I due vertici straordinari europei, quello di Parigi e quello di Londra, possono essere un inizio di difesa comune europea, dentro la Nato, nel caso gli Usa decidano di lasciare il vecchio continente al suo destino? La possibilità che l’Europa si difenda da sola non è una chimera ed è ben riassunta dalla dichiarazione del premier polacco Donald Tusk: “Il paradosso è che 500 milioni di europei chiedono a 300 milioni di americani di difenderli da 140 milioni di russi […] la nostra vera mancanza come Europa è la volontà di essere una forza globale”.
Gli attriti della centralizzazione
Il paradosso è vero sulla carta, quel che manca è… l’Europa. Che non è una nazione, ma un’espressione geografica. E continuare a ripetere, come i partiti europeisti fanno, durante ogni singola crisi, che “ci vuole più Europa”, cioè più centralizzazione nelle mani di Bruxelles, non è la soluzione.
Se oggi il vecchio continente non è coeso, è anche grazie al processo di centralizzazione che ha provocato molti attriti non necessari fra Paesi “di serie A” e “di serie B”. La difesa non farebbe eccezione, anzi potrebbe accentuare ulteriormente l’attrito fra Paesi che vedono nel riarmo una provocazione inutile e pericolosa nei confronti della Russia (che non giudicano come un pericolo per loro) e Paesi che devono la loro stessa sopravvivenza alla difesa dalla potenziale aggressione russa. Cipro e l’Estonia, per fare due esempi estremi, non condividono gli stessi interessi, né la stessa visione della politica di sicurezza.
Cinque consigli non richiesti
Come risolvere il dilemma, considerando che, se gli Usa se ne vanno e la guerra in Ucraina si conclude a favore della Russia, l’Europa continentale sarà realmente più esposta alla minaccia russa?
Cinque suggerimenti (non richiesti) all’Europa, se vuole veramente essere autonoma nella difesa, senza sognare un esercito comune che non ci sarà mai.
Pace con Londra
Primo: basta fare gli schizzinosi con il Regno Unito. Benché abbia ridotto le sue forze armate al lumicino, il Regno Unito è l’unica potenza europea con esperienze recenti di guerra, ha una tradizione marittima che continua a rispettare con una delle flotte più potenti del mondo e ha un deterrente nucleare basato su sottomarini. Mettere da parte la rivalità fra Ue e Regno Unito dopo la Brexit è la precondizione necessaria per fare una difesa europea.
Considerando soprattutto che, dopo aver subito il terrorismo russo sul proprio territorio (gli avvelenamenti di Litvinenko e Skripal), i governi inglesi, a prescindere dal partito, sono consapevoli che la Russia sia una minaccia. In tutte le crisi recenti con Mosca, Londra è sempre stata la più determinata a resistere.
Morte al Green Deal
Secondo: cestinare il Green Deal. Messaggio che evidentemente non è ancora stato recepito, visto che il nuovo piano industriale da 100 miliardi di euro, appena lanciato dalla Commissione europea, il Clean Industrial Deal, è semplicemente un Green Deal con un altro nome. Se si investono altri 100 miliardi per decarbonizzazione ed energie pulite vuol dire che la difesa non è ancora considerata prioritaria.
Con un investimento anche minore si dovrebbe invece riuscire almeno a pareggiare la produzione russa. Oggi tutti i Paesi europei messi assieme non riescono neppure a fornire all’Ucraina il numero sufficiente di munizioni d’artiglieria, nemmeno il milione di munizioni promesse, in un anno intero, nel 2023. L’industria militare va dunque ricostruita da zero. Essendo un’industria energivora, ha bisogno di essere supportata da una produzione energetica che le rinnovabili non riuscirebbe a sostenere. Quindi si torna alla violazione di un secondo tabù: riaprire, nell’immediato le centrali a carbone e, nel lungo periodo, aprire nuove centrali nucleari.
L’industria bellica
Terzo: l’industria bellica non può essere ricreata in meno di un amen, ma Putin potrebbe non lasciarci tutto il tempo necessario. In cinque anni, se la guerra in Ucraina finisse nel 2025, sarebbe in grado di lanciare una guerra su larga scala in Europa, secondo l’intelligence danese, ultima di una serie di analisi della Nato che giungono a conclusioni simili.
In questi cinque anni, con buona pace di chi chiede il boicottaggio di Trump, si possono solo comprare armi americane. Se il presidente statunitense non è passato dalla parte di Putin (e finché non lo sarà) è nel suo interesse venderci armamenti americani di ogni genere, con cui equipaggiare gli eserciti europei. La Francia non è un sostituto sufficiente a colmare l’eventuale fine della lunga relazione transatlantica: non ha la capacità industriale necessaria e non è detto che gli armamenti francesi siano qualitativamente superiori a quelli americani.
Quarto: sulla carta ogni Paese europeo membro della Nato dovrebbe spendere il 5 per cento del Pil, come attualmente sta facendo solo la Polonia. Ma in questa fase occorre essere flessibili. La guerra, non solo è fredda (dunque non visibile agli occhi dei non specialisti), ma anche ambigua: per un pezzo di politica europea la Russia è “amica”.
Ci sono Paesi come il Regno Unito, la Francia (ma solo finché c’è Macron), la Germania (ma solo finché governerà Merz), la Norvegia, la Svezia, la Danimarca, la Polonia, la Lituania, la Lettonia, l’Estonia e la Romania che sono ben consapevoli del pericolo russo e agiscono già di conseguenza per prepararsi all’evenienza di un conflitto.
Tutti gli altri non nutrono gli stessi timori, oppure solidarizzano con gli alleati solo politicamente. Non si può coinvolgerli in una guerra non loro, né obbligarli a fare così tanti sacrifici per prepararla nel corso dei prossimi anni. Sarebbe addirittura controproducente: potrebbero diventare fonte di diserzioni e doppi giochi (e l’Italia non sarebbe affatto esente).
Quindi, fermo restando l’appartenenza alla Nato, occorre una divisione del lavoro: un gruppo di Paesi “di prima linea” con una solida preparazione di difesa territoriale, leva di massa, difesa civile. E una “seconda schiera” di Paesi con eserciti professionali e armi ad alta tecnologia pronti a intervenire nel territorio minacciato, senza coinvolgere troppo riottose opinioni pubbliche. Infine un “ultimo bastione” dato dalle potenze nucleari europee (Regno Unito e Francia).
Il deterrente nucleare
Quinto: proprio il deterrente nucleare è il punto debole dell’Europa. Si dirà: Francia e Regno Unito sono entrambe potenze nucleari. Ma se l’arsenale nucleare tattico americano schierato in Europa dovesse essere ritirato (ipotesi ancora mai fatta da nessuno, ma in teoria non è da escludere) il deterrente francese e britannico diventerebbe poca cosa.
Non tanto in termini numerici, perché le circa 500 testate anglo-francesi sono in grado di radere al suolo tutte le città russe e distruggere gran parte delle basi militari nemiche. Ma in termini qualitativi: sia la Francia che il Regno Unito dispongono infatti solo di armi strategiche, cioè testate montate su missili a medio raggio (di cui dispone solo la Francia) o a raggio intercontinentale che, una volta lanciate, innescherebbero una risposta russa strategica, totale, da fine del mondo.
Londra e Parigi non possono scegliere che fra due opzioni: guerra convenzionale o fine del mondo. Se i russi dovessero impiegare testate nucleari tattiche sul campo, in una guerra europea, difficilmente risponderebbero con la fine del mondo. Quindi, in sintesi, senza Usa il deterrente europeo non esiste.
Le potenze nucleari europee dovrebbero dunque rompere un altro tabù e dotarsi di nuove armi tattiche, a corto raggio, in modo da poter affrontare ogni livello di escalation. Il deterrente, poi, non è solo offensivo, ma anche difensivo. Per scoraggiare una minaccia nucleare russa, occorre uno scudo anti-missile efficace su tutta Europa, un progetto di cui si parla dall’ottobre dal 2022. Ma quanto è stato realizzato?
Fuori tempo massimo
Ecco, queste cinque politiche, partissero adesso, inizierebbero già fuori tempo massimo. È infatti dal 2007 che Putin ha reso chiari i suoi obiettivi e dal 2008 li sta mettendo in pratica. Solo dal 2022 abbiamo capito che è una minaccia concreta. Cosa aspettiamo ancora? Basarsi solo sugli Usa non è stata una scelta lungimirante, considerando che dal 1991 in poi ogni presidente di area repubblicana promette di “riportare i ragazzi a casa” dall’Europa. Trump farebbe quel che già era chiaro dai tempi di George Bush sr.