Politica

Il no italiano affossa il nuovo Mes: vendetta per il Patto-capestro?

Tempismo sospetto: l’accelerazione sul Mes fa pensare ad una ritorsione per essere stati trascinati dentro un compromesso franco-tedesco insoddisfacente

Meloni Giorgetti

La sera prima, mercoledì, era stato raggiunto l’accordo sul nuovo Patto di Stabilità. Nemmeno 24 ore dopo, giovedì mattina, ecco la bocciatura del disegno di legge di ratifica del nuovo trattato del Meccanismo Europeo di Stabilità, il controverso Mes.

L’aula della Camera lo ha respinto, non approvando il primo articolo del testo, con 184 voti contrari, 72 a favore e 44 astenuti. A favore della ratifica Pd, Più Europa, Italia Viva e Azione. Contro Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 Stelle. Astenuti Forza Italia, Noi Moderati e Alleanza Verdi e Sinistra. Maggioranza spaccata, insomma, ma tutto sommato in modo soft, con una astensione.

Il tempismo

Tempismo sospetto? Che i due temi – riforma del Patto di Stabilità e Mes – fossero in qualche modo collegati è una lettura maliziosa, ma non infondata, che è stata al centro del dibattito per mesi.

Di sicuro c’è l’accelerazione impressa dalle forze di maggioranza contrarie al Mes: subito dopo l’intesa all’Ecofin di mercoledì hanno chiesto la convocazione della Commissione Bilancio per giovedì mattina, dove hanno fatto passare un parere negativo alla ratifica (sempre con l’astensione di Forza Italia e centristi).

Parere negativo

“Ritenuto che la proposta di legge sia carente di meccanismi idonei a garantire il coinvolgimento del Parlamento nel procedimento per la richiesta di attivazione del Meccanismo europeo di stabilità, con ciò escludendo le Camere da procedure di significativo rilievo sul piano delle scelte di politica economica e finanziaria, e che tale esclusione potrebbe incidere sulla possibilità per il Parlamento di monitorare in modo adeguato eventuali effetti indiretti della ratifica del Trattato, considerando che la mera richiesta di versamento di ulteriori quote di capitale”, ai sensi dell’articolo 9 del trattato istitutivo del Mes, “si prospetta come cogente rispetto ad ogni impegno di finanza pubblica, determinando intuibili effetti a carico della finanza pubblica”.

Poi, in aula, la maggioranza ha richiesto e approvato una inversione dei punti all’ordine del giorno, in modo da passare subito all’esame della ratifica del Mes, respingendola. Ora, per sei mesi, cioè fino a dopo le elezioni europee, la Camera non potrà tornare sull’argomento.

Riflessione in Europa

Il governo formalmente si è rimesso al Parlamento e ha “preso atto” del voto della Camera. “Si tratta di un’integrazione di relativo interesse e attualità per l’Italia, visto che come elemento principale prevede l’estensione di salvaguardie a banche sistemiche in difficoltà, in un contesto che vede il sistema bancario italiano tra i più solidi in Europa e in Occidente”, osservano fonti di Palazzo Chigi. “In ogni caso, il Mes è in piena funzione nella sua configurazione originaria, ossia di sostegno agli Stati membri in difficoltà finanziaria”.

Sibilline le conclusioni: “La scelta del Parlamento italiano di non procedere alla ratifica può essere l’occasione per avviare una riflessione in sede europea su nuove ed eventuali modifiche al trattato, più utili all’intera Eurozona”.

Il nuovo Patto di Stabilità

È ancora presto per valutare se il compromesso siglato all’Ecofin sul nuovo Patto di Stabilità possa essere considerato un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. C’è chi sottolinea il ritorno in vigore dei vecchi parametri numerici cari ai rigoristi e chi osserva come comunque le nuove regole non appaiano così ferree, ma manovrabili a seconda del contesto e del profilo del Paese. C’è lo scorporo di alcuni investimenti e, significativo, per tre anni, dell’aumento del costo del debito dovuto al rialzo dei tassi.

Ci sarà tempo per approfondire, qui ci limitiamo a due osservazioni. La prima, sulla conferma di una scelta di fondo, da almeno vent’anni, mai messa in discussione da nessuno: la politica economica verso cui il nuovo Patto, come il vecchio, orienta tutti gli spazi fiscali concessi è quella rigorosamente keynesiana.

Bruxelles e gli Stati membri sembrano non concepire altra strada per la crescita che quella degli investimenti pubblici, più o meno ideologicamente individuati. Infrastrutture e digitale quando va bene, piste ciclabili quando va male. Nemmeno presa in considerazione l’idea di liberare il potenziale di crescita attraverso taglio delle tasse e deregolamentazione.

Il solito schema franco-tedesco

L’altra osservazione è di metodo. Alla fine, secondo uno schema che si ripete spesso nei processi decisionali Ue, dopo che per diversi giorni si era parlato di una visione comune tra Roma e Parigi, i francesi hanno trovato l’accordo con i tedeschi e noi non abbiamo saputo far di meglio che accodarci.

Nei giorni precedenti era stato evocato un veto italiano: un accordo che impegna l’Italia per lustri, se non decenni, comunque ben oltre l’orizzonte temporale di una legislatura, non si poteva certo chiudere in videocall. Eppure, alla fine è quanto è accaduto.

Il ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti non è sembrato particolarmente entusiasta, spiegando di aver assentito per “spirito di compromesso”, più che per convinzione sembra lasciare intendere.

Ritorsione?

La bocciatura del Mes arrivata a stretto giro, dunque, come vendetta per essere stati trascinati dentro l’intesa franco-tedesca, posti di fronte alla decisione di assumerci in solitudine l’onere di farla saltare e di rinviare tutto al prossimo anno? No, non si può escludere che sia andata così.

Delle due l’una: o davvero non c’era legame, non c’era una logica di “pacchetto” tra nuovo Patto di Stabilità e Mes, e allora resta da spiegare il tempismo della bocciatura. Oppure, erano entrambi nella stessa partita e il governo italiano non è rimasto soddisfatto dal compromesso sul nuovo Patto – e da come è stato “accompagnato” ad accettarlo – e allora si è vendicato con il no al Mes.