Esteri

Riarmo non contro Trump: la vera notizia è che la Ue si è fatta da parte

La ciccia è nei 650 mld di “spazio di spesa militare” (non già spesa) in deroga al Patto di Stabilità. La palla, quindi, passa per intero agli Stati. Merz si attrezza: non contro Trump, ma seguendo Trump

Sul continente europeo volano fole come non ci fosse un domani: tre enormi, in particolare. E vorremmo renderne attento il lettore.

Prima fola: gli 800 miliardi di VdL

La prima fola sono gli 800 miliardi dalla Ursula Von der Leyen strombazzati. Poi uno va a vederci dentro, e trova (1) una accelerazione dell’unione dei mercati dei capitali: precisamente ciò che abbiamo visto impossibile alla luce della vicenda UniCredit-Commerzbank. Poi, (2) il permesso alla BEI di far prestito pure ad imprese della difesa: interessante ma tutt’altro che risolutivo. Poi ancora, (3) l’autorizzazione agli Stati Membri a riassegnare fondi leuropei, dal sostegno alle regioni depresse a quello all’industria della difesa (e non all’acquisto di nuove armi): tradotto, dalla Calabria a Leonardo … comprensibilmente, Meloni ha già detto che se lo sognano. Fin qui, stiamo parlando di miliardi talmente improbabili, che neppure la baronessa li conteggia: fanno parte degli 800 miliardi solo a titolo qualitativo.

La ciccia non sarebbero nemmeno (4) i 150 miliardi in prestiti leuropei agli Stati, concessi da un nuovo fondo garantito dal solo bilancio Ue. Il che sarebbe illegale, ferma l’opposizione dell’Ungheria, come spiega la FAZ: secondo il 41 Teu, “le misure aventi implicazioni nel settore militare e della difesa non possono essere finanziate dal bilancio Ue, a meno che il Consiglio, deliberando all’unanimità, decida altrimenti”. Sin qui, spiega bene la FAZ, i soldi della baronessa “sono, ovviamente, una bufala”.

Tutta maggior spesa nazionale

La ciccia sarebbero (5) i 650 miliardi da lei ipotizzati nell’arco di quattro anni, di maggior spesa per la difesa: nazionale non – anche latamente – leuropea. Gli Stati sarebbero autorizzati sino all’1,5 per cento del Pil in spesa per difesa, senza che quest’ultima venga conteggiata come maggior deficit ai fini delle regole fiscali leuropee. Ciò avverrebbe sospendendo il nuovo Patto di Stabilità e Crescita, il quale impedisce il riarmo come l’Italia aveva fin dall’inizio ben segnalato.

Ovviamente, “nel modo più flessibile possibile con il minor numero di vincoli”, cioè senza imporre appalti congiunti (joint procurement) … che qui i soldi sono degli Stati e ciascuno li spende come preferisce. Ovviamente, salve le specifiche comuni (common specifications) … ma quello è affare della Nato, non della Ue.

Tuttavia, il tutto con riferimento alla spesa militare di investimento e non alla spesa militare corrente: tradotto, per comprare nuovi cacciabombardieri, ma non per pagare piloti, combustibile, meccanici e pezzi di ricambio. Ciò che ha ben compreso Berlino la quale, nella propria completa capovolta, va ora proponendo che la sospensione riguardi pure la spesa corrente per la difesa, oltre a durare più dei quattro anni previsti.

La Ue si fa finalmente da parte

Di tutto ciò, i capi di Stato e di governo discuteranno nel loro prossimo vertice formale il 21-22 marzo. Successivamente, la presidenza di turno polacca spera “di compiere progressi sulle esigenze di finanziamento in occasione di una riunione dei ministri delle finanze ad aprile, in vista di una decisione del Consiglio a giugno”.

Alla fine, a restare saranno solo i 650 miliardi da sospensione delle regole fiscali. Ma, badi il lettore, non si tratterà di spesa militare, bensì di spazio-di-spesa militare. Quanto i singoli Stati membri veramente spenderanno, lo vedremo: magari due terzi, magari la metà di quella cifra. In tal modo superando finalmente tutti la soglia Nato del 2 per cento su Pil, ma non necessariamente subito e di moltissimo.

Ciò che importa, è che a deciderlo saranno i singoli Stati membri con la Nato (dove comanda Washington) e non con la Ue (dove comanda Berlino): la vera novità la Ue si è fatta da parte e dice agli Stati Membri: “io non mi impiccio più”, “io mi levo dalle balle”. Meglio tardi che mai.

Seconda fola: i millemila miliardi di Merz

La palla passa, quindi, per intero agli Stati Membri. Il maggiore dei quali va impostando la propria trattativa con la Nato=Washington. E qui giungiamo alla seconda fola: il whatever it takes in materia di difesa, martedì sera strombazzato dal prossimo cancelliere tedesco Friedrich Merz.

Giunto primo alle elezioni generali, egli si è trovato di fronte alla impossibilità di riarmare: il ministro uscente delle finanze Kukies (SPD) gli ha mostrato che, nel solo 2025-2028 mancano oltre 100 miliardi di entrate e ciò anche senza riarmo. Riarmo che alla Germania dovrebbe costare una spesa militare pari a un 1 per cento del Pil all’anno minimo, circa 45-50 miliardi. Sicché, in totale nel solo 2025-2028 mancherebbero almeno 300 miliardi, a fronte di un bilancio federale ordinario per il 2025 pari a 488 miliardi. E senza dimenticare che il precedente governo SPD-GRU-FDP è appena andato in crisi, per non aver saputo trovare 25 miliardi.

Che fare? Risparmi, certo, come Merz propone sul cosiddetto assegno di cittadinanza. Ma come ottenerli, alleati di una SPD che, oggi ancora, chiede di “garantire le pensioni”, aumentare gli stipendi e proteggere gli inquilini?

Soluzione? Fare come la Von der Leyen: cancellare le regole fiscali in materia militare. Anche se sarebbe più esatto dire che è la baronessa a fare come Merz … anzi, sotto dettatura di Merz (peraltro, suo compagno di partito nella stessa CDU tedesca).

Pure qui, non si tratterà di spesa militare, bensì di spazio-di-spesa militare. Quanto la Germania veramente spenderà, lo vedremo: magari 45-50 miliardi all’anno, magari un po’ di più. In tal modo superando la soglia NATO del 2 per cento su Pil, finalmente non per finta, ma non necessariamente subito e di moltissimo.

Una riforma costituzionale

Orbene, le regole fiscali in questione non stanno nei Trattati leuropei che, come noto, a Berlino mai si applicano. Bensì, stanno nella Legge Fondamentale (=Costituzione) tedesca e si chiamano freno all’indebitamento (Schuldenbremse) il quale, introdotto nel 2009 ed avente effetto dal 2011, vieta deficit superiori al 0,35 per cento del Pil.

Ma è stato da allora allegramente aggirato, con la scusa del Covid o della guerra in Ucraina, sino al giorno in cui una sentenza della mitica corte costituzionale di Karlsruhe rese tale aggiramento impraticabile. Obiettivo di Merz, oggi, è letteralmente cancellare tale freno all’indebitamento, con riguardo all’intera spesa militare: di investimento e corrente.

Le altre spese

In cambio, egli darà alla SPD un fondo speciale da 500 miliardi, da spendersi in 10 anni e destinarsi a “ponti, strade e scuole”. Il che sarebbe sacrosanto … ma dentro finirà per starci pure la decarbonizzazione per far contenti i Verdi e chissà quanti altri gretinissimi sciupii.

Ciò che Merz avrebbe cercato di evitare, proponendo di estendere la definizione di spesa per la difesa agli “ospedali, che sono essenziali per la protezione civile”, nonché a “porti, strade e ferrovie funzionanti che sono essenziali per il trasporto militare”. Ma il funambolismo era troppo evidente e il conservatorismo fiscale di Merz troppo noto: nella campagna elettorale appena conclusa, si chiedeva “fino a che punto vogliamo arrivare con i nostri debiti?”. Normale che le sinistre non ci siano cascate.

Tempi da riforma costituzionale

I voti dei Verdi sono necessari, in quanto il freno all’indebitamento è legge costituzionale e la sua riforma richiede il voto favorevole dei 2/3 in entrambe, la Camera dei deputati (Bundestag) e la Camera degli Stati (Bundesrat). In primo luogo, i Verdi sono presenti in moltissimi governi dei Land e, quindi, hanno gran peso nel Bundesrat. In secondo luogo, nel Bundestag appena eletto e che si insedierà il 25 marzo neppure il concorso dei Verdi basterebbe a raggiungere tale super-maggioranza. Sicché, Merz sta ora tentando di far votare il Bundestag precedente, quello eletto nel 2021 ma formalmente non ancora dissolto. E lì i Verdi bastano (con CDU/CSu ed SPD) a raggiungere i 2/3.

Una forzatura francamente impresentabile e plausibilmente destinata ad essere censurata dalla Corte costituzionale. Si vedrà il 10 marzo, quando è convocata una sessione speciale della Commissione Bilancio del vecchio Bundestag, in teoria seguita da una prima lettura in aula il 13 marzo, votazione finale il 18 marzo e voto del Bundesrat il 21 marzo. Ma tant’è, almeno così Merz potrà dimostrare di avercela messa tutta, a riarmare.

Inoltre, pure si scarrellasse al nuovo Bundestag, lo stesso Merz potrebbe trovare una maggioranza dei 2/3 se col voto della sinistrissima Linke: certo, in cambio di un allentamento del freno all’indebitamento, ma generale: non solo in materia di difesa. Che è ciò che chiedono pure i Verdi.

E ciò cui si prepara pure Merz, avendo convenuto che il nuovo Bundestag riunisca una commissione di esperti, alla quale già la Bundesbank si è preparata con un proprio contributo. Con il non indifferente vantaggio di portare a casa il voto di tutte le sinistre, al prezzo di assai meno gretinissimi sciupii di quanti oggi, in cambio della riforma per la sola spesa militare, occorrerebbe concederne ai soli Verdi.

Quanto alle alleanze di governo, si vedrà

Una volta ottenuta la riforma costituzionale, in un modo o nell’altro, nessuno scommette sulla durata di un nuovo governo CDU-SPD. Cartina di tornasole è la discussione in corso sulla immigrazione irregolare, con la SPD che rifiuta tutto ciò che Merz pretende: respingimenti alle frontiere, riduzione dei permessi di soggiorno e sospensione dei ricongiungimenti familiari. E non hanno ancora cominciato a parlare di gas russo e nucleare. Può durare un governo siffatto? Non oltre la riforma costituzionale, francamente.

Dopodiché, Merz potrà pure rovesciare le alleanze e mettersi con la AfD, che oggi gli lancia tuoni e fulmini per aver “mentito agli elettori con ogni parola durante la campagna elettorale” e invoca una politica di tagli di spese à la Milei, certamente più consona ai desiderata di Merz rispetto alle spese pazze dei suoi alleati pro-tempore, la SDP. In materia, qui vivra verra.

Ma queste sono faccende di politica interna tedesca. A noi qui interessa che la Germania abbia spazio-di-spesa per il riarmo … e quello sarà comunque garantito.

Terza fola: Leuropa contro Trump

Riassumendo, Bruxelles si fa da parte e lascia ampio spazio-di-spesa militare agli Stati. Su istruzione ed incoraggiamento di Berlino, la quale già si attrezza a sfruttare tale spazio-di-spesa. E lo fa sapere a voce alta, così Merz: “siamo in grado di prendere decisioni”, quando si parla di spese militari il suo nuovo motto è “whatever it takes”.

Bello, ma lo fa sapere a chi? Lo fa sapere … a Trump. Cioè, fa sapere a Trump di stare seguendo le sue istruzioni, di stare veramente predisponendosi a quel riarmo … che lo stesso Trump gli ha comandato. E questa è la sostanza.

Altro è la finzione scenica a beneficio di telecamera: e qui sentiamo Merz dire di stare agendo contro Trump … con argomenti tipo “chiaro che in futuro noi europei saremo soli”, oppure “dobbiamo rapidamente diventare capaci di difenderci” e via cazzeggiando. Il tutto all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno: martedì 4 marzo alle 19:00h … detto da uno noto per essere un atlantista di ferro.

Estendendo lo sguardo ai corifei, c’è il presidente della CDU giovanile che invoca il ritorno al servizio militare obbligatorio, poi un memorabile pezzo della merzianissima Bild: “qual sarebbe l’alternativa? Vogliamo consegnare il Paese pulito e senza debiti quando Trump e Putin si spartiranno l’Europa?”. Roba che manco al circo. E questa è la terza fola.

Ma buona solo per i babbei che ci cascano. Come praticamente tutta la stampa italiana e francese. E praticamente tutta piddinia, ma davvero tutta, stavolta … incluso persino un ex ministro della difesa che prima giudicavamo rispettabile, Arturo Parisi, il quale si spinge a negare esista “la nostra alleanza con gli Usa”. Prodiani disperati.

Conclusioni

Insomma, né Berlino né Bruxelles stanno aumentando la spesa militare, ma solo lo spazio-di-spesa militare. Bruxelles, anzi, si sta facendo da parte, si sta levando dalle balle.

Né Berlino né gli altri stati europei stanno stanziando spese pari ai millemila miliardi dei quali titolano i giornali: ma molto meno … quanto, si vedrà. E nessuno lo sta facendo contro Trump e gli Usa, ma seguendo le consegne ricevute prima dagli Usa e poi da Trump. Non contro Trump, ma secondo Trump. E chi ha capito il contrario, è un Arturo Parisi.