Politica

Da Fazio un triennio di informazione omologata ai dogmi sanitari

Altro che “civile” o “garbato”, un programma anestetizzante, congegnato per spingere una narrazione a senso unico. Unica soluzione: privatizzare la Rai

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L’Italia è il Paese delle anomalie. Non fa eccezione il sistema radiotelevisivo che le incarna tutte.

Tre anomalie

La prima atipicità è che esista ancora un servizio pubblico concepito come un bottino di guerra per la politica (di qualsiasi colore). La seconda anomalia è che, nell’ambito di questa spartizione, alcuni credano di essere intoccabili e inamovibili pur rappresentando solo una parte minoritaria del Paese (quella aderente ai canoni del politicamente corretto che le conferisce una sorta di autorità morale).

La terza anomalia è che, dopo un triennio di informazione omologata ai dogmi sanitari, proprio Fabio Fazio, che ha consentito a Roberto Burioni di imperversare sull’etere senza contraddittorio, o che ha ospitato a ripetizione l’allora ministro Roberto Speranza fornendogli assist più che rivolgendogli domande, passi per un “martire della libertà” e che il suo trasferimento su un’altra rete venga raccontato come una ferita alla democrazia.

Programma a senso unico

Come al solito, siamo al mondo alla rovescia, costruito ad uso e consumo di una certa narrazione ideologicamente orientata.

Il tipo di programma congegnato da Fazio non può essere definito in maniera semplicistica “civile” o “garbato” – come si legge in certi coccodrilli particolarmente spassosi pubblicati sui principali quotidiani – ma piuttosto ovattato, anestetizzato, incentrato su alcune opinioni e mai su quelle contrarie, sempre sugli stessi ospiti (magari con un libro o un film in uscita) e mai su presenze diverse da quelle previste dal consueto e monotono copione.

Perciò, oggi pare assurdo e pure un po’ grottesco stracciarsi le vesti per “il migliore” che lascia la Rai come ha scritto in un accorato tweet Annalisa Cuzzocrea.

Privatizzare la Rai

Ergo, con queste premesse così deprimenti, la Rai o sarà capace di riformarsi in senso pluralista (prima sul piano culturale e poi su quello politico, anche se l’intreccio tra le due cose nel nostro Paese è spesso inestricabile), oppure andrà messa sul mercato e trasferita al miglior offerente.

Ma, visto che la prima opzione appare una pura utopia per inguaribili sognatori, non resterà che fiondarsi sulla seconda. Senza iperbolici commiati o lacrime da coccodrilli.

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