Esteri

Cortocircuito a destra: l’insostenibile attrazione per Putin

La guerra ha messo a nudo il problema: perché mostrarsi fieri difensori dei valori occidentali, per poi diventare agnellini pacifisti quando questi sono attaccati da Putin?

Esteri

Man mano che procede la guerra in Ucraina, diventa sempre più chiaro che nella destra democratica occidentale abbiamo un problema. In realtà non riguarda solo i “conservatori”, ma anche e soprattutto i nazionalisti, parte dei liberali classici, gran parte dei libertari.

I conservatori non hanno alcuno strumento di raccordo diretto con il Cremlino, non rispondono neppure alla stessa ideologia di base, non hanno interessi comuni con la Russia putiniana, anzi, avrebbero tutto da perdere da una sua eventuale vittoria. Ma inevitabilmente, sistematicamente, in modo più o meno esplicito, cambiano il loro discorso a seconda di come Putin si pone.

Gli opinion leader Usa

Se questo fenomeno era abbastanza subdolo negli anni scorsi, in tempo di guerra è diventato lampante. Qualche esempio? Ce n’è da vendere, ma prendiamo il misterioso sabotaggio al gasdotto Nord Stream. È nell’interesse dei russi far credere che siano stati gli americani ad averlo sabotato.

Puntualmente, a rilanciare questa tesi, negli Usa, è Tucker Carlson, opinionista di Fox News, seguitissimo, che piace sia ai conservatori che ai libertari. La sua tesi è risultata talmente puntuale, sentita e convincente da essere rilanciata persino dalla televisione di Stato russa.

Quando, nel corso dell’estate, la minaccia principale era quella della crisi alimentare, il primo a riprendere la retorica terroristica russa (“rimarrete senza cibo, sarete inondati da immigrati africani”) è stato l’ambiente conservatore, con influencer di successo come Jordan Peterson (psicologo) il cui video sembra scritto direttamente da Dugin: “È Guerra Russo-Ucraina o guerra civile in Occidente?”.

Anche dei veri campioni dell’opinione pubblica conservatrice americana come Ann Coulter arrivano a sostenere la tesi che la Nato non ha ragione di esistere dopo la fine dell’Urss e che questo conflitto è stato provocato dagli Stati Uniti.

Gli elettori Repubblicani

Non c’è da stupirsi se poi, nei sondaggi, gli americani registrati come Repubblicani mostrino il più basso tasso di approvazione degli aiuti militari all’Ucraina, appena il 34 per cento è favorevole all’attuale livello di aiuti (contro il 56 per cento dei Democratici), il 46 per cento dei Repubblicani ritiene che gli Usa stiano dando troppo, contro appena l’11 per cento dei Democratici.

Anche se i deputati e i senatori del Grand Old Party votano assieme alla sinistra per mandare aiuti, la loro opinione pubblica non li segue più. I prossimi che saranno eletti, nel voto di midterm di novembre, probabilmente cambieranno linea.

Francia: Marine Le Pen

Se negli Usa questo fenomeno riguarda soprattutto l’opinione pubblica e meno la classe politica, nelle destre europee l’ambiguità è anche dei politici. Marine Le Pen, ad esempio, ha ammesso di aver preso soldi in prestito da banche russe. Nonostante ciò, ha avuto il voto del 41 per cento dei francesi nelle presidenziali.

In tempo di guerra, con Putin che invade l’Ucraina, quasi la metà dei francesi ha votato per una candidata che prende soldi dall’invasore: è grave, no?

Germania: Angela Merkel

In Germania, Angela Merkel ha dichiarato, anche al settimo mese di guerra, che non c’è pace senza Russia. Non ha specificato con o senza Putin al potere. Sui suoi decennali rapporti ambigui e complici con il dittatore russo, ha già scritto abbondantemente Jacopo Rossi Lucattini su Atlantico Quotidiano e non c’è molto altro da aggiungere.

Ma alla destra della Merkel (che, nell’immaginario collettivo, è ormai parte della famiglia di sinistra) troviamo ancora più ambiguità. L’AfD si è spaccato sulla condanna alla guerra di aggressione russa all’Ucraina, non sa neppure se esprimere solidarietà a Mosca o a Kiev.

Italia: putinismo trasversale

Vogliamo parlare dell’Italia? Le ultime dichiarazioni di Silvio Berlusconi prima del voto parlano da sole, sui rapporti fra Matteo Salvini, Berlusconi e Putin è meglio non parlare ancora (sia mai che poi non veniamo accusati di essere diventati dei giornalisti di sinistra).

In Italia il putinismo della destra è meno evidente, semplicemente perché è più trasversale, essendo dilagante anche nella sinistra, nel Movimento 5 Stelle in particolare.

L’eccezione: i Conservatori britannici

Le eccezioni che confermano la regola sono poche. I conservatori britannici sono graniticamente anti-Putin, per esempio, nonostante siano stati accusati a più riprese di aver collaborato con lui e di aver voluto la Brexit sotto la sua influenza.

E, se non altro per motivi storici (e di sopravvivenza) sono anti-Putin anche i conservatori polacchi. Ma basta andare nelle vicine Ungheria e Slovacchia per trovare di nuovo dei conservatori pro-Putin che, dall’inizio del conflitto, mantengono una linea politica ai confini del collaborazionismo.

Il cortocircuito nella destra

Dunque, è inutile fingere di nulla: esiste un problema nella destra e la guerra lo ha messo a nudo. Per ora i diretti interessati si rifugiano nella negazione, affermano di agire solo spinti dall’interesse nazionale e per pura ragionevolezza, gli americani per isolazionismo (“l’Europa non è un nostro problema”), gli europei per “evitare escalation”.

Ma c’è, evidentemente, un tilt nella cultura conservatrice: perché mostrarsi come i fieri difensori dei bastioni occidentali, per poi diventare improvvisamente agnellini pacifisti quando i bastioni suddetti vengono attaccati da Putin?

Un parallelo: i socialdemocratici con l’Urss

In attesa che qualche politologo di professione se ne occupi, proviamo ad abbozzare un parallelo storico che ci permette di capire meglio cosa sta succedendo. I conservatori attuali stanno a Putin quanto i socialdemocratici stavano al regime comunista sovietico.

I socialdemocratici non erano comunisti, non lo erano per motivi di divergenza strategica, perché preferivano arrivare al socialismo per via democratica e non con l’uso della forza. E non lo erano per motivi di sopravvivenza: sapevano che, in caso di unificazione socialista, sarebbero stati i primi ad essere epurati da un Partito Bolscevico, poi Comunista, che non ammetteva concorrenza.

Alcuni socialdemocratici storici, come Karl Kautsky, furono i primi ad elaborare una politica interna ed estera anti-comunista. Il programma di Bad Godesberg, nella Germania occidentale del Dopoguerra, tracciò una linea netta fra comunismo e socialdemocrazia.

Nonostante tutto, ogni tentativo di appeasement, di “ostpolitik” e di riconoscimento del blocco comunista, porta sempre la firma di un socialdemocratico. Perché al di là della circostanza di Guerra Fredda, i socialisti democratici riconoscevano di essere della stessa natura di quelli autocratici di Mosca.

L’unità socialista è sempre stato un sogno irrealizzato, ma non è mai morto. Anzi, nei tempi dell’idillio fra Mitterrand e Gorbaciov pareva quasi realizzarsi. Il dilemma dei socialdemocratici non venne mai sciolto: fu solo l’Urss a risolverlo, sciogliendosi.

Gli equivoci sul globalismo

Il mondo conservatore è meno strutturato al suo interno. Per cui il discorso è molto più vago e ci obbliga a ricorrere ad alcune generalizzazioni, ma stiamo assistendo a qualcosa di veramente simile: i conservatori, nell’ultimo decennio, si sono identificati nello stesso humus culturale di Putin.

Quasi mutuando pari-pari gli stereotipi della propaganda di sinistra, la maggioranza dei conservatori si è vista partecipe di una “ondata sovranista” di cui fanno parte, indifferentemente, leader democraticamente eletti, come Orban, Salvini, Trump, opposizioni democratiche come quella della Le Pen e autocrati che usano il voto solo per confermare il loro potere come, appunto, Putin.

La causa comune è la lotta contro il fantomatico “globalismo”, che non si è mai capito se sia mossa dalla legittima paura contro la centralizzazione del potere negli enti sovranazionali (Ue, Onu e loro ramificazioni) o dalla paura ancestrale contro la globalizzazione dei commerci e la società aperta, tipica dei reazionari e degli autocrati.

La mancanza di chiarezza, sia sulla natura del nemico, sia sul modello politico da promuovere, ha permesso di allargare questa famiglia ideale a democrazie e dittature, indifferentemente, purché fossero contro “le élite globaliste”.

Senza organizzare alcun congresso, senza avere alcuna Internazionale, si è creata una comunità internazionale di conservatori del XXI Secolo che includeva anche Putin. Anche se i politici conservatori non lo ammetteranno mai, questa comunità è viva e vegeta, anche in piena guerra, nei cuori e nelle menti dei loro elettori.

Eppure il conservatorismo occidentale, meglio ribadirlo ancora una volta, non ha veramente nulla da guadagnare da una vittoria russa. Ha semmai tutto da perdere. La Russia vuole abbattere quel modello occidentale, cristiano, liberale, democratico, che i conservatori difendono o dovrebbero difendere.

Una Bad Godesberg della destra

Eppure, anche di fronte ad un’aggressione palese russa… quanti balbettii che si continuano a sentire a destra! Per uscire da questa incertezza, l’unica via è prima di tutto ammettere l’esistenza del problema e affrontarlo a viso aperto.

Ci vorrebbe un programma di Bad Godesberg nelle destre occidentali. Quantomeno, ci vorrebbe un programma, per evitare di vedere ancora la destra confinata nella spazzatura della storia, come era avvenuto all’indomani della sconfitta del nazismo.

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