Esteri

Solo lacrime per gli armeni: come si è arrivati alla pulizia etnica

Ma l’Azerbaigian la farà franca. L’acquiescenza russa trasformatasi in aperta ostilità a Erevan, gli Usa affaccendati in Ucraina e le inutili parole dell’Ue

esodo armeni Nagorno Karabakh

Cos’è il genocidio? Anche, “infliggere deliberatamente ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale, condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica totale o parziale”. Cos’è la pulizia etnica? Rendere un’area etnicamente omogenea, mediante l’uso della forza o dell’intimidazione, per allontanare da una determinata area persone di un differente gruppo etnico o religioso.

Altrimenti detto, in senso stretto genocidio significa “uccisioni di massa”, mentre pulizia etnica significa l’allontanamento forzato da un particolare territorio. Ciò che è in corso nel Nagorno-Karabakh (NK) sarebbe, quindi, pulizia etnica.

I tragici eventi

Non volendo qui entrare nel groviglio giuridico-interpretativo, ci limiteremo a richiamare la più paracula delle leggi italiane, la 92/2004 che istituì il Giorno del ricordo delle foibe. Innegabilmente, Istria e Dalmazia sono stati oggetto di pulizia etnica.

Paracula perché il Parlamento italiano dice di “esodo-infoibati-scomparsi-soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati-morte sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia”. Tutte circostanze che permetterebbero di qualificare tale pulizia etnica come genocidio; unitamente alla banale osservazione che istriani e dalmati, come “gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale”, da quel giorno non esistono più.

Eppure, il Parlamento italiano non dice né pulizia etnica, né tanto meno genocidio, bensì “tragedia – tragici eventi – quelle vicende”. Per il parlamento italiano, cioè, la pulizia etnica degli italiani non è una pulizia etnica. Figurarsi se potrà mai definire tale la pulizia etnica del NK che, quindi d’ora innanzi definiremo come i “tragici eventi”.

Statuto di Roma

Né tale impostazione viene apertamente contraddetta dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, concluso il 17 luglio 1998 e che Erevan forse ratificherà. Esso riconosce sì la “deportazione o il trasferimento forzato di popolazione” come un crimine contro l’umanità; ma specifica che “s’intende la rimozione delle persone, per mezzo di espulsione o con altri mezzi coercitivi, dalla regione nella quale le stesse si trovano legittimamente, in assenza di ragioni previste dal diritto internazionale che lo consentano”.

Esso riconosce sì “la deportazione e il trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o all’esterno di tale territorio” come un crimine di guerra; ma non specifica “diretto o indiretto”, come invece fa a proposito di trasferimenti verso i territori occupati.

Insomma, lo Stato che opera i tragici eventi potrà sempre farla franca nascondendosi dietro il dito della assenza di provvedimenti specifici di espulsione. Come ieri la Jugoslavia, come oggi l’Azerbaigian.

Cacciare un popolo dalla sua terra

Dietro a quel dito si nasconde il presidente azerbaigiano Aliyev, secondo il quale “il processo di integrazione della popolazione armena che vive in Karabakh nella società azera avrà successo”. E pure il suo alleato di ferro Erdogan, per il quale “è motivo di orgoglio che l’operazione sia stata completata con successo in un breve periodo di tempo, con la massima sensibilità per i diritti dei civili”.

Invero – e nonostante ciò che ne pensa Tajani -, Baku ha esplicitamente negato alcun accordo o garanzia internazionale a beneficio della propria minoranza armena: “è una questione interna, sovrana” … cioè, ‘cogli Armeni ci facciamo quel che ci pare’.

La stessa esplosione di un serbatoio di carburante che, a Stepanakert, ha fatto forse 20 morti e 290 feriti, richiama alla memoria la Strage di Vergarolla di Pola che, nel 1946, tanto contribuì ad indurre gli istriani ad andarsene.

Dall’armistizio del novembre 2020, l’unico legame fra Armenia e NK era il cosiddetto corridoio di Lachin, che avrebbe dovuto essere garantito da 2.000 militari russi, cosiddetti “pacekeeper”. I quali, invece, lo hanno lasciato nelle mani di Baku, gradualmente a partire dal dicembre 2022: prima con sedicenti attivisti ambientali azeri; poi costruendovi un posto di frontiera, infine chiudendone il transito persino alla Croce Rossa Internazionale.

Da quel giorno, per il NK carenza di medicine, malnutrizione, niente gas ed elettricità. In inglese “starvation until submission”, ma meglio sarebbe dire “until exodus”. Con la totale inerzia russa, indiscutibilmente segno di informale acquiescenza, se non implicita collusione.

Mosca

Acquiescenza russa magnificata dalla invasione azera, guardacaso a cavallo di una piccolissima esercitazione militare armeno-americana: 88 soldati da una parte, 175 da quell’altra.

Acquiescenza russa trasformatasi in aperta ostilità, dopo l’inizio dei tragici eventi e dopo un discorso del primo ministro armeno Nikol Pashinyan, nel quale quest’ultimo denunciava: “la responsabilità di un simile sviluppo degli eventi ricadrà interamente sull’Azerbaigian, che ha adottato la politica della pulizia etnica, e sulle truppe di mantenimento della pace della Federazione Russa nel NK”. Per poi accusare Mosca di aver voluto “dimostrare le nostre vulnerabilità e giustificare l’impossibilità del popolo armeno di avere uno Stato indipendente”.

Per tutta risposta, Lavrov inviava un collega ministro ad Erevan e pubblicava un comunicato fiammeggiante. Nel quale accusava Pashinyan di aver lui stesso sabotato l’armistizio del 2020, all’espresso fine di allontanarsi dalla Russia per gettarsi nelle braccia degli Usa. Dicendosi sicuro “che anche la stragrande maggioranza della popolazione armena se ne renda conto”. In pratica, in un colpo solo, Lavrov ha benedetto: la chiusura del corridoio di Lachin, i tragici eventi in NK, la crisi politica in Armenia.

Il tutto, per un vantaggio tattico: i tragici eventi del NK potrebbero aiutare Mosca a convincere i russofoni di Ucraina di simili rischi legati al ritorno ai confini internazionali pure di quel Paese.

Ma pure per un rovello strategico: la convinzione di Lavrov che “gli Usa e gli altri paesi della Nato si sono posti l’obiettivo non solo di infliggere danni strategici alla Russia, ma anche di destabilizzare il nostro comune spazio eurasiatico”. Tradotto, cacciare i Russi dal sud della Transcaucasia, per poi riaprire la partita in Georgia e, di lì, destabilizzare la Ciscaucasia, a cominciare dalla Cecenia. Un incubo geopolitico, per Mosca.

Biden

Ma pure un progetto concreto, per Washington? Ad occhio, non sembrerebbe. Prima dei tragici eventi, non si può dire che la cosiddetta comunità internazionale si sia impegnata ad aiutare Erevan, anzi. A febbraio 2023, la Corte internazionale di giustizia (ICJ), ordinava all’Azerbaigian di garantire il libero transito del corridoio di Lachin … naturalmente senza esito. Il 21 agosto, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ospitava una parata retorica di Stati esortanti l’Azerbaigian a riaprirne il traffico.

Ma, pure a tragici eventi avviati, non si può dire che le cose siano cambiate di uno iota. Biden mandava ad Ereven la capa di USAID, Samantha Power; distintasi per una memorabile visita al Memoriale del genocidio armeno di ieri, mentre si svolgevano i tragici eventi di oggi. Nonché il vicesegretario ad interim per l’Europa e gli affari eurasiatici del Dipartimento di Stato, Yuri Kim; distintasi, mentre cominciava l’attacco azero, per aver pronunciato le ultime parole famose: “non tollereremo alcuna azione militare contro gli abitanti del NK”. Fatte proprie pure da Blinken: “l’uso della forza per risolvere le controversie è inaccettabile”.

Le due recavano una lettera di Biden. Tanti auguri per la festa dell’indipendenza e gli Usa “continueranno a stare al fianco dell’Armenia mentre lavorate per … cercare stabilità nel vostro vicinato”. I tragici eventi nel NK descritta come “la recente perdita di vite umane di etnia armena” e “le violenze più recenti”. Per l’avvenire, “cooperazione in materia di diversificazione energetica, resilienza e sicurezza, come dimostrato dalle nostre recenti esercitazioni militari” … cioè, i menzionati 88 uomini. Tradotto: nulla.

D’altronde, Biden è in tutt’altre faccende affaccendato: principalmente con l’Ucraina ed è lì che egli vuole rompere la schiena alla Russia … non dall’Armenia. Per far questo, ha bisogno dell’aiuto dell’alleato principale di Baku, la Turchia. Turchia, che si fa pagare bene in termini di rifornimenti militari … perché non in termini di acquiescenza in materia armena?

Leuropa

Bruxelles si era data un certo daffare a convincere Erevan a rendere il NK a Baku, ottenendone due accordi interlocutori. E non vincolanti visto che, ancor oggi, la stessa Bruxelles vorrebbe fossero “pubblicamente reiterati”.

Il primo, del 6 ottobre 2022, col quale i due contendenti riconoscevano “l’integrità territoriale e la sovranità dell’altro”; senza però che le frontiere siano mai state fermamente delimitate e senza far cenno ai diritti della minoranza armena nel NK. Capolavoro mediato alla presenza dell’inutile Macrone il quale, ancora in questi giorni, è capace solo di ripetere inutili parole circa l’intangibilità dei confini armeni … sempre non definiti.

Il secondo, del 14 maggio 2023, col quale veniva affermata la “rispettiva integrità territoriale dell’Armenia (29.800 km2) e dell’Azerbaigian (86.600 km2)”; di nuovo, senza alcun progresso circa la delimitazione delle frontiere e senza alcun impegno circa i diritti della minoranza armena nel NK. Anzi, il 22 maggio 2023 Pashinyan provvedeva a “sottolineare che la questione dei diritti e della sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh dovrebbero essere discussi tra Baku e Stepenakert”, (la capitale del NK); insieme invocando “garanzie internazionali per la sicurezza e i diritti” loro.

Peggio, il secondo accordo nemanco citava il detto corridoio di Lachin che, nel frattempo, Baku aveva preso a bloccare. Mentre conteneva un impegno armeno circa la riapertura di un secondo corridoio, quello del Nakhchivan collegante due parti dell’Azerbaigian separate dall’Armenia. Dimodoché, alla mancata delimitazione delle frontiere veniva ad aggiungersi una seconda scusa, per Baku, di entrare sul territorio del vicino. Laddove è vero che l’apertura di tale corridoio era previsto dall’armistizio del 2020, ma solo a fronte della parallela apertura del corridoio di Lachin.

Manifestamente, Leuropa non aveva alcun interesse alla tutela dei confini armeni. E fa ridere Pashinyan quando afferma che i due accordi mediati da Bruxelles sanzionano i confini di Stato.

Parimenti, Leuropa non aveva alcun interesse alla tutela degli armeni del NK. Come nota Lavrov, e qui non gli si può dar torto. Mentre gli si deve dare pienamente torto quando giustifica l’acquiescenza russa all’invasione azera con il riconoscimento di Erevan alla sovranità azera sul NK: visto che lo stesso aveva già fatto pure Mosca e in molteplici occasioni.

Erevan

Ma è pure vero che, manifestamente, nemmeno Pashinyan aveva reale interesse alla tutela degli armeni del NK. E forse nemmeno alla tutela dei confini armeni … almeno a giudicare da quanto male ha negoziato e in cambio di nulla.

Il suo interesse, semmai, pare indirizzato ad un diverso obiettivo: la separazione dalla Russia. Con le sue parole: “l’Armenia sarà uno stato sovrano, libero e democratico o una regione periferica spaventata? Questa è la scelta … E ogni cittadino deve fare una scelta: aderire al movimento per la difesa dell’indipendenza o sostenere la provincia periferica”.

Il piccolo problema è che non si tratta di una libera scelta, bensì di un desiderio che, per realizzarsi, dovrebbe essere sostenuto dalle condizioni oggettive. Il che, purtroppo, non sembra il caso concreto.

A meno che Erevan non abbia ricevuto garanzie militari adeguate da Occidente … ma non sembrerebbe. Garanzie militari occidentali, che verrebbero eventualmente azionate contro Mosca, scatenando quella terza guerra mondiale che si è sin qui evitata in Ucraina. Ovvero contro Baku, cioè contro Ankara, cioè contro un alleato (anche se per finta) Nato. Qualcuno può credere che simili garanzie militari possano essere state offerte?! Noi no.

Prospettive

Certamente, in futuro, le cose potrebbero cambiare: è di questi giorni una proposta di legge del deputato repubblicano Chris Smith, il quale vorrebbe fornire finanziamenti militari a Erevan e interrompere quelli a Baku. Ma nemmeno lui si spinge a chiedere sanzioni contro lo Stato perpetratore dei tragici eventi, limitandosi a “sanzioni ai funzionari che hanno diretto il blocco e l’attacco al NK”.

Quindi, oggi, i turchi possono prendere l’Armenia come e quando vogliono. Debbono solo accordarsi con Mosca, per sapere che contentino lasciarle: magari il nord ed un adeguato libero transito verso l’Iran, in cambio del sud. Rinviando un regolamento dei conti russo-turco ad un tempo successivo alla fine della guerra in Ucraina.

Solo in presenza di una simile spartizione, l’import di gas azero potrebbe essere realmente in pericolo. Ma, agli importatori come Roma, basterà far notare che sanzionare Baku non serve senza sanzionare Ankara … e, di nuovo, non se ne farà niente. Solo lacrime per l’Armenia.

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