruppi industriali di Stato sponsorizzano i think tank e i centri studi, quali sono gli interessi dei partiti e delle loro fondazioni, quali quelli degli editori dei maggiori quotidiani. E soprattutto quali sono i loro obiettivi in politica interna. Perché di politica estera non si parla mai, almeno finché non influenzi direttamente la politica interna.

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