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Cancel Culture, l’idiozia è il nuovo standard: un favore ai nemici esterni e interni dell’America

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Non più tardi di cinque o sei anni fa, chi avrebbe mai pensato che le piattaforme dei social media dominanti d’America, come Facebook, Google-YouTube e Twitter, avrebbero attaccato i diritti del Primo Emendamento impegnandosi a mettere a tacere un numero enorme di loro utenti tramite censura, cancellazione e deplatforming? Di tutte le maledizioni che si potevano abbattere sugli Stati Uniti d’America, la censura e la cancel culture sono forse le peggiori.

Ma questi due fenomeni del nostro tempo non avrebbero mai oltrepassato il livello di guardia se non si fossero sommati ad un altro flagello biblico, non meno devastante, un fiume in piena che da qualche mese a questa parte ha rotto tutti gli argini e sta dilagando in tutto il Paese. Ne ha parlato qualche giorno fa, su American Thinker, un tale che utilizza lo pseudonimo A.C. Smith e che ha giustamente ritenuto opportuno ricordarci un film del 2006, Idiocracy, commedia di ambientazione fantascientifica in cui viene rappresentato uno scenario distopico del futuro dove, a causa della maggiore prolificità degli idioti, il livello di intelligenza medio raggiunge livelli talmente bassi da mettere addirittura a rischio la sopravvivenza del genere umano.

Nell’America raffigurata dal film, qualunque cosa somigliasse alla ragione e alla logica era stata del tutto abbandonata. “Nel corso dei decenni i fondamentali erano precipitati così in basso che i contadini annaffiavano i loro raccolti con Gatorade invece che con l’acqua e le persone si comperavano lauree di risulta al supermercato”. Molto divertente, osserva Smith, peccato che in questi ultimi mesi la profezia si sia tragicamente avverata, essendo ormai evidente che non solo il dissenso politico e culturale, ma anche la logica è stata “cancellata”, ed ora osserviamo increduli come, una stupidata dopo l’altra, l’idiozia è diventata il nuovo standard, portandosi dietro nuove regole, convenzioni e persino leggi. “L’idiozia sta diventando necessaria quanto una volta lo era la logica,” e nei grandi dibattiti sui maggiori problemi della nazione la logica non ha più bisogno di essere applicata, al contrario, visto che, oltretutto, è probabilmente “razzista”.

Del resto, la nazione più potente della Terra ha un leader che sempre di più ha l’espressione di uno che sembra chiedere “Dove sono, e cosa diavolo dovrei fare qui?“ Questa è un’assurdità, ok, ma in un’idiocrazia l’assurdità va bene. E quando Biden dice a Nancy  Pelosi cose tipo “Whatever you want me to do“  (qualunque cosa tu voglia che io faccia), nessuno, tranne i notiziari conservatori, osa obiettare che è brutto che il leader del mondo libero segnali all’opinione pubblica dell’intero pianeta che lui, Joseph Robinette Biden Jr., detto Joe, in teoria il 46esimo presidente degli Stati Uniti, non è realmente in carica – “nessuno ha eletto Nancy Pelosi alla presidenza l’ultima volta che ho controllato,” annota sarcastico Smith. D’altra parte, “i media mainstream hanno elogiato quasi tutto ciò che Biden fa, ma non sta facendo nulla e tutti fanno finta che questo non abbia importanza,” constata sconsolato l’autore del pezzo.

Ma torniamo al punto dal quale siamo partiti e poniamoci la domanda fondamentale sulla cancel culture (cultura della cancellazione), che, ricordiamolo, è una linea di pensiero che spinge verso l’annichilimento – anche attraverso l’online shaming – di prodotti culturali, ma anche di persone, aziende e istituzioni colpevoli di discriminazione nei confronti di minoranze, etnie, generi, ecc. La domanda è questa: perché la cultura della cancellazione – che pure ha dimostrato ampiamente di essere capace soltanto di dividere e di fomentare l’odio tra gli americani – è così drammaticamente in aumento in America? Perché dopo generazioni e generazioni di americani che hanno considerato sacre le libertà di parola e di associazione, nonché la presunzione di innocenza, adesso molti giovani (ed anche meno giovani) sembrano accettare di buon grado, se non addirittura abbracciare con entusiasmo, queste pratiche censorie e liberticide? La risposta migliore la si ottiene se si individuano innanzitutto i beneficiari del movimento, che sono alcuni nemici esterni degli Stati Uniti, in particolare quelli che vogliono “rifare” il mondo, come il Partito Comunista Cinese e, come suggerisce su American Thinker Scott S. Powell, senior fellow presso il think tank conservatore di Seattle Discovery Institute, le élite associate al World Economic Forum di Klaus Schwab, famoso per i suoi incontri annuali a Davos e per la spinta a realizzare il “Grande Reset”.

A queste forze ostili esterne si uniscono nemici interni che si nascondono tra le élite statunitensi, nei partiti politici, nelle burocrazie governative, nel mondo accademico e aziendale, nonché in gruppi come Black Lives Matter (BLM) e Antifa. “Le élite – spiega Powell – usano questi ultimi gruppi nello stesso modo in cui Hitler usava le camicie brune. BLM e Antifa sono essenzialmente i fanti delle élite usati per fomentare la paura interna e la divisione, oltre che per distruggere il legame della società con il suo passato e persino per far precipitare il Paese in una guerra civile, il che facilita il gioco finale di subordinare gli Stati Uniti al Nuovo Ordine Mondiale voluto dall’élite globale”. Insomma, cancellare e distruggere l’eredità americana è necessario per raggiungere la nuova “Terra promessa”: il Nuovo Ordine Mondiale. Quello che probabilmente (ma non necessariamente) i “nemici interni” ignorano è che la cultura della cancellazione è regressiva, non progressiva.

Il futuro distopico immaginato da George Orwell nel suo “1984”, pubblicato nell’anno che segnò l’inizio del regime comunista di Mao Zedong in Cina, il 1949, si è infine avverato. Orwell non ha usato l’espressione cancel culture, ma ha descritto con precisione come la cosa funziona: “Colui che controlla il passato controlla il futuro [e] colui che controlla il presente controlla il passato”. Interessante, per chi ha voglia di approfondire, la ricostruzione storico-critica di Powell sulle radici marx-leniniste della cultura della cancellazione – non che ci fossero dubbi in proposito, ma sempre meglio essere precisi…

Di certo in America (e in tutto l’Occidente) siamo stati troppo lenti ed esitanti ad affrontare la minaccia comunista dalla Cina. Il PCC, ammonisce Powell, non è solo la nostra più grande minaccia militare all’esterno: in realtà, attraverso i suoi programmi multimiliardari di spionaggio e sovversione industriale, accademica e politica in corso negli Stati Uniti, è anche la nostra più grande minaccia esistenziale.

“Il punto di partenza per proteggere le nostre libertà ed espandere le opportunità in America è rifiutare di accettare o facilitare forze che sono chiaramente associate alla repressione e alla tirannia. Anche quando le nostre fazioni politiche e le differenze rendono difficile costruire un consenso, la prima regola è ‘non fare (farsi) del male’. Quando riconosciamo chiari modelli di pratiche che sono stati parte integrante dei sistemi politici più distruttivi della storia umana, gli americani non possono permettersi di essere ingannati. Non c’è posto negli Stati Uniti per la cultura della cancellazione e per la censura”.

Infine, già che ci siamo, avete mai sentito parlare di Bari Weiss? È la giovane scrittrice che ad un certo punto si è sentita in dovere di dimettersi dal New York Times perché non sopportava il “pensiero di gruppo”, cioè l’indottrinamento progressista che ora pervade quel giornale. Ebbene, è appena uscito un suo saggio sul City Journal, “The Miseducation of America’s Elites”, che vale senz’altro la pena di leggere. Lo stesso tipo di pensiero di gruppo che è stato l’incubo della Weiss si è ormai impadronito anche delle prestigiose scuole superiori private del Paese, ormai prigioniere dell’ideologia della “giustizia sociale”, nelle quali i genitori ricchi stanno versando enormi quantità di denaro col risultato di far indottrinare i figli. Scuole in cui l’idea di mentire per compiacere un insegnante, cosa un tempo normale nell’Unione Sovietica, è ormai la regola. “A Brooklyn – scrive Weiss – un insegnante di discipline scientifico-tecnologiche noto per essere friendly verso gli studenti scettici ha riso quando mi ha riferito dell’ultima assurdità: gli studenti gli hanno detto che la loro lezione di storia aveva un’unità su Beyoncé e si sono sentiti obbligati a dire che amavano la sua musica, anche se non era vero. ‘Ho pensato: non hanno nemmeno diritto alle proprie preferenze musicali’, ha detto. ‘Cosa significa quando non puoi nemmeno dire la verità sulla musica che ti piace?’ Un insegnante di inglese a Los Angeles riconosce tacitamente il problema: chiede alla classe di disattivare i propri video su Zoom e chiede a ogni studente di rendere anonimo il proprio nome in modo che possano avere discussioni disinibite.”

Non esistono dati affidabili di indagine sulla libertà di espressione tra gli studenti delle scuole superiori, ma la scorsa settimana, la Heterodox Academy – un gruppo formato da 4 mila e passa accademici impegnato a contrastare la mancanza di diversità di punti di vista nei campus universitari – ha pubblicato il suo rapporto annuale, basato su un sondaggio sulla libertà di espressione nei campus: è risultato che, nel 2020, il 62 per cento degli studenti universitari intervistati ha convenuto che il clima nel loro campus impedisce agli studenti di dire cose in cui credono.

L’economista austriaco Joseph Schumpeter sosteneva che il capitalismo non cadrà perché non riesce a produrre prosperità, ma piuttosto perché ne produce così tanta da generare una classe di ricchi oziosi con niente di meglio da fare che lamentarsi che la società deve essere abbattuta perché non è perfetta. Il saggio di Bari Weiss conferma in pieno la tesi di Schumpeter, nonché il dato di fatto che l’imbarazzante distopia di Idiocracy è diventata la realtà concreta e tangibile dei nostri giorni. Parafrasando Mao Zedong, “Grande è l’idiozia sotto il cielo. La situazione è indecente”.

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