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Dazi, immigrazione, Brexit: verso la fine dell’integrazione europea

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Ombre oscure aleggiano sul futuro del progetto europeista. Dallo shock per i dazi americani su acciaio e alluminio alle contrapposizioni interne sul tema migranti, mai come in questa fase storica il sogno di un continente unito appare fragile e in pericolo. Concepito come un esperimento per legare Francia e Germania dopo i massacri novecenteschi ed esorcizzare lo spettro di ulteriori bagni di sangue, oggi questo nobile progetto ha scoperto i suoi limiti strutturali, al punto che persino l’idea di trasformare l’Europa in un soggetto geopolitico capace di confrontarsi alla pari con Stati Uniti e Cina appare tutto fuorché realizzabile.

Lo dimostrano le profonde lacerazioni che contrappongono i tre più importanti partner continentali. Da una parte c’è la Francia, leader ambizioso ma privo di veri alleati, che, come da tradizione, preme con forza per una riforma dell’Unione in senso favorevole ai propri interessi nazionali, complice l’evidente introversione tedesca. Dall’altra l’Italia, con un nuovo governo a trazione populista desideroso di attuare le roboanti promesse elettorali e che guarda con scaltro interesse ai mutamenti di potere in atto fra i due pesi massimi continentali. Nel mezzo, la Germania: minacciata dalle tensioni governative fra i partner di coalizione sul tema migranti e colpita al cuore dall’offensiva dell’amministrazione Trump sui dazi. L’obiettivo di Washington è lo stesso perseguito da qualsiasi governo americano da inizio Novecento a oggi: dividere gli europei per isolare la Germania e impedirle di consolidare la sua presa egemonica sul resto del continente. Per chi avesse dubbi a riguardo, di recente il ministro degli esteri tedesco ha parlato apertamente della necessità di costruire un’Europa post-atlantica…
Nel mentre, aumentano le lacerazioni intra-europee. A est dell’Oder è in atto la fronda degli ex paesi comunisti contro Bruxelles, con i partner euro-orientali per nulla convinti di dover rinunciare alle proprie specificità nazionali per abbracciare l’idea europeista di una progressiva e crescente integrazione, né tantomeno di dover salire sul carro di un super-Stato europeo costruito a uso e consumo di Berlino. È forse un caso che governi e cittadini di questi stessi paesi continuino a guardare a Washinton come all’unico referente possibile per la loro sicurezza? Ca va sans dire, in chiave tanto antirussa quanto antitedesca.

Le cose non vanno meglio sull’altro versante atlantico. Il voltafaccia britannico col referendum sulla Brexit resta forse l’esempio più fulgido delle tiepide – per non dire nulle – capacità seduttive dell’Unione, cosa peraltro comprovata in tempi più recenti anche dalle elezioni politiche italiane dello scorso 4 marzo. Mentre nella penisola iberica, caduto l’esecutivo filoeuropeo di Rajoy, una strana coalizione fra socialisti e indipendentisti baschi e catalani rischia di spianare la strada al tracollo definitivo del millenario impero castigliano.

Con un’instabilità via via crescente, le possibilità di rimettere in moto il cammino dell’integrazione europea sembrano un lumicino prossimo allo spegnimento.

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