Economia

Dietro il sacrosanto “Nein” italiano al MES: pacchetto, pacco e contropaccotto

Tutt’altro che conclusa la partita sul nuovo Patto di Stabilità, nei prossimi mesi la consueta lotta fra Berlino rigorista, quindi putiniana, e Washington che vuole il riarmo

Giancarlo Giorgetti (Tv Camera) Giancarlo Giorgetti

L’anno si è chiuso col Nein del Parlamento italiano al Nuovo Trattato MES (Meccanismo Europeo di Stabilità): un Nein sacrosanto per una riforma orripilante della quale già tanto e da tanto abbiamo scritto.

Epperò in curiosa contemporaneità col voto favorevole, da parte del governo italiano, ad una riforma del Patto di Stabilità e Crescita (SGP) altrettanto orripilante, della quale pure abbiamo scritto. La questione si intreccia attorno al ministro Giancarlo Giorgetti e a ciò che egli ha spiegato, in audizione di fronte alla Commissione Bilancio della Camera.

Giorgetti e il MES

Riguardo al Nuovo Trattato MES, già in passato il ministro si era speso a favore della ratifica, ancorché con argomenti assai poverelli. Nemmeno ripresi di fronte alla Commissione: “avere uno strumento in più rispetto a queste situazioni di potenziale pericolo, sarebbe stato più comodo. Ovviamente anche comodo a livello personale: facevo bella figura”.

Evidentemente, il riferimento è al fantomatico backstop bancario: fantomatico, in quanto esso sarebbe intervenuto solo in ultima istanza, cioè nell’impossibile caso che servano ancora soldi dopo che, di una banca in difficoltà, siano già stati espropriati per intero capitale, obbligazioni e correntisti medio-grandi. Roba che manco al circo.

Ad abundantiam, il ministro precisa: “il Mes non è né la causa né la soluzione del nostro problema, perché il nostro problema si chiama debito” … cioè, non si chiama banche. E specifica: “noi abbiamo il sistema bancario più solido credo in Europa … e, quindi, non credo che abbiamo conseguenze di questa natura”.

Tradotto: del Nuovo Trattato MES chissenefrega. Un giudizio parziale, visto che esso conteneva problemi ben più grandi di quelli che Giorgetti si è degnato di segnalare; ma, a un ministro in carica, forse era impossibile chiedere di più.

Giorgetti e il pacchetto

Ben altre – aggiunge – sarebbero le cose importanti: nel Nein c’è “la presa d’atto che, per quanto riguarda l’unione bancaria, mercato dei capitali anche l’assicurazione sui depositi, purtroppo di progressi a livello europeo non se ne fanno”.

È la logica a pacchetto de “il tutto si tiene”, che “il Parlamento ha sempre rivendicato e il governo ha sempre rivendicato”. E che Giorgetti sostiene di aver difeso: “a livello europeo … una cosa gliel’ho detta”. Tradotto, dateci una vera unione bancaria e dei capitali – non quel cesso amorfo del fantomatico backstop bancario – e vi daremo retta. In difetto, non cominciamo nemmeno ad ascoltarvi.

Giorgetti e le regole fiscali transitorie

Posizione impeccabile, formalmente per un leuropeista e sostanzialmente per un sovranista: infatti, Berlino non sarà mai e poi mai disposta ad una vera unione bancaria e dei capitali. Ma, allora, perché lo stesso Giorgetti contemporaneamente ha dato il proprio assenso alla riforma dello SGP?

Perché – lui dice – era sempre meglio che “tornare a delle regole molto peggiori rispetto a quello che questo Paese affronterà nei prossimi mesi”. E lo specifica bene: “quest’anno [2024] funziona un meccanismo misto di vecchie regole, con le linee guida da parte della Commissione europea” … regole transitorie e non il nuovo SGP.

Perciò – lui dice – “qui non c’è nessun fallo di reazione per il patto di stabilità, perché cosa?”. Tradotto … non c’è ancora nessun nuovo SGP.

Giorgetti e il nuovo patto di stabilità

Allora, cosa diavolo ha approvato? Invero, un mandato negoziale: le basi per un mandato al Consiglio europeo di negoziare col Parlamento europeo. Basi che lo stesso ministro si preoccupa di cannoneggiare con inattesa meticolosità: “abbiamo creato un sistema di regole complicato, complesso ma ahimè mobile che rischia di diventare addirittura pro-ciclico”. In una parola: “abbiamo introdotto, rispetto a un sistema già complicato (quello della Commissione), il caos totale” [sic].

Eppoi, “le spese di investimento strategiche per l’Europa”, altrimenti dette “i fini politici stabiliti a livello europeo”: “la transizione energetica, un nuovo concetto di sicurezza rispetto alle sfide che arrivano dalla Russia, la transizione digitale”. Fini politici che le nuove regole fiscali rendono “irrealistiche, utopistiche perché non possono essere realizzate” [sic].

Ce n’è abbastanza per affermare che il ministro si oppone chiaramente ad uscire dalle regole transitorie per entrare nel nuovo patto.

Giorgetti e il Trilogo

Possibilità di successo? Non insignificanti, visto che tutto “dipende da come va il famoso Trilogo (perché lì c’è Consiglio, Commissione, Parlamento europeo) che deve ratificare e approvare questo tipo di patto”. Lui si dice speranzoso: “non è affatto detto che il Parlamento europeo accolga questa concezione molto limitativa degli investimenti, che è attualmente nel patto”.

Ed è per questo che si rifiuta di far previsioni di impatto sulla finanza pubblica italiana: “soltanto dopo allora, parte un percorso e una proiezione che dalla traiettoria tecnica permette a ogni singolo Paese di immaginare lo scenario del 25 e andare in avanti”.

Giorgetti e Draghi

Deve, però, ammettere di avere contro, in Consiglio, “una larga maggioranza di Paesi”. I quali – lo ha detto prima – è come si oppongano ai “fini politici stabiliti a livello europeo”. Tradotto, è come se non volessero la transizione energetica, e volessero tornare ad amoreggiare con la Russia.

Ed è qui la vera chiave – ci pare – di ciò che accadrà nei prossimi mesi: la consueta lotta fra Berlino rigorista cioè putiniana e Washington che vuole il riarmo. Concetti che abbiamo già visto espressi più volte da Mario Draghi.

Giorgetti e Monti

E che abbiamo letto, più recentemente, da Mario Monti: “un’Europa circondata da Putin, Erdogan, Xi Jinping e forse presto da Trump può davvero permettersi” … “la litania in gotico del nuovo Patto di Stabilità”? E poi ancora: l’assenza di un trattamento favorevole per gli investimenti pubblici nel patto di stabilità “fu un suo grave limite”. Tutto ciò, Giorgetti pare averlo capito.

Meno chiaro se il ministro abbia capito l’altra parte del suggerimento che gli viene dai due testé nominati. La Germania, infatti, non ha perso la faccia solo in quanto putiniana, ma pure per i propri bilanci falsi. Così Monti: “tuttora forte, ma che da qualche tempo si è appannata, ha perso in autorità morale, a volte esporta instabilità o ricorre ad artifici contabili”.

Ed è per questo che sarebbe gran meglio insistere sulla “procedura contro gli squilibri macroeconomici, per spingere la Germania ad adempiere sistematicamente al ruolo di sostegno macroeconomico per l’Europa, a fronte delle possibili conseguenze recessive della maggiore aderenza degli altri Stati membri alle regole di bilancio”.

Se non, addirittura, convincerli a cancellare “lo Schuldenbremse, freno sul debito, come regola costituzionale …, invece di qualcosa di simile a una golden rule che era nella Costituzione tedesca nei decenni del miracolo economico. E così come politica europea”.

Vaste programme, si direbbe. Ma, insomma, tutto fieno in cascina per la trattativa sul nuovo patto di stabilità. Che non si è affatto conclusa col voto favorevole di Giorgetti in Consiglio leuropeo. Bensì, con quel voto è solamente iniziata.

Conclusioni

Accadrà che Berlino avrà partita vinta e, con essa, Putin? Oppure, accadrà che le ragioni della Nato vinceranno su quelle dei putiniani di Berlino? Oppure che lo scontro si prolungherà ben oltre le prossime elezioni leuropee, perpetuando le regole transitorie? Non lo sappiamo.

Solo sappiamo che la partita è tutt’altro che conclusa, che Roma non gioca con Putin e che la forza negoziale italiana non è solo la forza dell’Italia. D’altronde, Roma da sola non avrebbe potuto dire Nein all’orrido Nuovo Trattato MES, come invece ha – molto giustamente ed onorevolmente – fatto.

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