Esteri

Confusi protagonismi e ripicche, così l’Ue mina la governance euroatlantica

L’ambasciatore Sergio Vento: “Europa attanagliata da protagonismi e velleitarismi che ne minano stabilità interna e governance”. A rischio rapporto con gli Usa

Macron Von der Leyen (Eliseo)

La conferenza di Parigi dei giorni scorsi si presenta come la cartina di una Europa che alla vigilia delle elezioni europee soffre di confusi e velleitari protagonismi che minano una bussola comune. Una condizione ben evidenziata dall’intervento del presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, che non escludendo “boots on the ground” nel conflitto ucraino, oltre ad alimentare ulteriori divisioni, con il suo tentativo di avocare la leadership militare in mani francesi rischia di ostacolare la governance euroatlantica.

Sul tema abbiamo intervistato l’ambasciatore Sergio Vento, già consigliere diplomatico di quattro presidenti del Consiglio, ambasciatore italiano negli Stati Uniti, in Francia e alle Nazioni Unite.

L’uscita di Macron

FRANCESCO SUBIACO: Ambasciatore Vento come valuta le ultime dichiarazioni di Macron sul ruolo dell’Europa nel conflitto ucraino?

SERGIO VENTO: Tali dichiarazioni dimostrano, a mio avviso, quanto in alcuni casi le scelte della politica estera siano suggerite da esigenze di politica interna. Compiendo a volte, però, degli errori di valutazione che non vanno sottovalutati.

Macron, infatti, di fronte alle profonde difficoltà della politica interna francese, cerca di rilanciare il proprio mandato tramite un confuso protagonismo nelle relazioni internazionali. Il presidente francese con il suo intervento ha voluto avocare la leadership del sostegno all’Ucraina dalle mani degli Stati Uniti ad una Europa a guida francese, alla ricerca di una ipotetica centralità.

Nel suo intervento Macron ha, infatti, criticato la prudenza tedesca e della componente europea della Nato, e la loro volontà di cercare di non esacerbare il conflitto, non fornendo missili a lunga gittata. Un intervento che ha, giustamente, suscitato non poche polemiche e che riporta alla memoria una valutazione formulata nel 2019 dall’allora vicecancelliere del SPD, Sigmar Gabriel, per cui “la Francia ha sempre ricercato nell’Unione europea un moltiplicatore della propria potenza“.

Nuova sicurezza europea

FS: Che conclusioni trae sullo stato dell’Ue dagli esiti della conferenza di Parigi dei giorni scorsi?

SV: Stiamo assistendo ad una narrativa fondata su una minaccia russa all’intera Ue, ponendo la necessità di una risposta militare europea. Una narrazione che ritengo viziata. Soprattutto perché il conflitto può essere letto come una “diatriba post-sovietica”, che riguarda cioè dinamiche sub-regionali. Le quali vanno contenute e non amplificate sul piano europeo o globale…

Ad esempio, occorrerà seriamente riflettere su una nuova architettura della sicurezza europea, ben inteso in parallelo al rafforzamento e alla razionalizzazione della spesa della difesa europea. Questo sarebbe l’approccio equilibrato all’abusato monito “si vis pacem para bellum”, contemperando esigenze di sicurezza europea a lungo termine e capacità di difesa dell’Unione europea.

Viceversa assistiamo ad un’ulteriore manifestazione del confuso protagonismo francese che cerca di trovare un riscontro negli allarmi dei Paesi baltici, come l’Estonia. Che però non trova un vero seguito europeo. Le vicende russo-ucraine rientrano in una dialettica molto complessa che aldilà dell’aggressione di due anni fa (anacronistica e ingiustificabile), può essere compresa solo se si analizzano gli eventi che hanno seguito la fine della dominazione sovietica e i mutamenti del cosiddetto “Estero Vicino”, cioè la formula che ricordava gli interessi strategici di Mosca fin dagli anni ’90 lungo la linea del moderato e pro-occidentale Yeltsin. Ma tornando al tema della conferenza di Macron, essa si è rivelata come un importante cartina di tornasole dello scenario europeo.

L’Europa delle ripicche

FS: Come le appare quindi lo scenario europeo?

SV: L’Europa è attanagliata da forti protagonismi e velleitarismi, che ne minano la stabilità interna, senza proporre una vera, seria e condivisa governance delle sfide. Il confuso protagonismo francese, non solo di oggi, ma degli ultimi anni, sconfitto pesantemente nel Sahel e respinto nel tradizionale quadrante Siria-Libano, cerca una nuova affermazione ora sul versante orientale.

Parigi cerca di placare in questo modo le proprie profonde contraddizioni sia sul piano sociale che sulla gestione dell’immigrazione e delle connesse tensioni religiose e culturali. La conferenza degli scorsi giorni ci mostra però un altro aspetto.

FS: Quale?

SV: Abbiamo assistito a giochi di assenze e ripicche che la dicono lunga sullo stato dei rapporti tra europei. L’assenza di Macron al singolare vertice G7 di Kyiv convocato dal presidente del Consiglio italiano, e quella della stessa Meloni alla conferenza di Parigi, ne sono un esempio. Così come lo sono le polemiche della Francia contro la Germania e l’Italia.

L’Europa appare divisa e priva di un concreto disegno strategico proprio nel momento in cui i leader europei dovrebbero cercare una piattaforma ed una bussola comuni. Politica estera, di sicurezza e di difesa comuni sono sfide che non possono essere sottovalutate, né affrontate in questo modo. Tali divisioni non sembrano prefigurare un disegno concreto capace di affrontare queste sfide, ma solo una forte ambiguità strategica.

Il malcontento Usa

Macron soprattutto si appiglia alle dichiarazioni del primo ministro estone per cercare di realizzare i bond europei per la difesa. Ma i bond per la difesa per fare che cosa? Perché, se poi guardiamo le cifre pubblicate dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), notiamo che l’aggregato dei Paesi europei spende in difesa quattro volte la Russia. Anche se ovviamente non va dimenticata una ovvia differenza di PPP (purchasing power parity) ovvero di differenze di potere d’acquisto.

Anche Ursula Von der Leyen sempre alla ricerca di qualche “transizione”, dopo il ridimensionamento di quella energetica e di quella digitale, propone ora un inedito ruolo della Commissione nelle politiche industriali della difesa. Questa proiezione rischia di produrre conseguenze che potrebbero anche interferire nei rapporti transatlantici, accelerando il disimpegno degli Stati Uniti, e comunque lanciando una aperta sfida competitiva all’industria americana della difesa.

Le cui conseguenze sarebbero perniciose. Il malumore di Washington è tuttora diffuso e crescente per effetto delle scelte europee nel campo della bilancia commerciale transatlantica della difesa (a dispetto di una certa vulgata antiamericana), per quanto riguarda i mezzi corazzati (Leopard, Marder, Leclerc…) l’aeronautica (Tornado, Eurofighter, Rafale, Gripen…) l’elicotteristica (Eurocopter, Alenia, Westland…), la missilistica (consorzio MBDA), i droni, i sistemi radar e C3. Questa è la vera motivazione delle pressioni americane, peraltro bipartisan, sull’obiettivo della spesa del 2 per cento del Pil. In altre parole si tratta non solo del “quanto”, ma anche del “come” e del “dove”.

La crisi della governance occidentale

FS: Qual è il grave rischio di questo “confuso protagonismo francese”?

SV: Questa leadership francese nel sostegno militare all’Ucraina, non solo sembra portare delle evidenti spaccature interne, ma anche a profondi problemi di sicurezza. Mentre la Germania sembra essere molto cauta, anche per effetto di una crescita economica molto incerta, rispetto ad un coinvolgimento militare diretto, la Francia di Macron, invece, rischia di dividere ancora di più l’Europa, con la possibilità di alimentare un’economia di guerra che potrebbe indebolire ulteriormente gli europei, affossandone la lenta ripresa economica.

L’opzione di un coinvolgimento diretto degli Stati europei nella lotta contro la Russia apre quindi uno scenario altamente preoccupante, rischiando di alimentare nuovamente l’inflazione.

FS: Vede quindi una grande crisi della governance globale?

SV: La crisi della governance occidentale, in questo scenario, mi sembra evidente. I paralleli e successivi allargamenti della Nato e dell’Unione europea hanno spostato i rispettivi baricentri ad est, conferendo un grande risalto a Paesi che storicamente sono appartenuti all’orbita russa e ne sono usciti con il crollo dell’Unione Sovietica, come la Polonia, i Paesi baltici e la stessa Finlandia.

L’effetto paradossale di questo processo è stata la progressiva marginalizzazione dei Paesi fondatori – come Germania, Francia e Italia – che sembrano a rimorchio degli eventi anziché al centro dei veri meccanismi decisionali.

Dal canto suo l’aggressività russa si è rivelata perniciosa attraverso l’estensione della controversia con l’Ucraina da una dimensione postsovietica e sub-regionale ad un vero e proprio conflitto globale, dimostrandosi colma di errori di valutazione e mire anacronistiche. Un’aggressività che potrebbe manifestarsi anche nello scenario dei Paesi baltici in cui una gestione imprudente del rapporto con le minoranze russofone potrebbe creare facili pretesti per alimentare le mire russe.

La mancanza di una leadership collegiale europea, che sembra essere invece corrosa da competitività e divisioni, potrebbe anche ostacolare una governance euroatlantica. La crisi di quest’ultima è latente e si manifesta a Washington sia dal punto di vista strategico, nel dilemma tra Atlantico e Pacifico, che da quello della politica interna.

Un aspetto, quest’ultimo, in cui il passaggio dai partiti tradizionali a movimenti carismatici e/o eterogenei, è la “spia” di profonde incertezze ed ambiguità. Come è evidente nel caso del movimento macroniano in Francia, negli Stati Uniti il singolare duello Biden-Trump appare carico di incognite che attraversano il tessuto della società americana. Ma di questo parleremo in una prossima occasione.

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