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La svolta Schlein: Pd da partito di governo a partito populista

Bandiere ideologiche per mobilitare al di fuori del Parlamento, cercando di tenere il Paese in un continuo stato di agitazione col favore dei media. Ma non tutto torna…

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Elly Schlein è persona che suscita una simpatia o antipatia di pelle, da cui ci si deve guardare per cogliere l’autentica svolta che la sua elezione comporta per l’identità e la collocazione del Pd.

La ricerca del “nuovo” a tutti i costi

A cominciare dal vulnus arrecato agli iscritti, cioè coloro che nel bene e nel male hanno tenuto e tengono fisicamente in piedi il partito: hanno apprestato i seggi, per poi vedere prevalere il voto dei c.d. potenziali elettori, difficilmente classificabili rispetto ai risultati delle recenti politiche (votanti, astenuti, transfughi da 5 Stelle…).

Non ne è scaturita una fisiologica espressione, bensì una patologica condanna della base associativa, maturata sull’onda della ricerca del “nuovo”, come via di uscita da una sorta di paralisi politica che esponeva ormai alla continua erosione da parte dei 5 Stelle.

Certo, come non si è mancato di notare, a far da battistrada è stata l’ascesa di Giorgia Meloni, con quel tanto di novità rappresentato dall’essere donna, che si è costruita e promossa da sola, senza contare su una qualche esplicita o implicita quota rosa.

Ma la Meloni ha addirittura fondato Fratelli d’Italia, mentre la Schlein ha conquistato il Pd dall’esterno, con una propria storia identitaria rispetto a quello stesso Pd, cui si è riscritta solo alla vigilia della corsa per la segreteria, pur dovendogli in toto la sua pregressa carriera politica, di deputata europea, consigliera, parlamentare.

La polarizzazione Meloni-Schlein

Come per la Meloni, ne è seguita una concentrazione su di sé della presenza pubblica del partito attraverso i mass media, con una elevata personalizzazione che dovrebbe assicurare alla neo-segretaria la rendita già evidente di un confronto a due, tra donne giovani e forti, nel completo dominio della scena, sì da alimentare opposte tifoserie, con una sovrapposizione quasi fisica delle loro immagini a quelle dei rispettivi partiti, o addirittura a quelle dei loro rispettivi ruoli, di governo e di opposizione.

Tale personalizzazione è funzionale alla necessità di offrire una immagine unitaria del Pd, all’insegna di quel compromesso istituzionale costituito dall’elezione di Bonaccini a presidente del partito, carica peraltro più di apparenza che di sostanza, ridimensionata dalla composizione di una segreteria a stretta misura della stessa Schlein, nonché dalla sostituzione dei capigruppo parlamentari.

Ma non se ne deve dedurre una sorta di pace disarmata fra le vecchie correnti interne, tacitate ma non soppresse, perché ne andrà verificata la tenuta rispetto all’effettiva azione politica, ma certo per ora la neosegretaria appare saldamente in sella, come testimoniato dai sondaggi, con un recupero di 4-5 punti, a sua volta coronato dalla inaspettata vittoria di un centrosinistra unito in un sol blocco nelle elezioni comunali di Udine.

L’arma dell’antifascismo

Ora pare possibile indovinare quale sia la strategia della Schlein, con a cornice la polemica contro leredità fascista, destinata, oggi forse più di ieri, a negare al centrodestra – amputato della parola centro a favore della conversione dell’etichetta di destra in quella di destra estrema – la legittimazione democratica derivante da una costituzione antifascista.

Il che ridimensionerebbe la netta vittoria della destra alle elezioni politiche, perché questa non sarebbe di per sé sufficiente a guadagnare la patente di democraticità, come ben insegna l’ascesa al potere per via parlamentare di Mussolini e di Hitler, per non parlare degli autocrati dell’attuale congiuntura storica, tanto più tenuto conto di una partecipazione elettorale a tali ultime elezioni pari a circa il 50 per cento e dell’attestarsi di Fratelli d’Italia sul solo 25 per cento dei voti espressi.

Un partito populista

Questo fa da sfondo ideologico allo spostamento dell’opposizione al di fuori di un Parlamento dove appare strettissimo il margine operativo del Pd, tenuto conto anche del difficile rapporto con i 5 Stelle, più che potenziale alleato, un pericoloso concorrente.

In Parlamento si tratterebbe di forzare alcune proposte legislative, pur nella piena consapevolezza della nessuna speranza di portarle in porto, anzi accentuandone la radicalità, per farne altrettante bandiere della mobilitazione popolare, per cui risulterebbe sufficiente poter contare sulla partecipazione di alcune decine di migliaia di proseliti, debitamente enfatizzati da tutta una coorte favorevole di mass media.

La Schlein interpreterebbe così perfettamente il copione di un Pd ben lungi di essere un partito a vocazione maggioritaria all’insegna di dichiararsi di governo e di opposizione, ma un partito di opposizione frontale, che punta a impersonare e promuovere ogni protesta.

Se si dovesse etichettarlo tornerebbe buona anche la parola populista, nel senso di coagulare la rabbia sociale che matura in ogni società occidentale nella presente difficile transizione, coinvolgendo l’intero potenziale di contrasto disponibile all’esterno del Parlamento, al di là del continuo illudersi su una rottura traumatica del centrodestra, che sembrerebbe doversi produrre inevitabilmente alla morte fisica di Silvio  Berlusconi.

Stato di agitazione permanente

La scelta dei temi è già stata fatta: ecologia, precarietà, diritti civili, su cui dare l’impressione di fornire la linea anche rispetto ai 5 Stelle, cercando di tenere il Paese in un continuo stato di agitazione, di per sé poco o nulla propizio ad un governo di centrodestra, che dovrebbe assicurare un ritmo di vita ordinato e pacifico.

In questa prospettiva è significativa la tendenza a saldarsi con la protesta sociale patrocinata nella sua versione più radicale da Cgil e Uil; nonché con la opposizione istituzionale alla eliminazione della protezione umanitaria assunta dai maggiori comuni e dalla cinque regioni ancora in mano alla sinistra, senza passare attraverso la mediazione delle relative associazioni rappresentative.

Non tutto torna

Certo, non tutto torna. È vero che la stretta sulla sinistra da parte dei 5 Stelle e sulla destra dal Terzo Polo si è attenuata di molto, i primi divenuti relativamente afoni a fronte della sterzata a sinistra della Schlein; e il secondo letteralmente esploso, ad un ulteriore conferma di una ormai scontata polarizzazione della scena politica italiana.

Ma non è sufficiente a coprire il fianco “sinistro” del Pd rispetto ai 5 Stelle, con riguardo alla scelta allineata alla Nato e all’Unione europea circa la difesa ad oltranza dell’integrità territoriale dell’Ucraina, che di per sé lascia come unica via di uscita alquanto problematica, per non dire di più, una vittoria totale dell’una o dell’altra parte.

Né a coprire il fianco “destro“, una volta che quello del centro diviene un problema che da esterno si fa interno allo stesso Pd, coincidendo con quello del filone cattolico, ormai sottorappresentato nella segretaria e nel programma, che sotto forma di una rivendica piena dei c.d. diritti civili, contrasta con alcuni “dogmi” dello stesso cattolicesimo sociale in tema di famiglia, di procreazione, di liberalizzazione della cannabis.

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