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“Likecrazia”, di Daniele Capezzone: una bussola per comprendere cosa è oggi l’arena pubblica, un gioco del trono spietato

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Pare di vederlo, Daniele Capezzone, seduto davanti al pc mentre verga “Likecrazia – lo show della politica in tempo di pace e di coronavirus” (Piemme).

La tipica aplomb da gentiluomo britannico, l’irrinunciabile gattina Giuditta (una spin doctor che non teme confronti con Alastair Campbell e Peter Mandelson) raggomitolata sulle gambe e quel sorrisetto sornione di chi vede davanti sé i fegati fiammeggianti dei soloni che ne leggeranno le prime pagine.

Likecrazia” non si limita a raccontarci il misterioso mondo dell’infotainment (espressione che identifica la tendenza dei talk show e dei mezzi di comunicazione di massa a diluire l’informazione con l’intrattenimento) ma ci regala una bussola per esplorare i meandri della televisione e del web 2.0. Lo fa col suo consueto stile, gentile e graffiante, presentandoci una realtà complessa senza spocchia, arroganza o ditini alzati.

Il dibattito pubblico è vorticoso, frenetico e movimentato. Le parole di politici, giornalisti, intellettuali ed “esperti” sono ingerite e subito decorate con feedback positivi o deturpate con pareri negativi. I tempi sono sempre più compressi “10 secondi se parli, 20 se piangi, 30 se sanguini”, una finale di Champions da giocarsi nello scorrere di una manciata di sabbia, o arrivi allo spettatore, lo emozioni e riesci a farlo identificare con te o sei praticamente finito. È la democrazia e si può trattarla con presunzione deridendo il “popolo bue”, finendo irrimediabilmente rigurgitati dal tubo catodico o adeguarvisi con pacatezza, un sorriso gentile e un pizzico d’ironia.

La scrittura di Capezzone, semplice e disinvolta, si muove ritmicamente tra il particolare e l’universale.

Il discorso è ampio, parte dagli studi televisivi ed esce per le strade flagellate dal Covid-19 e da un governo incapace che comunica in modo schizofrenico passando dall’hashtag #abbracciauncinese ai bollettini di guerra contenenti i numeri dei morti, ripetuti fino alla nausea. Incrocia il suo sguardo con quello della common people, privata dei suoi diritti fondamentali, derisa e spregiata dalle élite progressiste pronte a demonizzarla e ad invocare la soppressione del diritto di voto quando le elezioni sono vinte dai temibili populisti che con la stessa common people riescono ad identificarsi. Si dissolve nell’etere approdando sui sentieri ripidi del web 2.0. Uno spazio virtuale diviso tra un lato oscuro, abitato dai mostri dell’hate speech, e il lato chiaro, percorso dai battaglioni del politically correct che vorrebbero combattere l’hate speech colpendo il free speech.

Likecrazia” non si limita a raccontare, prova a somministrare alcuni piccoli consigli di comportamento per politici, giornalisti, intellettuali e conduttori durante le serate in tv. Sono suggerimenti preziosi anche per chi sogna di fare della comunicazione, in ogni sua forma, una professione vera e propria. Non sono paternali intrise di pedagogia spicciola, solo piccoli suggerimenti di etichetta.

Capezzone ha parlato con coraggio di cosa è oggi l’arena pubblica: un gioco del trono spietato dove si vince o si muore.

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