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Nel ritiro da Kabul non solo una disfatta militare, la crisi culturale dell’Occidente

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La ritirata statunitense da Kabul non è incasellabile negli schemi bellici tradizionali. Essa rappresenta molto più di una sconfitta militare proprio perché in gioco non c’era solo la tenuta delle istituzioni che gli americani avevano provato ad instaurare in Afghanistan. No, ad essere a rischio è anche un modello di società fondato sul rispetto dei diritti umani, che ha sempre animato la cultura occidentale e che ora rischia di scomparire gradualmente, passo dopo passo, quasi senza accorgercene. Non si tratta più soltanto di “esportare la democrazia” dove non è mai esistita, ma di difenderla laddove essa ha perdurato per decenni.

Davvero pensiamo che il ritiro americano — sbagliato non solo nella sostanza, ma anche nei tempi e nelle modalità — non abbia ricadute internazionali? Davvero pensiamo che l’estremismo islamico di qualunque matrice non tragga vantaggio da questa debacle?

Le ragioni della sconfitta, insieme americana ed europea, sono molteplici. Tuttavia, esse sono accomunate da un unico denominatore: il deficit etico-valoriale che, almeno da un decennio a questa parte, pervade il mondo libero. Secondo Ernesto Galli della Loggia, questa assenza di slancio morale riguarda soprattutto le forze militari mandate a Kabul, composte in parte da mercenari — i cosiddetti contractor — e non da veri e propri soldati americani, disposti a morire pur di difendere i principi su cui si fondano gli Stati Uniti: “Sono compatibili o no la fine dell’esercito nazionale e la sua sostituzione con un esercito di specialisti e di mercenari, con una guerra che si pone obiettivi ideologici forti, intrisi di una carica valoriale, come è evidentemente una guerra per ‘portare la democrazia’?”, chiede Galli della Loggia. A questo interrogativo, presto o tardi, i Paesi occidentali dovranno rispondere.

Eppure, come abbiamo accennato all’inizio, questo deficit valoriale non investe soltanto la sfera bellica. Sono anni che l’Occidente rinuncia alla difesa dei propri valori, vergognandosi della propria identità anziché preservarla. Come ha spiegato il professor Marsonet in un’interessante analisi pubblicata su questo giornale lo scorso 30 agosto, in nome di un non meglio precisato multiculturalismo, la società occidentale sottovaluta e talvolta asseconda l’ala più radicale dell’Islam, che minaccia il nostro stile di vita mirando a una vera e propria egemonia culturale:

“Interi quartieri delle nostre metropoli sono governati dalla sharia tanto che, passeggiando in certe aree di Londra, Parigi e Bruxelles, si ha la sensazione di essere trasportati all’improvviso in un mondo completamente diverso.”

“Gli abitanti vivono osservando con scrupolo leggi e usanze dei Paesi d’origine, ignorando con la massima tranquillità ciò che avviene all’esterno. E l’immigrazione incontrollata e favorita dal buonismo imperante in certi ambienti ha aggravato a dismisura la situazione”.

Il declino dell’Occidente è ravvisabile in ogni scelta delle istituzioni politiche europee, non solo per quanto riguarda l’immigrazione. Basti pensare a come abbiamo gestito il Covid, prede come siamo di un terrore irrazionale che ci ha impedito di affrontare l’emergenza sanitaria in modo lucido e mirato. Può sopravvivere una società che rifiuta il concetto stesso di morte e di sacrificio?

Nel bene e nel male i nostri avversari — dal regime comunista cinese agli estremisti islamici — hanno una visione culturale e politica ben precisa e sono disposti a difenderla con ogni mezzo. Una visione oscurantista, retrograda, illiberale. Ma allo stesso tempo chiara e facilmente comprensibile. L’Occidente invece che cosa offre? Sembriamo più impegnati a svilire identità e tradizioni piuttosto che a preservarle. Non a caso la Cancel Culture, che assurge a giudice etico della storia demolendo statue e censurando opere letterarie, è nata proprio negli Stati Uniti per poi diffondersi anche in Europa. Ci troviamo su una nave alla deriva senza rotta né destinazione. È ora di prendere in mano il timone, tutti insieme, per evitare il naufragio. Prima che sia troppo tardi.

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