Esteri

Democrazie alla prova: l’illusione della pace perpetua

Lo spettro della guerra, sfide interne ed esterne alle democrazie occidentali, la necessità di una visione comune e di non farsi bloccare dalla paura

Macron Von der Leyen (Eliseo)

La paura per un conflitto tra Russia e Nato sembra crescere giorno dopo giorno e il clima di tensione che si respira diventa sempre più pesante. Papa Francesco ci ha già introdotti, a suo modo, in un’idea di guerra che staremmo già vivendo “parcellizzata”. Dall’altra parte qualcuno, invece, è come se volesse mettere insieme tutti questi pezzi di guerra per rendere ancor più netta l’evidenza di un terzo conflitto mondiale verso il quale staremmo scivolando.

L’Europa è oggi in una situazione di Giano Bifronte, dove alcuni Paesi parlano di difesa europea, piani per l’economia e per l’industria della difesa per una maggiore sinergia, che richiedono indubbiamente molti anni per concretizzarsi; mentre altri, forse più realisti o pessimisti, parlano di guerra in tempi più imminenti, mostrando così una accelerazione e sensibilità diverse.

Nuove sfide

È necessario riflettere su una duplice questione: in primo luogo, bisogna valutare se l’Occidente stia mantenendo la sua attrattiva e la sua influenza nel panorama globale; in secondo luogo, considerare se le democrazie occidentali siano ancora in grado di garantire il successo rispetto alla crescente influenza di altri sistemi politici. Quest’ultimo punto implica un’analisi sulle capacità delle nostre democrazie di mantenere il consenso dei cittadini di fronte a sfide interne ed esterne.

Ora il nostro sistema è messo significativamente alla prova, e ciò è principalmente dovuto a due fattori chiave. Sicuramente per la velocità del mondo moderno: il progresso tecnologico e sociale avanza con un ritmo incredibilmente rapido, molto diverso da quanto abbiamo sperimentato in passato. Per fare un esempio, basti pensare che l’umanità ha impiegato millenni per sviluppare la ruota e oltre diecimila anni per arrivare alla bicicletta. Questa accelerazione ha reso necessario un continuo adattarsi tempestivo e dinamico.

Altro fattore riguarda una nuova prospettiva nelle relazioni internazionali. A differenza del passato, dove il conflitto era spesso visto come inevitabile, oggi tendiamo a cercare soluzioni che evitino la conflittualità, come detta anche la nostra Costituzione.

Questo nuovo approccio riflette un desiderio comune di cooperazione e pacificazione nei rapporti tra nazioni. Il cambiamento di questo paradigma ci espone a nuove sfide, talvolta vere e proprie minacce, poiché dobbiamo spesso adattare la nostra mentalità e le nostre istituzioni a un mondo in rapida evoluzione. Solo adattandoci in modo flessibile e mantenendo una visione aperta possiamo sperare di navigare con successo le acque agitate del mondo contemporaneo. Tuttavia, il quotidiano che viviamo ci dice tutt’altro. È un buon porsi che però non basta.

L’anomalia della pace

Nel corso degli ultimi settant’anni, abbiamo assistito a un notevole sviluppo del nostro sistema di welfare. Eppure, se prendiamo in considerazione i secoli e millenni precedenti, è evidente quanto la storia dell’umanità sia stata sempre segnata da conflitti e guerre, quasi incessantemente, con milioni di vite perdute già solo negli ultimi due devastanti conflitti mondiali del Novecento. In questo senso, questi settanta anni di pace – quanto meno per l’Occidente – appaiono un’eccezione, piuttosto che la norma.

Se riflettiamo sulla storia dell’uomo e dell’umanità, appare chiaro come questi abbiano vissuto da sempre in conflitto con qualcuno, in uno stato da homo homini lupus in cui ogni uomo agiva contro altri uomini, una comunità era in conflitto con la comunità vicina, un regno con un altro regno o impero. Non stupiamoci, allora, se siamo o potremmo essere alla vigilia di un enorme conflitto, perché paradossalmente, e purtroppo per noi, sarebbe questa la normalità. L’anomalia, per quanto assurdo possa sembrare, sono i settant’anni di pace cui siamo stati abituati o in cui siamo nati.

Mancanza di visione

Questo ragionamento a cosa ci deve portare? Non ad una psicosi o ad una mera rassegnazione, quanto ad una fredda e audace valutazione. Ci deve armare di coscienza, non dobbiamo ascoltare solo ciò che vorremmo sentirci dire.

E sollevare interrogativi sul fallimento dei sistemi politici nel fornire agli individui un obiettivo comune, una visione con cui identificarsi. Gli esseri umani sono creature sociali per natura e l’isolamento totale va contro il nostro istinto più profondo. È essenziale per noi sentirci parte di qualcosa di più grande, che sia una comunità, un’idea o una causa condivisa. Questo senso di appartenenza ci fornisce una dimensione significativa e ci connette con qualcosa che va oltre il nostro io individuale.

Le élites politiche hanno smesso di ispirare con visioni e compensato con servizi, creando una cultura del materialismo. Il populismo emerge come conseguenza, dando priorità agli effetti immediati piuttosto che al pensiero approfondito. Le masse, deresponsabilizzate, delegano il potere a leader carismatici, ma possono rovesciarli rapidamente se delusi, dimostrando l’instabilità del sistema. L’assenza di una vera prospettiva ha causato problemi in tutto il mondo occidentale. I vertici politici dovrebbero agire per perseguire una visione a lungo termine perché “seguire” ciecamente le richieste della folla porta a continui cicli di instabilità, in cui le promesse sono più facili a dirsi che a mantenersi.

Europa in ordine sparso

Oggigiorno abbiamo un’Europa con Parigi e Berlino timidamente “pronte” ad un’eventuale offensiva sul fronte russo-ucraino, un’Italia che frena, Paesi come la Polonia e i Baltici sulla difensiva, e gli Stati Uniti sempre più vicini al secondo mandato di Donald Trump, ambiguo sul futuro sostegno all’Europa.

La Germania finora ha avuto una proiezione prevalentemente economica, affidandosi all’ombrello Usa e trascurando gli investimenti nella propria difesa, con una fiducia nell’assistenza americana che è sempre più in bilico. Siamo davvero certi che ogni presidente degli Stati Uniti sarà disposto in futuro a sacrificare risorse e uomini Usa per proteggere città europee? Questa dipendenza ha contribuito alla crescita di un sentimento euroscettico. Eppure, la vera preoccupazione non è tanto Trump, piuttosto l’evoluzione dell’elettorato americano; il vero rischio è rappresentato dai leader futuri, potenzialmente più radicali e critici nei confronti dell’Europa.

Questo quadro geopolitico porta con sé una serie di interrogativi su come la paura possa condizionare le nostre vite e le nostre decisioni, e su come sia nostro dovere cercare una soluzione che permetta di vivere senza queste costanti minacce. Se non si agisce in modo tempestivo e risoluto, il rischio è che la paura diventi dominante, compromettendo il nostro benessere collettivo.

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