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Brexit, Trump, Macron e caso Skripal: qualcosa non torna nella vulgata sulle fake news dei “troll” russi

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Dopo il tentato omicidio dell’ex agente russo Sergei Skripal e di sua figlia Julia, a Salisbury, il 4 marzo scorso, avvelenati con un gas nervino, quattro nazioni hanno accusato il Cremlino di essere responsabile dell’attentato. Oltre al Regno Unito, che ha subito il primo vero e proprio attacco con armi chimiche sul suo suolo, a schierarsi contro la Russia di Putin sono gli Stati Uniti, la Germania e la Francia. Non tutte e quattro hanno però reagito con la stessa prontezza e determinazione.

Si era detto molto della riluttanza di Donald Trump nell’esprimere una condanna esplicita e del suo licenziamento del Segretario di Stato Rex Tillerson, proprio il giorno dopo che quest’ultimo aveva puntato il dito direttamente contro Putin. Ma non appena la May ha condannato Mosca per la sua responsabilità oggettiva di quanto accaduto, Trump si schierava con Londra, senza “se” e “ma”. Ciò vuol dire due cose: che Tillerson esprimeva già la linea della Casa Bianca e dunque il suo licenziamento non è affatto legato alla “durezza” della sua presa di posizione contro Mosca. Non è casuale che, fra i motivi del suo allontanamento, Trump abbia citato divergenze sull’Iran, non sulla Russia. Secondo: anche il nuovo corso della politica estera, non sarà tenero con Mosca, se queste sono le premesse. Negli stessi giorni della condanna politica, infatti, è stato approvato un pacchetto di sanzioni Usa alla Russia, accusata di aver “inquinato” la campagna elettorale del 2016. Interessante notare che il documento di condanna, con cui vengono annunciate le sanzioni economiche (che colpiscono 5 entità e 19 cittadini russi), sia firmato da Steve Mnuchin, segretario al Tesoro dell’amministrazione Trump. Cioè il beneficiario, in teoria (solo per il fatto che abbia vinto), di quell’inquinamento russo delle elezioni.

Il 14 marzo, in piena crisi fra il Regno Unito e la Russia, dalla Francia si udiva una voce indecisa che citava una serie di dubbi. Il Times britannico riportava le parole di Benjamin Griveaux, portavoce di Emmanuel Macron, che definiva tutta la vicenda come “Una sfida alla May sulla Russia”. E di suo non intendeva giudicare il comportamento del Cremlino: “Non ci lanciamo in fantasie politiche. Quando vi saranno elementi di prova, allora sarà tempo di prendere decisioni”. Una posizione analoga a quella di Matteo Salvini, il più filo-russo fra i candidati premier italiani. Visto che queste dichiarazioni hanno provocato un mezzo terremoto in Gran Bretagna, l’Eliseo si è sentito in dovere di emettere un comunicato ufficiale. Da notare, però, la differenza, di tono e di contenuti, fra questo comunicato francese: “Fin dall’inizio della settimana, il Regno Unito ha esposto agli alleati in genere e alla Francia in particolare, che la Russia sia molto probabilmente responsabile dell’attacco”. E il comunicato statunitense: “Gli Stati Uniti condividono la convinzione del Regno Unito che la Russia sia responsabile per lo scriteriato attacco con gas nervini contro un cittadino britannico e sua figlia”. Il primo si riassume con un “mi hanno detto così, forse è vero (forse no)”, il secondo è un “avete ragione, siamo con voi”.

Eppure Trump è tuttora descritto, proprio dalla stampa più europeista e quindi anti-putiniana, come una sorta di burattino nelle mani di Putin, un prodotto delle famigerate fake news diffuse dai troll del Cremlino. Quegli stessi troll che adesso vengono sanzionati… dall’amministrazione Trump. Al contrario, Macron era stato salutato, al momento della sua elezione, come il trionfatore nella lotta contro le fake news del Cremlino. “Congratulazioni ad Emmanuel Macron, ai francesi che hanno scelto la libertà, l’eguaglianza e la fratellanza e hanno detto no alla tirannia delle fake news”, lo salutava Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo. Che, essendo polacco, probabilmente ci sperava anche sinceramente. E non dimentichiamo, poi, che la parte lesa, in questa vicenda, è proprio quel Regno Unito uscito dall’Ue… grazie alle fake news russe? Così ci insegnano, persino nei corsi di deontologia giornalistica: la Brexit sarebbe uno degli esempi più eclatanti di influenza sull’opinione pubblica per mezzo delle fake news diffuse dai troll del Cremlino.

Qualcosa non torna. Forse questi troll russi hanno puntato sui cavalli sbagliati e si sono persi l’occasione di comprare quello vincente, quello giovane, francese che piace ai salotti buoni? O forse le fake news non sono come quelle che ci descrivono? La seconda ipotesi pare proprio la più credibile. Anche alla luce del fatto che la propaganda russa ha sostenuto candidati, partiti e movimenti politici che appena dimostrassero più affinità con gli interessi russi, a prescindere dalla loro appartenenza politica, anche se erano gli uni contro gli altri nello stesso paese. Ma non si parla di controllo, né di elezioni pilotate, né tantomeno di governi fantoccio. Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che Brexit, Trump e Putin non sono affatto la stessa cosa, come invece tende a dire il giornalista collettivo. E che non sempre la battaglia in difesa dell’Occidente e dei suoi valori coincide necessariamente con quella dell’Unione Europea o dei partiti euro-entusiasti.

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