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Le chiavi del mondo e la guerra: decenni di disarmo un grave errore

Non sarà mica che l’eccessivo utilizzo della parola “pace”, tanto cara alle anime belle della sinistra, porti alla guerra? Che avessero ragione i romani, col loro “Si vis pacem para bellum”?

putin pacifismo © DenisKuvaev e CGinspiration tramite Canva.com

La fortuna è cieca, ma la sfortuna ci vede benissimo. Così si diceva tempo fa, quando ancora si poteva parlare di una buona sorte possibile ed a ciò affidarsi. Quando ancora si credeva che esistessero fortuna e malasorte, c’era persino chi credeva nel determinismo, come Bacone, Spinoza, Liebniz per citarne solo alcuni. Una sorta di fil rouge tracciato dagli eventi storici passati avrebbe permesso ai contemporanei di immaginare il possibile sviluppo di quelli futuri, come un mazzo di chiavi che potesse aprire quelle porte rimaste chiuse per troppo tempo e dietro alle quali si potessero trovare le mappe per orientarsi in terre sconosciute. Poi, le cose sono cambiate.

Conoscenza una brutta bestia

Dalla rivoluzione industriale alle grandi scoperte scientifiche, attraversando il pionierismo del tutto-è-possibile e tutto-possiamo-fare, nato con gli albori dell’era cibernetica, per giungere ai nostri giorni, in cui molti ipotizzano la caduta nel baratro della catastrofe immanente, il passo è stato, tutto sommato, abbastanza breve. Nel trascurabile lasso di tempo di tre sole generazioni, siamo passati dalle sbuffanti macchine a vapore alle guerre stellari, un periodo insufficiente a liberare l’umanità dal senso d’incertezza che affligge i popoli più evoluti, quelli che si fanno anche troppe domande e quelli ai quali non basta fare una cosa soltanto perché la facevano i propri padri.

La conoscenza è una brutta bestia. Assumerne dosi eccessive fa male e rovina la vita, si direbbe. Se facessimo un ragionamento deduttivo, dovremmo considerare che ciò sia sempre accaduto, fin dai tempi più lontani. Anche per i nativi americani che vedevano sfrecciare le fumose locomotive della Union Pacific tra le loro atterrite mandrie di bufali, il nuovo incuteva timore ed incertezza per quella umana quota di futuro che potessero immaginare. Persino la scoperta del fuoco deve aver maggiormente terrorizzato che rassicurato gli astanti.

L’autodeterminazione

Ma il vero elemento che ha cambiato la metrica di valutazione degli eventi osservabili e vivibili, passando dalla logica lineare a quella esponenziale, è stato il crescente senso di autodeterminazione, in larghissima parte derivato dalla dilagante conoscenza di sempre nuove cose, le quali hanno l’antipatica caratteristica di possedere un lato oscuro e qualche immancabile controindicazione ancora da sperimentare.

L’enorme impatto sociale delle prime statuizioni generali sui diritti garantiti essenziali, confluite nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, ha indiscutibilmente soffiato sul fuoco del desiderio di autodeterminazione delle genti di ogni parte del mondo. Ma consideriamo da cosa si era da poco usciti: due guerre mondiali e milioni di morti.

Sono quindi necessarie le guerre per raccogliere e armonizzare i migliori intenti delle più nobili anime? La risposta la lascio a voi, non prima di avervi ricordato che, non di rado, le nazioni che siedono alle posizioni centrali dei sommi congressi mondiali, sono quelle che iniziano nuove guerre.

A questo punto del discorso, è necessario invitare farisei e pacifisti da salotto televisivo a sospendere la lettura di questo scritto e dedicarsi ad altro, se non altro perché, arrabbiandosi, dimostrerebbero che tanto tolleranti e amanti della pace non lo sono affatto.

Pace e guerra

Per i restanti: sorge un dubbio, ma di quelli seri e circostanziati. Non sarà mica che l’eccessivo utilizzo della locuzione “pace”, tanto cara alle solite anime belle della sinistra mondiale, quella giusta, equa, solidale, progressista e chi ne ha più ne metta, porti alla guerra? Il rischio è quello. Ricordate la pax romana, che tutti sappiamo come si ottenesse e per quali scopi? È forse quella che, per alcuni Trump e per altri Putin, vorrebbero imporre al popolo ucraino? Anche in questo caso, non sarò io a suggerire la risposta; fate voi.

Rimarrebbe, comunque, una considerazione d’ordine generale: è possibile parlare di pace senza la guerra? Sarebbe come parlare di medicina senza riconoscere l’esistenza delle malattie. Su questo campo si sta giocando una partita sporca e stupida. Troppe le voci che si sentono proporre una possibile pace in Medio Oriente o in Ucraina come se la guerra fosse stata voluta e generata da un paio di cattivoni, eliminati i quali, più meno pacificamente, e, ponendo fine alla guerra, todo modo tornerebbe la tanto acclamata pace duratura.

Israele e Hamas

Ma di quale pace, men che mai duratura o anche solo ventennale, stiamo parlando? Consideriamo quella che, irrealisticamente, alcuni immaginano tra Israele e i terroristi islamici di Hamas. Non ho scritto tra Israele e lo Stato X, ma tra uno Stato sovrano (i cui governanti piacciano o meno all’estero ma siano liberamente eletti) ed una formazione terroristica multinazionale. Due popoli in due Stati? Che fregnaccia è questa? Israele esiste già dal 1948 e gli israeliani già vi risiedono. Ma quale Stato per Hamas? Chi li vuole quelli? Nessuno, statene certi, men che mai i confinanti.

Un conto è fornire loro armi e supporto logistico, ben altro prenderseli in casa. Basterebbe chiedere ai sostenitori di Hamas se desiderino avere un loro Stato o se preferirebbero spazzare via gli ebrei da Israele – e non solo da lì – per farne l’ennesimo stato islamico e colà risiedervi. Particolare non irrilevante: parliamo della più moderna, civile e ben attrezzata nazione del Medio Oriente, mica di un pezzo qualsiasi di deserto. Chi non vorrebbe abitare in Israele (se non venisse bersagliata da missili da decenni ormai)?

L’Ucraina

E come la mettiamo con l’Ucraina, una parte dei quali abitanti – non si sa di preciso quanti – vorrebbe tornare alla Russia o persino all’ex Urss? Quante volte certi confini, quali quelli del Donbass, sono cambiati negli ultimi anni? Di sicuro sentiamo dire al presidente ucraino che vorrebbe entrare nella Nato. Lo penseranno tutti i suoi governati? A Kiev non sono ammessi sondaggi demoscopici. Non sarà mica che lo stato di guerra abbia qualche utilità per alcuni, al netto del grosso d’una popolazione stremata e colpita in quel poco che avevano.

Si spera che finisca la guerra perché le cose vadano meglio, ma di quale “meglio” parliamo? Altra domanda senza risposta. In entrambi gli scenari geopolitici, vale un principio ferreo. Fa più paura il dopoguerra che la stessa guerra, non soltanto perché in ambo i casi, le popolazioni di quelle zone con la guerra abbiano una certa confidenza, bensì perché, fatte certe divisioni e tracciati certi confini, tornare indietro porterebbe inevitabilmente ad altri conflitti a catena.

Facile sbandierare stracci variopinti con su scritto “pace”, ove non si finisca in galera per molto meno ed ove sia ammesso un dissenso consistente in manifestazioni violente e non autorizzate. Provassero a farlo nei Paesi che a loro tanto vanno a genio! Altrettanto facile ipotizzare un mondo senza guerre. Così si fa il gioco di chi la guerra la fa davvero con missili e carri armati e senza tante bandiere e buffonate simili.

Allo stesso modo, era ampiamente ipotizzabile che le immancabili anime belle si sarebbero scandalizzate sentendo Ursula Von Der Leyen dire (evidentemente non a titolo di opinione personale) che l’Europa dovrebbe destinare molte più sostanze destinate al riarmo. Se la baronessa, ossia la massima voce rappresentativa dell’Europa, avesse ragione, ne deriverebbe che il generalizzato disarmo per interi decenni sia stato un grave errore. Non v’è terza soluzione.

Che avessero ragione i romani, col loro “Si vis pacem para bellum”?