Politica

La pedagogia climatica: spaventare, colpevolizzare, educare

Lo story-telling ecoansioso dilaga: scopo, neppure tanto celato, far digerire altre misure liberticide ed economicamente insostenibili. Modello è lo Stato etico

Ecoansia

È il tormentone dell’estate. Avrebbe meritato una hit di Fedez da ballare in spiaggia: il rap dell’eco-ansia. Secondo un sondaggio diffuso su Repubblica, ne soffrirebbero sette italiani su dieci. Probabilmente, gli altri tre sono da considerarsi degli incoscienti negazionisti, ignari del grave pericolo che stiamo correndo.

Dalle colonne del Domani apprendiamo che una definizione dell’eco-ansia era stata già fornita nel 2011 dal filosofo australiano Gleen Albrecht: “La paura cronica della rovina ambientale”. Sono trascorsi dodici anni e questa patologia sembra essersi acuita, soprattutto a livello politico e mediatico. Perciò, dopo le estati funestate dal terrorismo sanitario, ecco giunto il flagello ambientale.

Lo schema è esattamente lo stesso del Covid: spaventare, colpevolizzare, educare. Lo scopo, neppure tanto celato, è quello di far digerire altre misure liberticide o economicamente insostenibili. Che si possano ripetere gli stessi risultati “lusinghieri” raggiunti nell’epoca pandemica è tutto da verificare. Intanto, il dado è tratto e lo story-telling ecoansioso dilaga a tutti i livelli.

Gli eco-ansiosi Amato e Mattarella

Questa settimana, aveva aperto le danze Giuliano Amato su Repubblica avvisandoci che “non c’è più tempo per una transizione graduale”. Occorre un clima di concordia nazionale simile a quello che consentì di battere il terrorismo negli anni ’70: “E questa non è una situazione diversa, anzi per certi aspetti anche peggiore perché il terrorismo del clima è indiscriminato”. Insomma, se i toni sono questi e se stiamo lottando per la sopravvivenza, è chiaro che l’escalation – come direbbe Giuseppe Conte – è ormai inarrestabile.

Tanto è vero che è giunto pure l’appello sottoscritto da sei capi di Stato dell’area mediterranea – tra cui Sergio Mattarella – nel quale si parla esplicitamente di “stato di emergenza climatica”, Poi ci avvertono che “non c’è più tempo da perdere, non c’è più tempo per scendere a compromessi per ragioni politiche o economiche”. Più avanti, vengono illustrate anche le modalità con cui raggiungere nell’immediato questi obiettivi: “Sensibilizzare l’opinione pubblica, educare e ispirare in tutti l’etica della responsabilità ambientale”.

In zona Covid

Siamo esattamente in zona Covid, in quello stretto perimetro che non lascia spazio alle scelte individuali e sovrappone la morale ai diritti. Allora, non c’è da meravigliarsi che, per i firmatari di questo appello, non esistono motivazioni politiche o economiche che possano ostacolare la transizione ecologica. Non c’è più contemperamento tra i vari interessi in gioco.

Così come il richiamo alla salute pubblica ha fagocitato  le nostre libertà, così il credo ambientalista potrebbe sovvertire il nostro stile di vita. Naturalmente, una rivoluzione (o contro-rivoluzione) di questo tipo va fatta metabolizzare alla popolazione, attraverso continue sollecitazioni, insinuando il sospetto che siano i comportamenti errati delle persone ad averci condotto sull’orlo della catastrofe, isolando coloro che dissentono rispetto alle pericolose accelerazioni del turbo-ecologismo.

Dissidenti da isolare

D’altronde, la conventio ad excludendum di chi si oppone alle tesi care a Greta è già partita da un pezzo. Si è innestata sullo stesso binario già seguito durante il triennio emergenziale. Così, in men che non si dica, i climatologi hanno preso il posto dei virologi e la giostra è ripartita. Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera ha scritto che critica le politiche green chi ha scarsa diffusione e ha bisogno di differenziarsi dagli altri per un po’ di visibilità.

Ergo, coloro che esprimono un’opinione contraria sono influenzati da forti pregiudizi, dalla necessità di ritagliarsi un ruolo di bastian contrari dipingendo, invece, gli “esperti” come “menagramo invidiosi”. Al massimo, quelli che sono considerati fenomeni da baraccone possono essere invitati durante i talk show per ravvivare un po’ il dibattito ma per il resto vanno reputati come complottisti sprovvisti di buon senso e che non vedono ciò che “è sotto gli occhi di chiunque”. Per cui, non c’è discussione.

Lo stato di emergenza climatica è diventato un dogma simile a un precetto religioso: o credi ciecamente o sei un eretico (per i più oltranzisti, da mandare al rogo). Eppure, sull’onda lunga dei disastri sanitari, quello che sta andando in fumo è l’idea di società aperta e tollerante, quella propagandata solo a parole mentre nei fatti il modello è lo Stato etico così pervasivo da contagiare tutto l’arco politico.

Pichetto e Zaia nella trappola green

Le lacrime del ministro Gilberto Pichetto Fratin di fronte alle eco-ansie di una ragazza incontrata al Festival di Giffoni o l’apertura di credito a Ultima Generazione (gli eco-attivisti spesso protagonisti di proteste estreme) sono un pessimo segnale.

Così come le parole del presidente del Veneto, Luca Zaia – secondo solo a De Luca nell’intransigenza sanitaria -, che è caduto anche lui nella trappola ambientalista paragonando i famosi negazionisti ai no vax.

Dunque, in un contesto così inquietante, non sembra esserci via d’uscita per coloro che cercano disperatamente di aggrapparsi a un barlume di ragione. A nulla vale che Jim Skea, il nuovo responsabile dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite), abbia smorzato l’allarme contestando l’ipotesi assurda che l’umanità possa estinguersi per l’aumento di un grado e mezzo della temperatura.

Parole – queste sì – di buon senso che forse sono sfuggite a Cazzullo ma non solo a lui. La pedagogia ha sempre le stesse rigide regole: spaventare, colpevolizzare, educare. Imporre e censurare. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, fino a marzo 2020.

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