Esteri

Polemica surreale su Stoltenberg, il governo Meloni sbanda anche in politica estera

Il segretario generale non ha deciso nulla, discussione in corso a Washington. L’auto-deterrenza dell’Occidente, disposto a bersi la propaganda sia di Mosca che di Hamas

Crosetto Tajani (SenatoTv)

Fino ad oggi era stata un’area della sua attività in cui il governo Meloni non aveva mostrato sbavature e fibrillazioni, ma da qualche giorno, complice forse l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, sembra che anche in politica estera siano cominciati gli sbandamenti.

Levata di scudi, si chiama in gergo, la reazione di alcuni ministri di primo piano alla riflessione affidata dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg all’Economist la scorsa settimana: “È il momento che gli alleati valutino di eliminare alcune delle restrizioni sull’uso delle armi che hanno dato all’Ucraina”. L’ipotesi evocata da Stoltenberg è permettere a Kiev di utilizzare le armi occidentali per colpire obiettivi militari nemici anche in territorio russo.

Contrarietà hanno manifestato, sebbene con toni assai diversi, i ministri Antonio Tajani, Guido Crosetto e Matteo Salvini – il quale si è spinto a chiedere le “scuse” o le “dimissioni” del segretario generale.

Cosa ha deciso Stoltenberg? Nulla

“Non decide Stoltenberg”, è stato il comune denominatore di questi commenti, lasciando intendere che il segretario generale avesse preso decisioni che non competono al suo ruolo. In realtà, Stoltenberg non aveva deciso nulla, né l’aveva fatto credere nella sua intervista. Ma se non c’è alcuna decisione, com’è ovvio, perché tanto allarme? Perché prendere un invito a “valutare” come qualcosa di già deciso, come lesa maestà? Perché trasferire sui media e sui social una discussione in corso da tempo in sede Nato (i ministri degli esteri alleati si incontreranno a Praga giovedì e venerdì), fingendo di cadere dalle nuvole?

Come ha chiarito ieri lo stesso Stoltenberg, “spetta agli alleati decidere se togliere le restrizioni sulle armi consegnate all’Ucraina, non è una posizione della Nato, è una decisione presa dai singoli alleati. Alcuni alleati hanno deciso che non ci sono restrizioni, altri alleati hanno imposto restrizioni diverse. Il mio messaggio è che penso che sia il momento di riconsiderare alcune di queste restrizioni. Perché dobbiamo ricordarcelo, il diritto all’autodifesa include il diritto di colpire obiettivi militari legittimi all’esterno dei confini. Noi alleati della Nato abbiamo il diritto di aiutare l’Ucraina a difendere il diritto all’autodifesa e questo è esattamente ciò che hanno fatto gli alleati della Nato fornendo sostegno militare all’Ucraina. Questo – ha specificato Stoltenberg – non rende la Nato parte del conflitto“.

L’idea che fornire armi agli ucraini e permettere loro di usarle secondo le necessità belliche significhi far parte del conflitto, entrare in guerra con la Russia, è sbagliata dal punto di vista legale e rappresenta un’adesione alla propaganda di Mosca, che ovviamente ha tutto l’interesse a dissuaderci dal mandare le nostre armi a Kiev.

Stoltenberg non ha deciso nulla, ha posto un tema che è da tempo dibattuto nell’Alleanza e sarebbe ipocrita negarlo. Al segretario generale spetta “guidare le consultazioni e il processo decisionale” dell’Alleanza. Cos’altro sarebbe invitare a “valutare”, “riconsiderare” etc, nel momento in cui tra l’altro gli alleati stanno già valutando?

Spettando le decisioni ai governi alleati, queste reazioni scomposte arrivate per lo più dall’Italia hanno avuto il solo effetto di mettere in risalto le divisioni in seno all’Alleanza, nelle quali Mosca si è subito incuneata. Non avendo Stoltenberg detto nulla di scandaloso né di sorprendente, si poteva benissimo aspettare di discuterne alla riunione informale di Praga.

Le armi sono quelle Usa

Non nascondiamoci poi dietro un dito, le armi di cui si sta parlando non sono certo italiane. La valutazione sulle restrizioni d’uso è in corso soprattutto a Washington, con il Dipartimento di Stato e il segretario Antony Blinken che caldeggiano almeno un alleggerimento delle restrizioni.

E i sistemi d’arma di cui si parla sono americani: i missili superficie-superficie a lungo raggio ATACMS e il lanciarazzi multiplo HIMARS. Probabile che Washington finirà per autorizzare l’uso di queste armi per colpire obiettivi militari limitati in territorio russo, ovvero le basi e le postazioni da cui partono gli attacchi missilistici russi. Se e quando avverrà, sarà sempre troppo tardi.

L’auto-deterrenza dell’Occidente

Ma se siamo immersi in questi dibattiti surreali è anche per l’errore originario dell’amministrazione Biden, che in Ucraina come in Medio Oriente si è lasciata e si lascia ancora guidare dalla paura dell’escalation, così mettendosi pian piano nella posizione di subire le minacce e le sfide all’ordine internazionale e alla sua leadership, o di provocarla davvero una escalation, quando subire non sarà più un’opzione.

Lo ha spiegato molto bene ieri il ministro degli esteri della Lituania Gabrielius Landsbergis: “Il più grande problema tra quasi tutte le questioni che stiamo affrontando è la nostra paura. Paura di quello che la Russia può pensare, di come potrebbe reagire. A questo punto la nostra paura sembra un invito. Un invito non solo ad agire più violentemente in Ucraina… Ma anche un invito ad agire nei nostri Paesi”.

L’appeasement che deriva dalla paura è sempre foriero di sciagure, come la storia insegna. Come ricordava anche Stefano Magni qualche giorno fa, sono due anni che assistiamo alle stesse discussioni su ogni sistema d’arma fornito a Kiev. Ogni volta la paura dell’escalation o addirittura di un conflitto nucleare ha ritardato la decisione. Quando alla fine le armi sono arrivate, sebbene con il contagocce, la Russia non ha fatto nulla.

Mentre i russi minacciavano direttamente Kiev, non si volevano fornire agli ucraini neppure le armi pesanti: all’inizio si sono dovuti accontentare dei lanciarazzi a spalla (Javelin e Stinger), niente artiglieria e carri armati. Poi, nell’estate 2022, è arrivata l’artiglieria, ma non a lungo raggio – non sia mai – e in nessun caso i carri armati. Dopo lungo ed estenuante dibattito sono stati sdoganati anche i carri armati. Ma un anno di guerra era già trascorso e il momento favorevole agli ucraini era andato, i russi si erano riorganizzati dopo la débâcle dei primi mesi.

Infine Washington ha rotto il tabù dell’artiglieria a lungo raggio ma solo ora, due anni e tre mesi dopo l’inizio della guerra, inizia ad essere schierata sul campo. Adesso sono stati sdoganati anche gli F-16, ma si dovrà attendere fino al 2025 per vederli in azione.

La fornitura di ciascuna di queste armi avrebbe dovuto scatenare una guerra diretta tra la Nato e la Russia e invece niente. Se le nazioni occidentali avessero iniziato a fornire gli stessi sistemi d’arma di oggi ma fin dal 24 febbraio 2022, l’Ucraina avrebbe avuto buone chance di respingere i russi nel momento in cui erano più vulnerabili e disorganizzati. La nostra esitazione ha regalato tempo a Putin per riorganizzare le sue armate e fortificare le posizioni.

Scaricato Israele

Purtroppo, lo sbandamento del governo Meloni non è limitato all’Ucraina, riguarda anche Israele e la guerra con Hamas. Qui il nostro governo ha mutuato dall’amministrazione Biden la richiesta di cessate-il-fuoco, la contrarietà all’operazione a Rafah e le critiche al governo Netanyahu. La posizione dei Repubblicani Usa, a cui un governo di centrodestra dovrebbe guardare, è opposta.

Preoccupante che un ministro attento e razionale come Guido Crosetto accusi Israele di “seminare odio”. Il 7 Ottobre sembra rimosso, l’attacco missilistico iraniano anche. Il ministro invita a discernere tra Hamas e la popolazione palestinese. Ma è Hamas, come sappiamo, il primo a non discernere, usando i civili come scudi umani. Mentre l’esercito israeliano cerca di minimizzare il numero di vittime civili, al contrario Hamas si sforza di massimizzarlo.

Anche l’alto numero di vittime del recente raid israeliano su Rafah è dovuto al fatto che Hamas nasconde i suoi leader e le sue armi tra i civili (oltre che nelle sedi Onu). Questo sì un crimine di guerra, mentre una struttura civile usata come centro di comando o deposito di armi diventa un obiettivo militare legittimo. Ogni singola vittima civile a Gaza è da imputare ad Hamas. E purtroppo la sua cinica, criminale arma di propaganda funziona, finché i governi occidentali sono disposti a bersela.

L’operazione a Rafah

L’operazione a Rafah è una cartina di tornasole. Chi è contrario vuole la sopravvivenza di Hamas. Non ci piove, dal momento che i governi occidentali non possono non sapere che da Rafah passano i rifornimenti e le armi che permettono ad Hamas di sopravvivere, come provano le decine di tunnel scoperti che la collegano all’Egitto.

E infatti su questa il gabinetto di guerra israeliano è compatto, anche Benny Gantz e Yoav Gallant, non certo uomini di Netanyahu, la ritengono necessaria. Non l’amministrazione Biden, che infatti dall’8 ottobre sta cercando di legare le mani a Israele per salvare Hamas e salvaguardare i rapporti con il Qatar e l’appeasement con Teheran.