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Il pericoloso gioco nel Mediterraneo orientale/2 – Erdogan abbaia contro Atene ma è isolato

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Il governo turco pretende di imporre un diritto tutto suo per farsi potenza energetica indipendente. Nel far ciò, è isolato nel Mediterraneo orientale e non pare disponga di altre sponde in Occidente, nemmeno in ItaliaLe posizioni di Russia, Stati Uniti e Francia e la partita del gas

Nel precedente articolo abbiamo introdotto la disputa fra Grecia e Turchia, dal punto di vista del diritto internazionale. Concludendo che la Turchia quando parla dei propri “diritti”, intende quelli derivanti da una legge tutta propria: che assegna a se stessa una interpretazione assai generosa della non sottoscritta convenzione, pur negando ad Atene i suoi diritti certamente derivanti dalla convenzione. Tale legge tutta propria di Ankara ha pure un nome: “Mavi Vatan”, la Patria Blu. Che Ankara pretende essere basata “sul diritto internazionale, sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia Internazionale”, esattamente nel momento in cui tale diritto internazionale essa si rifiuta di sottoscrivere, tale Corte si rifiuta di adire.

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Coerentemente, l’ideatore della “Mavi Vatan”, tal ammiraglio Cem Gürdeniz, debitamente sostenuto da Erdogan in persona, parla il linguaggio della forza:

“La Turchia è una Paese con 85 milioni di abitanti, fa parte del G20, ed è in grado di essere autosufficiente a livello di industria della difesa per quanto riguarda le navi da guerra e i missili, rispetto alla Grecia il potere militare della Turchia non è nemmeno paragonabile (…) ma Atene insiste e ancora oggi vuole dettare alla Turchia le sue condizioni (…) devono accettare la realtà marittima e geopolitica esistente ora”.

Così il primo vicepresidente turco Fuat Oktay, il sabato appena passato:

“L’Ue dice questo, il mondo dice quello. È mai possibile? Se loro non si preoccupano che io dica questo, faremo a pezzi questa mappa e faremo a pezzi coloro che pensano a questa mappa. Li schiacceremo quando necessario”.

Quest’ultimo ha pure infiammato il proprio pubblico, accennando all’annessione delle isole greche di Aignoussa, Chio, Castelrosso. Vi ha provveduto pure Erdogan ricordando le umiliazioni dell’inizio del ‘900 e perciò definendo gli alleati occidentali come “colonialisti”, nonché celebrando una vittoria sui Bizantini dell’XI secolo subito dopo aver convertito in moschee la Santissima Cattedrale di Santa Sofia e la grande chiesa bizantina di San Salvatore in Chora. Il che, naturalmente, ha valore politico meramente propagandistico perché, alla stessa stregua, i greci potrebbero rivendicare rispettivamente: nel primo caso Smirne ed Alessandropoli, nel secondo pure Costantinopoli, Nicea, perché no Cesarea, Trebisonda ed Antiochia. E non la finiremmo più.

Tale ricorso al linguaggio della forza presenta un bel problema: oggi la Turchia è in grado di battere militarmente la Grecia, forse, quanto meno di ottenere delle vittorie simboliche: chissà per esempio occupare Castelrosso, oppure una ulteriore parte della Repubblica di Cipro. Ma non se la Grecia fosse difesa da propri alleati. Ciò che Erdogan cerca di impedire, tentando Atene a sparare il primo colpo; e cerca di esorcizzare, accusando qualunque intervento esterno di “aumentare la tensione”, proclamando che “quelli che spingono i greci di fronte alla marina turca, li lasceranno soli”, nonché insultando la Grecia (“sono costretti ad appoggiarsi a grandi potenze, non sono in grado di fronteggiare la Turchia da soli e ne sono consapevoli”), come se avere alleati fosse motivo di scorno e non, come invero è, di vanto.

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La Russia si sta scontrando con la Turchia in Siria ed in Libia, ma è parimenti interessata a favorire il distacco della Turchia dalla Nato, come ha mostrato la recente cessione ad Ankara del proprio sistema antiaereo SS-400, che non può essere integrato coi sistemi atlantici. Mosca potrebbe eventualmente ottenere ulteriore potere negoziale verso la Turchia, intervenendo nel gioco dei diritti marittimi, indirettamente attraverso la Siria, qualora quest’ultima accedesse alla richiesta cipriota di negoziare le rispettive EEZ: Damasco non ha sottoscritto la convenzione di Montego Bay, ma non si sa mai.

Gli alleati occidentali della Grecia sono plausibilmente consci delle conseguenze incendiarie che una manifesta violazione della convenzione di Montego Bay avrebbe nel resto dei mari; inoltre, essi possono interpretare l’aggressione turca come non unicamente rivolta a Grecia e Cipro, dal momento che Ankara proclama di volere molte basi militari negli “approdi all’Oceano Atlantico dalla parte del Mediterraneo occidentale”: la prima a Misurata di Libia, una ne immagina persino in Albania. Quanto ai francesi, Macron esplicitamente dice che “i turchi considerano e rispettano non le parole ma solo le azioni” ed ha inviato mezzi navali ed aerei ad appoggiare Grecia e Cipro, tirandosi dietro pure Emirati Arabi Uniti ed Italia; ed il 10 settembre pare firmerà con Atene un accordo per la fornitura di 10 miliardi di euro in 18 caccia Raphale, nuove fregate e l’ammodernamento di fregate vecchie, siluri, munizioni ed altri sistemi d’armamento. Quanto agli americani, essi paiono prepararsi al rischio che Ankara dia seguito alla minaccia dell’ammiraglio di uscire dalla Nato, per diventare un nuovo Pakistan o chissà: appena Erdogan ha acquistato i sistemi antiaerei russi SS-400, Washington ha non solo cancellato un vecchio embargo sulle armi per Cipro ed annullato la vendita di 100 F-35 alla Turchia, ma pure ne ha destinati 24 alla Grecia rendendola in prospettiva capace di battere militarmente i turchi, certamente e da sola.

Azioni, queste, che contrastano con la partigianeria filo-turca della Germania, che porta con sé la manifesta inanità della Ue e del segretario generale della Nato Stoltenberg. Ma di questo parleremo in un terzo articolo.

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Gli alleati occidentali della Grecia hanno una ulteriore ragione per non lasciar scendere i turchi nel Mediterraneo: le risorse gasiere. Dieci anni fa, Israele ha scovato il giacimento Leviathan, seguito dalla nostra Eni che ha scovato Zohr eppoi Noor, entrambi in acque egiziane, poi ancora da americani, francesi e sempre Eni che hanno scovato Aphrodite e Glaucus e Calypso, in acque cipriote. Per ora, il gas estratto serve ai bisogni regionali ma, se ce ne fosse di più, non è escluso esso possa giungere in quantità in Europa. Per ora, con le navi gasiere, a salpare dai due impianti di liquefazione egiziani di Idku e Damietta. Assetto destinato a durare, sinché il prezzo del gas resterà così basso come è a causa della crisi del Covid.

Ma bisogna pure guardare al futuro: gli Stati interessati hanno costituito un “East Mediterranean Gas Forum”, che include l’Italia, ed hanno pianificato un lungo gasdotto, detto EastMed, che attraverso Cipro dovrebbe raggiungere la Grecia e, di lì, l’Italia, proprio attraverso le famose acque sotto l’isola di Castelrosso che, lo abbiamo visto, tanto fanno gola ai turchi. Perché pure esse nascondono giacimenti gasieri, forse, ma soprattutto per ostacolare la costruzione di quel gasdotto: se mai Erdogan dovesse mettere le mani su quel tratto di mare, l’intera operazione andrebbe a monte. L’opera appare economicamente poco attraente, per il lungo tracciato e la profondità dei fondali e, da un punto di vista strettamente economico, sarebbe più conveniente utilizzare il “Gasdotto Trans-Anatolico (TANAP)”, che corre su un tracciato in parte congruente ma su suolo turco e che la Turchia non sarebbe capace di riempire se non col gas di Cipro ed Egitto. Tuttavia, ciò significherebbe mettere tali risorse alla mercé di uno Stato dai comportamenti pirateschi (come la vicenda della Saipem 12000 ha mostrato pure ai ciechi) e politicamente ostile, oltre che naturalmente a Grecia e Cipro, per motivi diversi pure ad Israele ed all’Egitto. Senza contare che la Turchia ha altri progetti, come ha ribadito in occasione del recente annuncio della scoperta di un giacimento nella sua EEZ non contestata nel Mar Nero: l’autosufficienza energetica, ufficialmente onde ridurre il cronico deficit della propria bilancia commerciale, realisticamente onde perseguire il sogno della indipendenza strategica; ed è asseritamente a tal fine che essa persegue la propria espansione nelle acque greche e cipriote nel Mediterraneo. Insomma, il gasdotto avrebbe un valore economico proprio, in quanto permetterebbe di non dover vendere esclusivamente alla Turchia.

L’alternativa sarebbe far correre, secondo un progetto immaginato da Moscato per l’Eni vent’anni fa, un tubo per il deserto egiziano e libico sino al gasdotto Eni fra Melita e la Sicilia, in un tratto del Mediterraneo assai meno profondo del mare di Castelrosso. Rispetto al gasdotto EastMed, tale alternativa sarebbe meno costosa e consentirebbe di marginalizzare la Turchia. Anche se non è dato sapere cosa ne penserebbero Grecia ed Israele. Chissà, forse pure al fine di impedire questa soluzione, Erdogan si è inopinatamente impegnato in Libia, naturalmente in violazione di ogni embargo internazionale, facendo ulteriormente infuriare Parigi che già considerava il proprio generale Haftar come prossimo vincitore. Ma non si capisce con che mezzi la Turchia intenda lì sostenersi, nello scontento apparente dei tripolini, nelle convulsioni del governo di lì, attraverso la crisi finanziaria che la colpisce e contro tutti gli avversari che abbiamo sin qui indicato: talché, è legittimo ipotizzare si tratti di una giocata di breve periodo, in una partita più complessa che stiamo cercando di abbozzare.

Intrigante, ci pare, che la Saini Fasanotti abbia recentemente sostenuto come la Turchia stia sfidando non la Grecia ma tutto lo “Eastern Mediterranean Gas Forum”, cioè pure noi. E che abbia suggerito sì di permettere alla Turchia di farne parte, ma solo dopo aver procurato che Washington la abbia cacciata dalla Libia.

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La posizione del governo italiano è, però, sfumata. Certo, siamo tenuti a difendere due Paesi Nato e Ue, Grecia e Cipro, da una aggressione militare; ma questo vale pure per gli Stati Uniti e tanto potrebbe bastare, in caso di conflitto. Mentre, nella presente fase di avvicinamento ad un eventuale conflitto, trova spazio ogni apparente ambiguità.

Così, tutto al contrario della Saini Fasanotti, un recente studio di Michaël Tanchum si è spinto a descrivere “una simbiosi geopolitica fra Italia e Turchia”, “un nuovo allineamento geopolitico del Mediterraneo guidato da Italia e Turchia” a sigillo di una “autonomia strategica” italiana nel Mediterraneo. Egli conosce ma deliberatamente sceglie di ignorare il grave incidente della Saipem 12000, gli stretti legami con l’Egitto, la penetrazione commerciale già forte in Algeria e Tunisia; mentre semplicemente ignora il sostegno italiano al gasdotto EastMed, nonché il sostanziale via libera dato da Roma ad Haftar, allorché rifiutò di armare la difesa di Tripoli. E concentra la propria attenzione sulla concessione del porto di Taranto all’operatore turco Yilport, che ha attirato la compagnia di navigazione da essa partecipata CMA CGM, senza nemmeno segnalare come quest’ultima sia basata a Marsiglia.

Dubitiamo che Tanchum sarebbe giunto alle proprie ardite conclusioni, se non avesse ignorato gli elementi suddetti. Ai quali possiamo aggiungere altri: la Marina Militare Italiana tutto può desiderare, meno che lasciar crescere quella turca in potenza navale, tanto più in mano ad un incendiario come Erdogan e tanto più alla luce del proclamato desiderio di quest’ultimo di farsi basi militari sino in Albania. Al governo è il Pd, i cui stretti rapporti con Parigi ben gli hanno meritato l’appellativo di “partito francese”; la destra di opposizione è “americana”; certo, il 5 Stelle è un “partito cinese” e potrebbe forse potenzialmente baloccarsi con simili scenari, ma il suo ministro degli esteri ha sottoscritto il citato accordo con la Grecia di delimitazione delle rispettive EEZ nel Mar Ionio a partire, non dalla costa, bensì dalle Isole Ionie: una mossa decisamente filo-greca, se letta nel contesto delle pretese turche nell’Egeo, nonché straordinaria, vista la tradizionale riluttanza di Roma a fissare la propria EEZ; il che sarebbe tanto più chiaro se fosse vero che la mossa italiana è una reazione all’accordo bilaterale di delimitazione delle rispettive EEZ siglato da Ankara e Tripoli (oltreché ad un parallelo ma solitario tentativo algerino). Parimenti, il governo albanese, normalmente non lontanissimo dalle posizioni italiane, sta lavorando con Atene ad un simile accordo di delimitazione con la Grecia e già si è detto favorevole alla avvenuta estensione delle acque territoriali alle 12 miglia nello Ionio. Infine, il governo di cui quel ministro degli esteri fa parte, ha inviato una nave a partecipare alle manovre militari con Grecia e Cipro organizzate dalla Francia.

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Insomma, un governo turco con i piedi per terra, sottoscriverebbe immantinente la convenzione di Montego Bay e cercherebbe di farla valere per quanto di proprio interesse. Erdogan, che i piedi per terra non ha, pretende di imporre un diritto tutto suo per farsi potenza energetica indipendente. Nel far ciò, è isolato nel Mediterraneo orientale e pare non disponga di altre sponde in occidente, nemmeno in Italia. Tranne che in Germania, come vedremo nel prossimo articolo.

PRIMA PARTE: Cosa dice il diritto e cosa dice Ankara

TERZA PARTE: L’unica sponda di Erdogan è a Berlino

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