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Digital Services Act, l’arma finale Ue per controllare l’informazione

Matte Galt: disinformazione solo un pretesto, ecco super fact checker “istituzionali” e poteri emergenziali a Bruxelles. Tutti gli aspetti più inquietanti di una normativa “cinese”

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Un Super Fact Checker istituzionale veglierà su di noi. E le piattaforme dovranno adeguarsi ai desiderata di commissari e commissioni. Queste solo alcune delle perle del nuovo Digital Services Act che l’Europa vuole far diventare legge in tutte le nazioni dell’Unione.

Ritorniamo a parlare con Matte Galt che, come ricorderete, ci aveva aiutati a comprendere i tanti pericoli nascosti nel progetto dell’Euro Digitale (su cui contiamo di tornare a breve). Oggi l’argomento è invece il Digital Services Act (DSA): un’ulteriore serie di regole che l’Europa ci pretende di vendere tra l’altro come “risposta alla disinformazione e all’illegalità”.

E come sappiamo, quando un politico vuole correggere la disinformazione quello che ha in mente raramente è il free speech. Ma lasciamo che siano le parole di Matte a chiarirci le idee. Matte, ricordiamo, è co-fondatore e membro del Consiglio direttivo di Privacy Network e autore del blog Privacy Chronicles su Substack.

Il “segnalatore attendibile”

MARCO HUGO BARSOTTI: Iniziamo da una domanda facile facile. Thierry Breton e Margrethe Vestager: quando finisce il loro mandato?

MATTE GALT: A entrambi dovrebbe scadere il mandato nel 2024, se non sbaglio.

MHB: Ok. Non vediamo l’ora. Veniamo all’argomento dell’intervista. La spiegazione del DSA che avevi fornito qui su Privacy Chronicles è ancora attuale o le cose si sono evolute? In ogni caso puoi dirci di cosa si tratta in poche parole?

MG: La spiegazione del DSA è pressoché attuale anche se ci sono state alcune modifiche prima dell’approvazione finale. In sostanza il DSA è una legge che andrà a sostituire la direttiva e-commerce, ormai obsoleta. La portata del DSA è però molto più estesa di quella della direttiva e-commerce, perché tratta temi molto più attuali e innovativi dal punto di vista normativo. Ci sono in particolare nuovi ambiti a cui bisogna prestare molta attenzione:

La nuova figura del “segnalatore attendibile”, una sorta di super fact-checker istituzionale che potrà essere anche un’organizzazione non governativa o un ente pubblico come Europol. Il segnalatore attendibile dovrà essere portatore di interessi collettivi. In pratica, la fusione tra un lobbysta e fact-checker.

Per operare in Europa le grandi piattaforme saranno obbligate a valutare ogni anno i rischi che derivano dalla loro stessa esistenza, in particolare per due macrocategorie. Da una parte ci sono i rischi legati all’abuso dei servizi, alla diffusione di contenuti illegali o alla violazione di diritti (anche dei minori).

Ma non basta. Il DSA vuole affrontare anche rischi più opachi e indeterminati, legati a concrete o potenziali “conseguenze negative” sul processo elettorale, sulla pubblica sicurezza o relativamente alla violenza di genere, salute pubblica o salute mentale e benessere delle persone.

Poteri speciali della Commissione

MHB: Certo: la disinformazione tramite Facebook, “colpevole” tra l’altro di aver causato la sconfitta di Hillary Clinton alle presidenziali Usa del 2016…

MG: Non è finita. C’è la questione dei nuovi poteri della Commissione europea, che in circostanze straordinarie (quelle che incidono sulla sicurezza pubblica o sulla salute pubblica) può elaborare protocolli di crisi obbligatori per le grandi piattaforme. Per circostanze straordinarie si intendono eventi come pandemie, attacchi terroristici, attacchi cibernetici, guerre, e così via.

Infine, ci sono anche altre disposizioni che vanno invece a coprire il settore dell’advertising e della profilazione sulle grandi piattaforme. Ad esempio, sarà vietato presentare annunci profilati a minorenni.

MHB:  La Commissione ha pubblicato l’elenco delle very large platform che saranno tenute d’occhio. Tutte aziende Usa, ad esempio non compare la francese Qwant, che però dovrebbe far parte del gruppo avendo oltre 40 milioni di utenti.

MG: La mia impressione è che il DSA sia l’ennesimo tentativo dell’Ue di domare e controllare in qualche modo il potere che gli Stati Uniti esercitano digitalmente da ormai vent’anni. L’Ue prima ancora di essere una colonia militare americana è una colonia digitale. Non abbiamo una Big Tech europea e siamo totalmente dipendenti da attori statunitensi, controllati dal governo statunitense. Anche Qwant, che citavi tu, ha quote di mercato irrisorie.

Ricatto alle piattaforme

Il GDPR fu il primo tentativo di domare gli Usa e in realtà non ha funzionato. Snowden lo definì una “tigre di carta” a buona ragione. Il DSA segue la stessa logica: non possiamo fare a meno dei servizi americani ma possiamo cercare di esercitare una sorta di controllo indiretto su quello che succede in questi servizi.

Questo si traduce sostanzialmente in un ricatto alle aziende della Big Tech: se volete continuare a sfruttare il mercato europeo dovete concederci un certo potere decisionale sulla vostra piattaforma. Dato il fallimento del GDPR sotto questo punto di vista, non so fino a che punto possa essere efficace il DSA.

Sono molto scettico e credo che potrebbe portare a non poche difficoltà per gli utenti europei, che si troveranno di fatto a usare le stesse piattaforme dei cugini americani, ma con regole diverse. Non è però detto che le aziende vogliano o possano applicare queste regole.

Musk nemico numero uno

MHB: In molti articoli che lodano il DSA si individua in Twitter, anzi in Elon Musk in persona, uno dei bersagli principali di questo super fact-checker.

MG: Una volta compreso l’obiettivo del DSA, che è quello di controllare l’informazione sulle grandi piattaforme, si capisce anche il motivo per cui Elon Musk è diventato molto velocemente il nemico pubblico numero uno.

Il 28 ottobre 2022, subito dopo la notizia dell’acquisto di Twitter da parte di Musk, Thierry Breton scrisse su Twitter: “In Europe, the bird will fly by our rules“ (In Europa Twitter dovrà sottoporsi alle nostre regole).

Elon Musk ha reso chiaro fin da subito il cambio di marcia. Finora tutti i governi sono stati abituati (male) ad avere a che fare con grandi piattaforme dove i consigli d’amministrazione sono eletti e non dispongono di alcuna quota di proprietà nella piattaforma. Enti che quindi agivano con metodo politico e non di mercato. I recenti Twitter Files lo mostrano ampiamente.

Musk invece tratta Twitter come se fosse cosa sua, perché in effetti lo è. E quando hai a che fare con qualcuno che vuole proteggere la sua proprietà, diventa molto più difficile fare perno sulla politica.

Musk farà ciò che gli conviene economicamente e nel rispetto dei suoi principi personali, e non certo per fare un favore a Thierry Breton e Margrethe Vestager. Questo è un pericoloso sviluppo per i pianificatori centrali europei.

È anche il motivo per cui onestamente non so cosa accadrà con Twitter. Può darsi che Musk decida di aderire completamente e al meglio delle sue possibilità alla normativa, o può darsi che faccia l’esatto opposto. Credo che lo sappia solo lui.

Il pretesto della disinformazione

MHB: Eppure, in quanto a “put in place mitigation measures – for instance, to address the spread of disinformation and inauthentic use of their service”  – qualcosa che troviamo nel DSA – Twitter con le sue community notes dovrebbe essere il social messo meglio, forse addirittura già compliant

MG: Da un punto di vista razionale, se per “disinformazione” intendiamo effettivamente la diffusione di informazioni oggettivamente false o tendenziose, allora Twitter è sicuramente tra i migliori in questo momento. Il problema è che la disinformazione qui non è affatto il tema, ma uno specchietto per le allodole mascherato di politically correct.

MHB: Nel documento completo troviamo la parola “disinformation” ripetuta 13 volte: senza mai essere definita…

NG: Esattamente. Come dicevo prima, la disinformazione non è affatto il punto del DSA, nonostante sia una legge promossa politicamente e mediaticamente come lotta alla disinformazione. Quelle 13 volte in cui appare la parola disinformation non fanno neanche parte del testo normativo, ma dei “considerando”.

I considerando dei testi giuridici fanno tecnicamente parte della legge ma non hanno valore di legge, sono sostanzialmente una dichiarazione d’intenti ma non hanno in nessun caso valore cogente. Lo si capisce anche dal modo in cui sono scritti. Ciò che conta è il testo di legge, cioè gli articoli che seguono i considerando. E negli articoli la parola disinformazione non compare mai, perché il DSA non è una legge contro la disinformazione.

Il controllo dell’informazione

In quella normativa non esiste la lotta alla disinformazione. Esiste la lotta per il controllo dell’informazione. E il DSA è una legge per controllare l’informazione. È una legge per censurare i “contenuti illegali”, qualsiasi cosa siano, e per censurare ogni opinione che possa essere in qualche modo diversa dalla narrazione politica del momento o scomoda per uno Stato membro o per la Commissione europea.

Controllare l’informazione è l’obiettivo di tutti i governi del mondo. Un caso recente ed emblematico per capire quello che intendo arriva proprio da Twitter.

Liberté Egalité Censuré

L’account “LeftismForU” ha ricevuto un avviso di rimozione di contenuti dal governo francese per aver scritto “no amount of makeup, surgeries, filters, long hair, or dresses will ever change your gender”.

Avviso di rimozione del governo francese su Twitter.

NDR: Abbiamo verificato (visto che viviamo in Francia, vedere qui sopra): Twitter sembra aver obbedito. Abbiamo ovviamente subito twittato la stessa frase, qui, invitiamo dunque i lettori a verificarne la leggibilità nel proprio paese. Ma proseguiamo con l’intervista.

MG: Chiaro, è un’opinione che oggi incontra molta resistenza. Ma è un’opinione innocua che va rispettata anche se può offendere qualcuno. Ognuno dovrebbe avere il diritto di dire ciò che pensa. Nel contesto del DSA questo sarebbe un contenuto che può avere “potenziali conseguenze negative sul benessere delle persone” o un contenuto “di violenza di genere”. È sufficiente la segnalazione di qualche persona offesa da questa opinione innocua per far scattare una censura.

Un altro esempio è la recente decisione dell’Oversight Board di Facebook, un ente indipendente che monitora ed esamina le decisioni di moderazione di Facebook. Secondo le loro ultime linee guida, Facebook dovrebbe continuare a censurare la “disinformazione” sul Covid fino a che il WHO non dichiarerà finita l’emergenza pandemica.

Ma perché questo collegamento tra disinformazione e la decisione del WHO? Se un’informazione è falsa, rimane falsa a prescindere da decisioni politiche sulla fine o meno di una situazione emergenziale. È chiaro quindi che l’intento non è promuovere la verità, ma controllare la narrazione.

I super fact checker

MHB: Qual è il giudice o l’ente incaricato di sentenziare se una frase o un articolo sono disinformazione?

MG: Come dicevo prima ci saranno i “super fact checker” e i normali meccanismi di segnalazione. Poi ci sono i poteri di supervisione della Commissione europea in caso di crisi e un nuovo ente, il Digital Services Coordinator, che sarà incaricato di supervisionare il rispetto del regolamento ed eventuali violazioni da parte delle grandi piattaforme.

MHB: Per concludere, spiegaci se e come possiamo proteggerci da questa mania di tutto regolamentare (che non riesce negli intenti ma crea effetti abominevoli quali i continui popup ogni vola che si accede ad  un sito).

MG: Il DSA è una legge spacciata per una cosa che non è. Perfino le buone disposizioni, come il divieto di profilare i minori, nascondono dei problemi. Come fa una grande piattaforma a distinguere tra minorenni e maggiorenni? Serviranno meccanismi di identificazione e verifica dell’età, che significa una riduzione degli spazi di anonimato per tutti gli utenti.

Oltre a questo, c’è il problema del fact-checking, che nella Ue assumerà una dimensione collettivista e lobbystica, molto diverso dal fact-checking a cui siamo abituati ora.

Ciò che è vero o falso diventerà a tutti gli effetti una questione politica. Pensiamo solamente al fatto che organizzazioni come GreenPeace o Ultima Generazione potranno adoperarsi per chiedere la censura proattiva di ogni opinione contrastante con le loro. O ancora enti come l’Europol potranno fare lo stesso. Praticamente uno stato di polizia sui social network.

E poi c’è la questione della moderazione. O meglio, della censura dell’informazione. Ci stiamo pericolosamente avvicinando a quel momento in cui in caso di crisi, come ad esempio una guerra, la Commissione europea potrà letteralmente dettare legge su ciò che è ritenuto vero o falso e imporre alle grandi piattaforme dei protocolli di mitigazione dei rischi sistemici che spiegavo prima.

(Ndr: niente di nuovo: la televisione russa Russia Today è bloccata in Europa da oltre un anno su decisione della presidente della Commissione. Non che non dicesse falsità: ma personalmente ci riteniamo abbastanza grandi da capirlo da soli, ed inoltre le cose hanno sempre una scala di grigi e la narrativa “buoni noi cattivi loro” ci pare degna di stati dittatoriali. Ma terminiamo l’intervista).

Legge cinese

MG: Il DSA è una legge molto pericolosa perché rischia di diminuire gli spazi di anonimato online e cerca di trovare un impossibile compromesso tra libertà d’espressione e ordine pubblico, rischiando così di politicizzare e criminalizzare qualsiasi opinione discordante con il sentire comune e con la narrazione del momento.

Il DSA è una legge di stampo culturale cinese, non c’è alcun dubbio a riguardo. Come scrivevo su Privacy Chronicles, già nel 1997 le leggi cinesi prevedevano ciò che oggi prevedono leggi occidentali moderne come il DSA: censura di contenuti contro il governo e l’ordine socialista, divieto di pubblicare disinformazione e indiscrezioni che possano destabilizzare l’ordine politico e divieto di pubblicare contenuti illegali o che possano offendere le persone. Trovate le differenze, se riuscite.

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