Politica

Chi ha interesse a sabotare l’accordo con Tunisi e cosa possiamo fare da soli

I sabotatori puntano a logorare e smorzare la carica del governo Meloni in vista delle Europee. Partenariato con Tunisi, pulizia normativa e missione antipirateria

Meloni Saied

A sorprendere non è quanto sta accadendo in questi giorni a Lampedusa. A sorprendere è che ancora ci si sorprenda, dopo anni in cui assistiamo allo stesso identico copione. Come ha mirabilmente spiegato il nostro Musso in due articoli, ciò che l’Ue ha promesso a Tunisi di fare è “molto poco”. Ma ciò che ha promesso di lasciar fare è “parecchio”, anche per merito di Giorgia Meloni.

Ha promesso “pochi soldi”, che non ha ancora versato. Qui a sentirsi giustamente preso in giro è il presidente tunisino Kais Saied.

I sabotatori

E qui c’è evidentemente una manina interessata, nei palazzi di Bruxelles e di altre capitali, che lavora per sabotare l’esecuzione dell’accordo con Tunisi. Chi sono i sabotatori? Chi ha interesse a destabilizzare il governo italiano, a impedire che l’accordo Ue-Tunisia possa funzionare, e che a raccoglierne i frutti sia il governo italiano guidato da Giorgia Meloni. Tanto più se i frutti politici dovesse raccoglierli in vista delle Europee 2024.

Qualche indizio possiamo trovarlo nella delegazione del Parlamento europeo a cui Saied ieri ha negato l’ingresso in Tunisia: era una squadra di sabotatori. Possiamo provare a ipotizzare che a Parigi, a Berlino (entrambe le sponde politiche sotto pressione dell’AfD), e il partito francese a Roma, abbiano tutto l’interesse a sabotare l’accordo con Tunisi.

Paura dell’effetto Meloni

Non dimenticate l’immagine della conferenza stampa congiunta di Saied con l’inedito trio Von der Leyen-Meloni-Rutte. Un successo del “modello Tunisi” significherebbe un’affermazione della leadership europea di Giorgia Meloni e, di conseguenza, vento in poppa per la Le Pen in Francia e per AfD in Germania. Gli elettori europei chiamati al voto il prossimo giugno potrebbero convincersi che vale la pena, per una volta, mettere alla prova “le destre”, e che forse non sarebbe un salto nel buio.

Ed è questa “attrazione fatale”, la prospettiva che il successo elettorale di Meloni possa diventare “esportabile”, che chi oggi governa l’Ue teme più di ogni altra cosa.

Fare da soli, fare presto

Poi, spiega Musso, c’è quel che l’Ue ha promesso di “lasciar fare”: in particolare, un “partenariato operativo contro il contrabbando” e per “facilitare la migrazione legale regolare”, un “partenariato strategico e comprensivo”. E questo, ha suggerito ieri Musso, possiamo farlo da soli, senza indugio alcuno, anche staccando noi l’assegno per Tunisi.

Guardate le immagini di chi è sbarcato a Lampedusa. Non c’è un solo tunisino, sono tutti subsahariani. Il presidente Saied vuole chiaramente liberarsene, non è affatto contento che il suo sia diventato un Paese di transito e partenza, il che sta tra l’altro recando tensioni sociali anche in Tunisia, già alle prese con una grave crisi finanziaria.

Quindi, a nostro avviso non chiede di meglio che essere aiutato a bloccare i flussi, il che significa sia fermare le partenze, sia controllare i confini tunisini. Ed è ovvio che la prima cosa aiuti parecchio la seconda: se dalla Tunisia non si parte, non c’è motivo di entrarvi.

Non si tratta di complotti, ma di politica. Stando così le cose, il governo Meloni deve comprendere che non può permettersi di perdere tempo, non può permettersi immagini come quelle – da Repubblica delle Banane – che arrivano da Lampedusa. Perché l’orizzonte temporale della legislatura sarà anche il 2027, ma l’appuntamento elettorale di giugno 2024 è fondamentale ed è a quello che i suoi avversari, in Italia e in Europa, stanno puntando per smorzarne la carica.

Bisogna dare atto alla premier che in questi mesi è riuscita a ottenere a Bruxelles un cambio di approccio, che però sta rimanendo sulla carta – e probabilmente ci rimarrà, a meno di sconvolgimenti nelle urne il prossimo giugno.

Come ripete, la questione dei cosiddetti ricollocamenti è del tutto secondaria. Va sempre ricordato – ma spesso anche media e politici di centrodestra sembrano dimenticarsene – che anche se funzionasse, la redistribuzione riguarderebbe sempre solo i profughi, una quota minima – tra il 10 e il 20 per cento – degli arrivi. Il punto è fermare le partenze, difendere le frontiere esterne.

Meloni quindi non può permettersi di aspettare, sperando che dalle urne emergano equilibri a lei più favorevoli a Bruxelles. Perché se aspetta, e durante tutta la campagna elettorale, come sta già accadendo, la situazione nei nostri porti, nelle nostre piazze, davanti alle stazioni, appare fuori controllo, va a finire che le elezioni non le vince, il momento magico del suo governo svanisce e tanti saluti ai sogni di cambiamento in Europa.

Pulizia normativa

Ora sembra che il governo stia già lavorando ad un nuovo “decreto sicurezza”. Speriamo che stavolta non si tratti di una toppa, come quella sulle ong, ma di un intervento complessivo. Anche se dovesse volerci qualche giorno in più, sarebbe preferibile affrontare tutti gli aspetti. Ne cito alcuni, quelli su cui a mio avviso non c’è sufficiente riflessione.

Innanzitutto, una operazione di “pulizia” normativa. Abrogare le norme introdotte dai governi immigrazionisti, a partire dalla terribile legge sui minori non accompagnati, che sta favorendo una vera e propria tratta di minori – veri o presunti – come “trigger” di ricongiungimenti.

Andrebbe chiarito dal punto di vista normativo, e comunicativo, che chiunque entri illegalmente sul territorio italiano perderà per sempre ogni possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per qualsiasi motivo diverso dallo status di rifugiato. Andrebbe limitato il riconoscimento della protezione al solo status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra, ristretta la discrezionalità nella verifica della sussistenza della qualifica di rifugiato (le modalità di accertamento non sono imposte dal diritto internazionale), specificati e resi più severi i motivi di sicurezza e ordine pubblico che giustificano il respingimento e l’espulsione (per esempio, chi crea disordini negli hotspot).

Operazione antipirateria

Un altro aspetto da affrontare è quello dei “naufragi”. Tra virgolette, perché è evidente a chiunque dotato di onestà intellettuale che non siamo in presenza di veri naufragi, i quali per definizione, anche legale, sono eventi imprevisti e imprevedibili, non organizzati. Quelli a cui assistiamo sono messe in scena criminali, che purtroppo spesso si trasformano in tragedie, non per pura fatalità ma per cinismo.

Riconoscere questa realtà di fatto implica di gestire il flusso di barchini e barconi verso le nostre coste non in termini esclusivamente di soccorso, ma di pirateria. Fino ad oggi, anche con questo governo, abbiamo impiegato i nostri mezzi per il trasbordo dei migranti, facilitando il lavoro dei trafficanti esattamente come le navi delle ong. Andrebbero invece mobilitati gli asset della Marina militare e dell’Intelligence per localizzare, respingere, catturare, affondare.

Un’operazione antipirateria, a ridosso delle acque territoriali tunisine e libiche – e con il consenso dei rispettivi governi anche all’interno. Dev’essere chiaro che non si passa.

Coalizione di volenterosi

Infine, coinvolgere altri Paesi europei – sia mediterranei che non, come il Regno Unito – che condividono la necessità di un radicale cambio di approccio, stabilire un comune quadro normativo e impegnarsi in missioni navali congiunte, così da evitare l’isolamento e garantirsi reciproca copertura giuridica e politica.

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