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Emergenza e Green Pass, le armi del Pd per incatenare Draghi a Palazzo Chigi

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Il 7 ottobre su Atlantico avevamo raccontato di come il Pd assolutamente non voglia Draghi al Quirinale. Poi ne abbiamo discusso il perché. Oggi vorremmo immaginare ciò che il Pd potrebbe fare per impedirlo, nei due mesi che ci separano dalla riunione dei grandi elettori (plausibilmente fissata per il 18 gennaio).

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L’antefatto necessario sono le aspettative di merito di Mattarella e Draghi al momento della formazione del governo: “vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale, offrire risposte ai problemi quotidiani dei cittadini, rilanciare il Paese, sono le sfide che ci confrontano. Abbiamo a disposizione le risorse straordinarie dell’Unione europea”. Mattarella – secondo Bruno Vespa – avrebbe convinto Draghi ad andare a Chigi col seguente argomento: “i grandi tecnici debbono guadagnarsi il Colle sul campo … lo ha fatto Draghi … soprattutto guidando il Paese nel momento più difficile dal Dopoguerra”.

Oggi, Draghi vuole dichiararsi vincitore, quindi andare al Quirinale. Così La Stampa: “stando a una tesi che circola tra Palazzo Chigi e il Ministero dell’economia, Draghi giustificherebbe il suo passo indietro sostenendo di aver completato il lavoro per cui era stato chiamato da Mattarella, sulle riforme legate al Pnrr e sulle vaccinazioni”.

All’opposto, il Pd vuole dichiararlo sconfitto, quindi impedirgli di andare al Quirinale. Così Letta ha annunciato di voler “da qui a gennaio” richiamare l’attenzione sulla “ripartenza del Paese”: in termini di “cose in agenda” (cioè il Pnnr) e di “uscita dalla pandemia”. Formula prontamente tradotta dai suoi editorialisti, ad esempio: Massimo Giannini (“con tutta evidenza, nessuna di queste due missioni è ancora compiuta”) Cappellini (“nessuno pensa che l’ex governatore della Bce possa lasciare di sua volontà nel 2022, non con un Pnrr ancora tutto da implementare e un’emergenza Covid in fase crescente”) a ripetizione (“né l’una né l’altra può considerarsi estinta per compiuta missione”). Indaghiamo.

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Il Pnrr – Che il Pnrr italiano sia giusto abbozzato, lo notava pure Liturri, da posizioni lontane dal Pd. Non fatica, quindi, Stefano Folli ad essere particolarmente duro: “le riforme molto citate e fin qui poco realizzate, l’incertezza su quando arriveranno i fondi europei – al di là dell’anticipo già ricevuto – e per quali opere saranno realmente utilizzati”. Già dichiaratamente ostile a Draghi al Quirinale, egli coglie l’occasione per tornare ad invocare la permanenza di Mattarella o la candidatura di Giuliano Amato.

Draghi ovviamente contro-manovra. Inizialmente ha cercato di cambiar discorso. Scriveva il Corriere, “a sentire i ministri a lui più vicini, il premier ritiene che il governo abbia portato a termine il suo compito quando la manovra economica è stata approvata all’unanimità dal Cdm”. Qui ha cercato di infilarsi Letta, proponendo “un patto tra i partiti, a sostegno di Draghi” (dove si intende a sostegno di Draghi presidente del Consiglio), per blindare la “prima manovra di questo governo” (dove l’accento va sull’aggettivo prima). Un modo per (fra l’altro) togliergli il ‘merito’ della manovra e costringerlo a rispondere sul Pnrr.

A soccorrere Draghi è intervenuta Bruxelles, la quale ha fatto sapere di non avere rilievi, non solo sulla manovra … ma pure sul Pnrr: “a fine dicembre Palazzo Chigi e il Ministero dell’economia potranno trasmettere la richiesta per la nuova rata di finanziamenti. Dopo i 24 miliardi ricevuti ad agosto scorso, dovrebbero dunque arrivare una ventina di miliardi a metà febbraio”.

Certo, Letta potrebbe provare ad insistere con certi difetti notati pure da Bruxelles e, più in generale, con il tema della implementazione. Ma Draghi avrebbe buon gioco a rispondere con la tesi presentata da Andrea Manzella, secondo la quale il Pnrr ha “valore costituzionale in base agli obblighi derivanti dagli articoli 11 e 117 della Costituzione”, dunque “di qui al 2026, l’indirizzo programmatico del governo italiano è vincolato, qualunque sia la maggioranza parlamentare … per i prossimi cinque anni, quale che sia il colore del governo, esso dovrà limitarsi a dare toni e ritmi diversi ad una musica che è già scritta nel Pnrr”. È questa la tesi a suo tempo combattuta da Villone: è “in gioco la possibilità di cambiare indirizzo politico sui trattati e sulle scelte conseguenti. Non v’è alcun ostacolo nella Costituzione, e nessun trattato vincola per l’eternità”. Ma è pure la tesi di Mattarella, cioè del Pd il quale, quindi, non può combatterla apertamente. Ed è pure la tesi della massima parte degli osservatori, terrorizzati dalla instabilità finanziaria e, conseguentemente, indifferenti alla sopravvivenza della democrazia in Italia. Infatti, Letta non insiste.

Insomma, in materia di Pnrr Draghi è in netto vantaggio sul Pd.

Il piano vaccinale – Non è affatto un caso che il Pd stia spostando il tiro, come dimostra un notevole titolo de La Repubblica: “Covid, la quarta ondata rilancia il tandem Draghi-Mattarella”. Svolgimento: “completare la missione; ecco, se c’è un nodo che pesa più degli altri è proprio quello del Covid”. Sì, certo, 45 milioni di Italiani hanno ricevuto un ciclo di vaccinazioni cosiddetto completo e “fino a qualche settimana fa, dall’esecutivo rimbalzava soprattutto uno slogan, il cui senso era: abbiamo rimesso le cose in ordine”. Purtroppissimo per Draghi, è intervenuto un nuovo fattore: “una nuova corsa contro il tempo sulle vaccinazioni”. Quindi gli toccherà restare a Chigi.

L’arma segreta del Pd si chiama waning. Così l’Iss-Istituto Superiore di Sanità: “dopo 6 mesi dal completamento del ciclo vaccinale, si osserva una forte diminuzione dell’efficacia nel prevenire le diagnosi in corrispondenza di tutte le fasce di età”. E, infatti, Letta ha scandito: “fare bene la campagna sulle terze dosi è essenziale per evitare i rischi di nuove ondate e nuovi lockdown”. Così, oggi abbiamo l’Eccellenza Guido Rasi consigliere del Generalissimo Figliuolo, spiegare che il ciclo di vaccinazioni potrebbe essere considerato completo solo con una terza dose … e tanti altri preannunciare, letteralmente, “la quarta, la quinta, eccetera”. Quindi, ha Draghi completato il lavoro per cui era stato chiamato da Mattarella (vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale)? No, tutt’altro.

È la stessa Eccellenza Guido Rasi a spiegare che l’efficacia vaccinale non diminuita è quella “in base alla quale si è costruito il Green Pass” e l’Iss oggi discute di ridurre la durata del Green Pass da 12 a 6 o almeno 9 mesi. L’aspetto intrigante è che il waning non giunge affatto inaspettato: fin dal 22 agosto, il primo ministro israeliano Bennett scandiva, “se sono trascorsi cinque mesi dal secondo vaccino, non sei protetto; fatti vaccinare subito” (come ha ben spiegato Federico Punzi). Eppure, fu il 4 settembre che Draghi fece allungare la durata del Green Pass da 9 a 12 mesi. Quindi, egli si è comportato come un cialtrone.

Continua La Repubblica: Draghi tace, “qualcosa però sta lentamente cambiando, attorno a lui. È come se una consapevolezza diffusa prendesse forma e forza … difficile chiedere al Paese di sopportare altri sei mesi di stato d’emergenza e non assicurare contestualmente stabilità politica”. Altri sei mesi di stato d’emergenza?! Esso è in vigore sino al 31 dicembre e Draghi deve decidere se prorogarlo al 31 gennaio (ma avrebbe poco senso pratico), o oltre quella data (con una nuova ordinanza nella quale dovrebbe indicare una emergenza diversa dal Covid del 2020). Se lo facesse, confesserebbe di non aver completato il lavoro per cui era stato chiamato e il Pd avrebbe partita vinta. Ovviamente, il Pd desidera ardentemente la nuova ordinanza, con Ainis che definisce qualunque limite temporale allo stato di emergenza come una “pretesa assurda”.

Alla durata dello stato di emergenza è giuridicamente legata la durata del Green Pass. Vero che lo si potrebbe far sopravvivere ad una eventuale fine dello stato di emergenza, tramite norme ad hoc sganciate dalla legge sulla protezione civile … ma mai si potrebbe sostenere che il Green Pass in sé non sia uno strumento di emergenza. Di nuovo, facendolo sopravvivere, Draghi confesserebbe di non aver completato il lavoro per cui era stato chiamato e il Pd avrebbe partita vinta. Lo avvisa Natalino Irti: se passa quel segno, “l’intera società, sfinita e stanca, va in cerca di altre strade” … altre pure da Draghi.

Presentare il Green Pass come uno strumento ordinario (così trasformandolo da strumento di emergenza a strumento di eccezione) egli non può, a meno di non voler caratterizzare la propria candidatura come francamente autoritaria. Come già le contestazioni al Green Pass strumento di emergenza hanno offerto al Pd l’occasione di gridare di nuovo all’emergenza (“l’eversione NoVax” [sic]) … figurarsi le contestazioni se il Green Pass diventasse uno strumento ordinario: il Pd urlerebbe al pericolo insurrezionale e Draghi resterebbe inchiodato a Chigi a fare il poliziotto. Anche di questo lo avvisa Natalino Irti: “l’emergenza, convertendosi in eccezione, può rivelare o preannunciare una crisi dell’ordinamento … energie del sottosuolo si agitano scomposte e nervose”.

Idem se facesse come in Austria, riservando il lasciapassare ai soli guariti e vaccinati e, quindi, istituendo un regime francamente di apartheid. Proposta nella quale il Pd sguazza non per caso (il super-greenpass di Letta, il napalm di De Luca, La Repubblica che lo dice necessario ad incentivare la terza dose). Ma pure se non lo facesse, lo stesso Draghi sarebbe costretto dallo stato di emergenza ad imporre limitazioni generali a vaccinati e non vaccinati, man mano che le regioni si coloreranno di giallo, arancione e rosso. E, allora, le manifestazioni di piazza rischierebbero di farsi ancor più affollate.

Avanti di questo passo, il Pd chiederebbe presto a Draghi di fare più che in Austria, cioè di introdurre il super-greenpass pure sul lavoro (il super-super-greenpass di Letta), con definitivo totale sacrificio del diritto al lavoro e, quindi, una difficoltà sociale e costituzionale francamente insuperabile. Il Pd sperava in un aiutino da Bruxelles (non bisogna mai dimenticare che la porcheria che è il Green Pass è figlio del Digital Covid Certificate dell’Ue): la durata accorciata a 9 mesi, nonché l’esclusione dei non vaccinati in uscita da regioni o Stati membri a rischio … purtroppissimo, pare abbia ottenuto solo la seconda. Spiace ma anche no.

Come si vede, lo stato di emergenza ed il Green Pass, sono per Draghi una trappola. Dalla quale egli potrebbe uscire solo tagliando il nodo delle troppe contraddizioni: cancellandoli entrambe e sostituendoli con l’obbligo generale sanitario di vaccinazione, da presentarsi come “lo schietto ritorno alla normalità” (giuridica e costituzionale) che gli suggerisce Irti. Non si tratterebbe di accompagnare i cittadini coattamente a vaccinarsi, bensì di applicare le sanzioni e limitazioni insensate di oggi ma, quanto meno, con uno strumento legittimo e senza richiedere consenso scritto ed assunzione di responsabilità al vaccinato.

Sì, è vero che il vaccino in Europa è ancora ad autorizzazione condizionata, ma se il rischio patrimoniale non se lo assume lo Stato che lo vuole, perché dovrebbe il cittadino che non lo vuole? Il decisore rischia conseguenze civili e penali? E son fatti suoi … almeno starà attento a quel che farà. Così facendo, Draghi farebbe mostra del decisionismo che già in altri tempi ha beneficiato la sua carriera. Le contestazioni NoVax continuerebbero, ma plausibilmente meno diffuse di quelle NoPass. L’epidemia continuerebbe, naturalmente, causa scarsa efficacia dei vaccini (i vaccinati si contagiano ed infettano) … ma l’evidenza di ciò non emergerebbe prima delle elezioni del nuovo presidente della Repubblica. E qui si parla di quelle, non di medicina. Draghi avrebbe partita vinta. E al Pd non resterebbe che dichiararsi sconfitto.

Certo, in alternativa egli potrebbe tentare di rovesciare l’argomento di Letta, innalzando l’emergenza sanitaria a giustificazione della propria elevazione al Quirinale come garante della stabilità, da assicurarsi con un governo affidato ad un proprio galoppino che porti a termine la legislatura. Ma sarebbe un argomento davvero debole, di fronte ai troppi errori compiuti.

Per ora, egli glissa. Soffre l’estremismo di Speranza, Letta e Franceschini, soffre il nervosismo scomposto delle Regioni della Lega (una parte politica che pure in teoria lo sostiene) e di Forza Italia (che tirano la volata a Berlusconi), ma è in reale difficoltà. Insomma, in materia vaccinale Draghi soffre di grave svantaggio sul Pd, ma può recuperare.

La crisi finanziaria prossima ventura – Infine, Letta potrebbe avere in serbo un terzo argomento col quale attaccare Draghi. Ma non dipende da lui e non può anticiparlo. Lascia ne parlino i propri giornali i quali, da qualche giorno, hanno improvvisamente scoperto che, nel marzo 2020, Bce ci ha concesso solo un’ora d’aria: Mario Monti, Boeri e Perotti, Cottarelli (che, ancora a settembre, rassicurava), Alessandro Penati, Zatterin … tutti sono d’accordo che sta tornando l’inflazione e gli acquisti di Bce potrebbero terminare. Con loro si dice preoccupato Carlo Messina (“il nostro Paese ha un debito pubblico di 2.700 miliardi, 750 dei quali ce li finanzia la Bce”), il quale tira pure la conclusione: “ritengo che il presidente del Consiglio, rimanendo al suo posto, possa fare il bene del nostro Paese”. Draghi lo sa benissimo: la fine degli acquisti è l’iceberg che lo terrebbe inchiodato a Chigi, e che egli assolutamente vuole evitare rifugiandosi al Quirinale.

Dell’iceberg il Pd non si preoccupa: al contrario di Draghi, non confida nella già brutale svalutazione interna, ma direttamente nell’orrido Mes e, nella propria infinita ignoranza, pensa potrebbe funzionare. Perciò, spera in una accelerazione di tale crisi finanziaria latente, che si manifesti prima della elezione del nuovo capo dello Stato, così inchiodare Draghi a Chigi. Ma dubitiamo accada in tempo.

Insomma, in materia di moneta e finanza, Draghi gode di un certo vantaggio su Letta, per lo meno temporale.

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Il lettore giudicherà chi, fra Letta e Draghi, sia in vantaggio. A noi pare nessuno in modo decisivo, per ora almeno ed a meno di qualche diverso prossimo accadimento che demolisca le difese dell’uno o dell’altro (ma non sapremmo prevedere quale). Se è così, a gennaio alla riunione dei grandi elettori i due si incontreranno in singolar tenzone. Nel prossimo articolo immagineremo cosa potrebbe lì accadere.

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