Politica

La stoccata di Meloni non per Draghi, ma per i suoi adulatori: e ha fatto bene

Maalox per gli orfani dell’ex premier: l’Italia sta in piedi anche senza di lui e, anzi, il governo sta compiendo le scelte coraggiose aggirate dal grande “statista”

Mario Draghi Mario Draghi lascia Palazzo Chigi

In occasione delle comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo, non è passato inosservato un passaggio del discorso della premier Giorgia Meloni nel quale, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe, non ha risparmiato qualche stoccata a tutti quegli orfani di Draghi, che dal 21 luglio 2022 sono in totale delirio e che dopo le dichiarazioni di Meloni sono andati di nuovo in tilt.

Orfani di Draghi

Anzitutto vi è un fondamentale equivoco in questa faccenda: le critiche di Meloni non sono di certo rivolte a Draghi stesso, bensì a tutta una serie di osannatori che dal giorno delle sue dimissioni (peraltro già preventivate in caso di mancato approdo al Colle, così ambito da Super Mario così reso impossibile proprio dai suoi adulatori) non fanno altro che ripetere “ah quando c’era lui…”, quasi in perfetta sintonia con qualche nostalgico del ventennio fascista che al posto di Draghi allude a Mussolini. Il che, data la tirannia del pensiero unico a livello mediatico negli anni di Draghi, rende questo paragone non così assurdo.

Anzitutto, Meloni ha pienamente ragione quando dice che non vi è nulla di straordinario in una foto in treno verso Kiev con Macron e Scholz, così come fa bene a ricordare che il suo precessore, incommensurabile statista per alcuni, non abbia portato a casa nemmeno un risultato significativo in politica estera (se non il Trattato del Quirinale con la Francia, la cui efficacia e utilità si è vista in occasione delle votazioni per Expo 2030).

Politica estera impeccabile

Il giudizio sull’operato di questo governo può esser discutibile su più fronti, all’infuori della politica estera però, a dir poco impeccabile. Sin dall’opposizione, Meloni è stata una delle più convinte sostenitrici della causa ucraina, molto più di alcuni membri dell’allora governo Draghi. A questo si è aggiunto il sostegno incondizionato ad Israele all’indomani degli attacchi di Hamas, fatto non così scontato in Europa se si pensa alla Spagna socialista, che per poco non invia armi ad Hamas.

Di una settimana fa anche la notizia della notifica alla Cina dell’uscita del nostro Paese dalla Via della Seta, un’iniziativa insidiosa e mediante la quale il regime di Pechino sta cercando di acquisire influenza nei vari Paesi in via di sviluppo e del terzo mondo; un esempio di soft power che in alcuni casi si è già trasformato in coercizione economica. La “geniale intuizione” dell’allora governo Conte I di firmare questo accordo aveva fatto dell’Italia l’unico Paese del G7 ad aderire a tale progetto.

Statista non è solo colui che possiede un’esperienza teorica e pratica dell’arte di governare, ma anche colui che si rende responsabile di scelte che richiedono immenso coraggio. Molto spesso usiamo questo termine quando ci riferiamo a politici del calibro di De Gasperi, Andreotti, Craxi, Sandro Pertini, uomini che al loro tempo hanno avuto la visione e il coraggio di compiere delle scelte volte a dare una svolta alla politica estera del nostro Paese.

Attenti al mito

Nessuno osa mettere in dubbio le grandi doti di economista e banchiere di Draghi; sentirlo parlare di economia, finanza, mercato unico e politiche fiscali è un vero piacere, anche per gli orecchi meno esperti. Tuttavia, creare una mitologia attorno ad un personaggio può indurre talvolta ad accantonare lo spirito critico conducendo a pericolose derive, per le quali tutto quello che fa quella persona è più che giusto e nessuno può nemmeno lontanamente permettersi di metterlo in discussione.

Tale atteggiamento è dannoso non soltanto per gli “abbagliati”, ma soprattutto per colui che deve portare a termine l’azione di governo. Il fatto di ricevere delle critiche, più o meno severe e costruttive, può essere d’aiuto, dal momento che nessun essere umano è infallibile.

Pensiamo ad esempio a quelle sciagurate conferenze stampa durante le quali al presidente venivano permesse postille del tipo “io non rispondo a queste domande”. E guai a chi la faceva, l’impavido veniva subito fulminato dallo sguardo severo e burbero del banchiere centrale e tacciato di impertinenza dai colleghi presenti, abbagliati dal grande statista. Eppure, le conferenze di Draghi non furono prive di falsità e scivoloni, come la frase “se ti vaccini non ti contagi”, uno dei falsi scientifici più grandi mai sentiti, o quel “nonno al servizio delle istituzioni” che tanto sapeva di autocandidatura non esplicita al Quirinale, cose che per cortesia istituzionale sarebbe meglio evitare.

Per comprendere a cosa mi riferisco quando parlo di abbaglio e conformismo al pensiero unico basta rivedere la conferenza del 18 aprile 2021 durante la quale una giornalista del Sole 24 Ore si rivolse a Draghi premettendo “se non ci fosse lei presidente del Consiglio noi saremmo terrorizzati”.

L’Italia senza Draghi

Eppure, guarda caso l’Italia senza Draghi continua a stare in piedi, addirittura migliorando il rating sul proprio debito, con uno spread più basso, un record di occupazione e una crescita che, nonostante tutte le difficoltà dovute a shock esogeni, continua in sentiero positivo. Il debito pubblico non è esploso, ma anzi sono stati fatti tagli importanti alla spesa pubblica, soprattutto per quel che riguarda superbonus e reddito di cittadinanza.

Le “perle” di Draghi

Dopo aver subito per anni le bellissime lezioni dall’alto dei suoi palchi sul debito buono e debito cattivo, una volta giunto alla prova dei fatti, Draghi non ha ritoccato minimamente né il reddito di cittadinanza né tantomeno il superbonus. Risultato: un conto da più di 100 miliardi da pagare, un qualcosa da far tremare i polsi a qualsiasi persona con responsabilità di governo.

Che Draghi abbia cambiato improvvisamente idea è possibile, che non abbia avuto il coraggio di farlo è sicuro. Perciò, chi oggi critica Meloni per alcune politiche restrittive e per la carenza dei fondi è paragonabile all’adolescente che si risveglia all’indomani di una grande sbornia e non ricorda di aver speso tutti i propri risparmi la sera prima e soprattutto per cosa.

Altrettanto sciagurata la scelta del grande statista di affidare la politica estera ad un personaggio di “alto” calibro internazionale, del quale sono dubbie le capacità di conoscenza pure della lingua italiana: Luigi Di Maio. Oggi alla Farnesina siede Antonio Tajani, politico di spessore il cui cursus honorum nel mondo delle istituzioni europee e nazionali parla per sé.

Per non dimenticare una delle prime conferenze stampa, quando il colpo di genio di Super Mario lo spinse a dare del dittatore ad Erdogan. Per carità, al netto dell’opinione più o meno legittima, non si tratta di tutta evidenza del genio diplomatico di un Kissinger. Per di più, se si considera che la Turchia è un partner essenziale della Nato e coinquilino del Mediterraneo, con il quale l’Italia farebbe meglio ad evitare conflitti ricercando piuttosto una cooperazione più intensa.

Scelte coraggiose

Per tutta questa serie di ragioni, si fatica a comprendere le ragioni della crisi esistenziale, a tratti isterica, di quegli orfani di Draghi, dal momento che Meloni sta proseguendo la medesima direzione tracciata dal suo precessore sotto molti, se non tutti, gli aspetti, aggiungendo quel coraggio e quella lungimiranza necessari per portare a termine scelte politiche importanti e strutturali per il nostro Paese, che sebbene possano avere un costo nell’immediato in termini di popolarità sono indispensabili per garantire la sostenibilità di un Paese con il secondo debito pubblico più grande d’Europa.

Penso dunque allo stop al reddito; così come al superbonus; alla fine di tutta una serie di bonus (monopattini) e sprechi vari (banchi a rotelle); e all’inizio di un intervento strutturale sul taglio al cuneo fiscale. Una serie di scelte coraggiose che contraddistinguono uno statista e alle quali Draghi, una volta a Chigi, ha rinunciato, consapevole delle ricadute.

Così come in Europa Meloni è riuscita ad instaurare un dialogo solido e franco anche con i Paesi Bassi (l’amicizia con Rutte che ha portato ad una prima svolta sui migranti) e gli altri Paesi dell’Est, senza l’assenso dei quali è oggi impossibile governare un’Europa pervasa dal meccanismo dell’unanimità.

Che poi, tutta questa popolarità di Draghi non si è mai capita, dal momento che le elezioni del 25 settembre 2022 sono state dominate da chi non ha mai votato la fiducia al suo governo e da chi invece lo ha mandato a casa. Chi si faceva portatore dell’inesistente “agenda Draghi” – il fu Terzo Polo – ha raccolto un misero 6 per cento, destinato a cadere nell’irrilevanza in questi giorni.

E dunque bene fa Meloni a lottare contro questo pensiero unico che aleggia soltanto nelle menti di quell’intellighenzia che da sempre si dimostra completamente sconnessa con il vero sentire di una nazione, la quale dopo troppi anni di governi per tirare a campare avverte la necessità di avere un governo con un chiaro indirizzo politico e in grado di compiere scelte finalmente all’altezza. E, data la sua popolarità, direi che le scelte di Meloni in questa direzione stanno pagando. Alle vedovelle suggerisco un calmante, o un Maalox.

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