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Cattivi consigli all’Italia: perché non conviene la resa a Erdogan e la sponda a Teheran

A Quarta Repubblica siamo andati a documentare la gestione dei migranti sulla rotta balcanica. Respingimenti violenti e bambini in gabbia

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A leggere gli articoli di Alessandro Orsini, professore LUISS, su Il Messaggero e Huffington Post, c’è da restare basiti per le proposte che avanza. Solo qulche mese fa, proponeva al governo italiano di stringere un’alleanza strategica con la Turchia di Erdogan. Una alleanza che si sarebbe dovuta realizzare per almeno due ragioni: la presenza turca in Libia, che è schierata dalla stessa parte dell’Italia; l’ascesa turca nell’arena internazionale, sostenuta da demografia, economia ed esercito.

Domenica scorsa, su Il Messaggero, poche ore dopo la proclamazione di Biden presidente eletto da parte dei network Usa, Orsini ha auspicato che l’Italia si faccia promotrice di un dialogo tra Stati Uniti e Iran perché, a suo avviso, la possibilità che l’Iran attacchi Israele sono pari a zero e “non si capisce perchè l’Italia debba pagare un prezzo così alto per una guerra di parole”.

Posizioni a nostro avviso che non corrispondono non solo ai nostri principi, ma anche ai nostri interessi geopolitici. Partiamo dalla Turchia: in primis Italia e Turchia in Libia non sono dalla stessa parte. O meglio, lo sono perché i turchi si sono impossessati della Tripolitania, costringendo di fatto l’Italia a svolgere un ruolo di secondo piano. Peggio, oggi l’Italia dipende dal buono o cattivo umore di Erdogan per quanto concerne il Nord Africa, dove Erdogan ha tracciato i confini marittimi con Tripoli senza consultare Roma, dove può aprire e chiudere a piacimento il rubinetto dell’immigrazione clandestina, minacciando cosi la stabilità di tutto il continente europeo. E dove Ankara sta sostenendo jihadisti salafiti che – come mostra l’attentato di Vienna – rappresentano un pericolo diretto per la sicurezza nazionale. Quella che Orsini propone, quindi, non sarebbe una alleanza tra due partner, ma la resa italiana all’egemonia in salsa neo-ottomana di Erdogan.

La politica imperialista di Ankara, tra l’altro, resta in realtà molto fragile, visto che la lira turca ha perso ben il 30 per cento del suo valore negli ultimi mesi e visto che Erdogan – contro il parere degli esperti – continua a esigere che si tengano bassi i tassi. Non accettando critiche, ha ben pensato di sostituire il presidente della Banca Centrale Turca, scaricando su di lui la drammatica decrescita dell’economia nazionale.

Passando all’Iran, ancora una volta pensare che Teheran non attaccherà mai Israele è drammaticamente falso. Semplicemente perché è dal 1979 che l’Iran attacca Israele. Pur senza usare un esercito convenzionale – che in Iran si chiama Artesh e vale zero – il regime iraniano fin dalla sua nascita usa i Pasdaran per finanziare e armare decine di milizie sciite e sunnite sparse per il Medio Oriente, le più importanti delle quali (Hezbollah, Jihad Islamica, Hamas) votate proprio alla distruzione dello Stato ebraico. Senza contare che, se parliamo di Stati Uniti, è dal 1984 che Washington considera il regime iraniano il primo finanziatore del terrorismo internazionale. La parentesi obamiana, di cui Biden è stato in quota parte artefice, dovrebbe aver aperto gli occhi al presidente eletto sui rischi insiti nel legittimare la Repubblica Islamica. Quando è stato fatto, nel 2015, ciò non ha in alcun modo razionalizzato il comportamento del regime, ma ha solo permesso a Teheran di portare avanti indisturbato il suo programma nucleare, missilistico e di espansione regionale. Ex malo bonum, l’imperialismo iraniano ha almeno dato una svolta decisiva alla mentalità del mondo arabo sunnita moderato, che ha aperto gli occhi sulla necessità di riconoscere Israele, andando oltre la questione palestinese. Una svolta resa possibile dal presidente Trump, che ha saputo andare oltre i vecchi schemi, mettendo da parte modelli diplomatici fondati sull’ideologia e il buonismo, ma totalmente fallimentari.

Concludendo, se l’Italia dovesse seguire le proposte di Orsini, si ritroverebbe ad essere junior partner di un regime, quello turco, ormai considerato un pericolo da tutta l’Europa e si ritroverebbe alleata di un altro regime, quello iraniano, che dell’Occidente è nemico da sempre. L’Italia, al contrario, dovrebbe seguire esattamente i consigli opposti: sostenere l’alleanza tra Israele e il mondo sunnita moderato per diventare l’hub europeo di questa alleanza strategica, che da Riad arriva fino a Nicosia (anche e soprattutto per diversificare i propri approvvigionamenti energetici) e continuare a sostenere l’isolamento del regime iraniano, proprio per diventare il partner di riferimento europeo di quel mondo arabo sunnita che ha bisogno di aumentare i propri commerci con l’Occidente e che intende farlo sostenendo gli ideali della tolleranza, della lotta al radicalismo e della convivenza.

Se, all’interno di questa cornice chiara, Roma può essere un ponte verso Ankara e Teheran, ben venga. Ma non senza che prima siano messi bene in chiaro con Erdogan e Khamenei, quali sono le condizioni per dialogare: fine del sostegno all’estremismo islamico, fine del sostegno al terrorismo, riconoscimento di Israele, fine del negazionismo e fine di una “diplomazia” basata sulle minacce e sul sostegno all’Islam politico. 

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