Esteri

Forze Usa sotto attacco, se Biden non reagisce incoraggia l’Iran all’escalation

Un altro discorso inadeguato e sfocato. Da 48 ore attacchi dei proxies iraniani contro forze Usa in Siria e Iraq, missili Houthi intercettati. Linea rossa sfidata ma ancora nessuna ritorsione

Biden Air Force One

Dal presidente Joe Biden ieri sera un discorso totalmente inadeguato alla situazione. Il parallelismo tra Hamas e Putin, sebbene finalizzato a ottenere l’appoggio del Congresso alla nuova richiesta di spesa da 105 miliardi di dollari per il sostegno militare a Israele e Ucraina, è sbilanciato e non regge, efficace forse sul fronte interno ma ridicolo su quello esterno. Il parallelismo, semmai, per grado di minaccia e capacità militari, è tra Iran e Russia.

Per la prima volta il presidente ha nominato l’Iran senza che fosse necessaria una sollecitazione della stampa, per dire che “sostiene la Russia in Ucraina e sostiene Hamas e altri gruppi terroristici nella regione. E continueremo a ritenerli responsabili” – ma senza collegare il regime iraniano all’attacco di Hamas e in un breve passaggio che non sarà nei titoli di giornali e tv.

Perché il discorso non era focalizzato sul ritenere responsabile Teheran dei passati, presenti e futuri attacchi dei suoi proxies, ma a placare e blandire il mondo arabo e i palestinesi puntando sugli aiuti umanitari, condannando l’islamofobia negli Usa e ribadendo il concetto che “Hamas non rappresenta il popolo palestinese” – il che è pura ipocrisia, avendo Hamas un consenso maggioritario a Gaza ma probabilmente anche in Cisgiordania.

Tra parentesi, ieri di ritorno dalla visita in Israele, il presidente Biden, rispondendo ai giornalisti sull’Air Force One, ha smentito che funzionari Usa abbiano suggerito a Israele che in caso di attacco da parte di Hezbollah le forze Usa si uniranno all’IDF: “Non vero. Mai stato detto”.

Sfidata la linea rossa

In questo preciso momento tutte le milizie filo-iraniane – armate, finanziate e di fatto controllate dal Corpo delle guardie della rivoluzione (IRGC) – sono mobilitate e attivate (Gaza, Libano, Iraq, Siria e Yemen), con attacchi contro Israele e persino contro basi militari Usa. Dunque, la linea rossa tracciata dall’amministrazione Biden, che ha diffidato attori statuali e non dall’intervenire (“Don’t”), viene apertamente sfidata.

Se l’amministrazione Biden non risponde e non ristabilisce una deterrenza credibile, di fatto invita Teheran ad una escalation di più vasta portata.

Ma Washington sembra in uno stato di denial, negazione, per quanto riguarda il ruolo e le intenzioni iraniane. Il Pentagono addirittura afferma di non considerare gli attacchi in Siria e Iraq, e i missili dallo Yemen, come parte di un’escalation complessiva dell’IRGC ma come eventi da prendere “singolarmente”.

Gli attacchi alle basi Usa

Ieri il primo attacco delle milizie filo-iraniane, con droni e missili, contro la base militare statunitense di al-Tanf e il giacimento di Conoco a Deir el-Zor, in Siria. Droni e missili anche sulla base aerea di Ain al-Asad nell’Iraq occidentale. Ieri notte razzi anche contro l’aeroporto internazionale di Baghdad, dove hanno sede le forze Usa. Mercoledì due attacchi di droni avevano già colpito le forze statunitensi in Iraq, uno dei quali provocando lievi ferite a pochi soldati.

Attacchi in qualche modo annunciati sia dalle parole del ministro degli esteri iraniano sulla imminente apertura di altri fronti da parte di quello che ha definito “Asse della Resistenza”, sia dalla visita, proprio in questi giorni, del comandante della Forza Quds dell’IRGC in Siria e Iraq, dove ha incontrato i leader delle milizie. Ad attacchi simili l’allora presidente Donald Trump aveva reagito nel 2020 con l’uccisione del comandante della Forza Quds Qassem Soleimani.

Missili Houthi intercettati

Ma non finisce qui: mentre gli attacchi contro le forze Usa in Siria e Iraq da parte di proxies iraniani sono in rapido aumento, in totale 7 in 48 ore, mercoledì notte la USS Carney nel Mar Rosso ha dovuto intercettare alcuni missili e droni, sembra una dozzina, lanciati dagli Houthi, in Yemen, verso nord, probabilmente diretti contro Israele. E almeno un missile è stato intercettato dalle difese saudite.

Deterrenza insufficiente

Questi attacchi significano una cosa sola: che il regime iraniano percepisce, a torto o a ragione, la debolezza dell’amministrazione Biden. E sta testando la linea rossa ribadita più volte, dall’attacco di Hamas, dal presidente Biden in persona. Sembra che l’Iran abbia calcolato di poter scatenare attacchi per procura contro Israele e contro le forze Usa senza subire una ritorsione diretta. Che questo calcolo sia sbagliato o meno, evidentemente i segnali di deterrenza lanciati da Washington non sono stati sufficienti e se Biden non risponde la situazione potrebbe degenerare molto rapidamente in una escalation ancora peggiore.

Finora sia la Casa Bianca che il segretario di Stato Antony Blinken hanno detto di non avere prove di un coinvolgimento iraniano nell’attacco di Hamas, mostrandosi riluttanti persino a nominare l’Iran. L’ex segretario di Stato Mike Pompeo, sotto Trump, aveva inserito gli Houthi nella lista delle organizzazioni terroristiche, ma uno dei primi atti di Blinken è stato quello di rimuoverli. E non va dimenticato che l’uccisione di 30 cittadini americani in un solo giorno per mano del proxy iraniano a Gaza è rimasta senza risposta da parte Usa.

Quello che avevamo paventato fin dall’attacco di Hamas del 7 ottobre si sta purtroppo verificando. Sembra che Teheran abbia intenzione di escalare gradualmente attivando le sue milizie in Siria e Iraq, almeno per il momento preservando Hezbollah in Libano. Probabile che anzi stia valutando in funzione della risposta americana se mobilitare o meno anche Hezbollah. Farà le sue mosse basandosi sul livello di reazione – o non reazione – di Washington.

Cosa deve ancora accadere per ritenere superata la linea rossa tracciata da Biden che Teheran sta mettendo alla prova in queste ore?