Esteri

Ucraina, Israele, Mar Rosso: altro che Trump, Biden è in ritirata

L’amministrazione Biden più impegnata a frenare gli alleati piuttosto che ad aiutarli a vincere. Su tre conflitti, sembra non volerne vincere nemmeno uno

Joe Biden

Il bias mediatico senza freni dei nostri tempi influenza pesantemente la rappresentazione della realtà. Se Donald Trump viene raccontato come un isolazionista che abbandonerebbe l’Europa al suo destino, nonostante la sua prima presidenza dimostri tutt’altro – rispetto a Obama e Bush è il presidente che è “tornato” in Europa – Joe Biden passa per un generoso difensore della democrazia impegnato in tre conflitti, anche se a ben vedere sembra non avere l’intenzione di vincerne nemmeno uno.

Ciò che vediamo all’opera qui è la storica propensione dei Democratici a imbarcarsi in guerre che poi non vogliono o non sanno vincere, per indecisione o incompetenza. La rappresentazione è falsata dalle contrapposte propagande: per motivi opposti sia i simpatizzanti che i critici dell’amministrazione Biden tendono a enfatizzare oltre misura il ruolo politico e gli aiuti militari Usa all’Ucraina, i primi come prova di una leadership salda e responsabile, a difesa della libertà e dell’indipendenza di una nazione aggredita e della sicurezza europea, i secondi come gli effetti nefasti dell’imperialismo americano.

Ucraina

La realtà, per limitarci per ora al conflitto in Ucraina, è che le incertezze e le paure americane non hanno permesso a Kiev di ricevere le armi necessarie quando il momento era più propizio, nella primavera-estate 2022, per provare a respingere i russi. Le stesse armi, cominciate ad arrivare con un anno di ritardo, non stanno avendo lo stesso impatto che avrebbero potuto avere due anni fa. Consegnate a Kiev a malapena le armi per resistere, per ora, ma non per provare a vincere.

Nelle ultime ore un paio di notizie dovrebbero aiutare a rimettere un po’ le cose nella giusta prospettiva. Ieri il Financial Times ha riportato che gli Stati Uniti avrebbero esortato l’Ucraina a non attaccare le raffinerie di petrolio russe e altre infrastrutture energetiche, nel timore che ciò possa portare ad un aumento dei prezzi dell’energia e, quindi, dell’inflazione. E un aumento dell’inflazione impatterebbe negativamente sulle chance di rielezione del presidente Biden.

Una delle fonti del FT ha affermato che la Casa Bianca è “sempre più preoccupata” per gli attacchi ucraini, perché un calo delle esportazioni russe potrebbe provocare un aumento dei
prezzi a livello mondiali
e perché per rappresaglia la Russia potrebbe colpire le infrastrutture energetiche dei Paesi occidentali.

Una indiscrezione che sembra confermata implicitamente dalle parole del portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, John Kirby, che subito dopo l’attentato terroristico al Krokus City Hall ha chiarito: “Non incoraggiamo l’Ucraina a colpire internamente la Russia né la aiutiamo a farlo”.

Israele

Con l’Ucraina come con Israele, a Washington sembrano più impegnati a frenare gli alleati piuttosto che ad aiutarli a vincere. Dall’inizio dell’operazione israeliana nella Striscia di Gaza l’amministrazione Biden ha fatto di tutto per frenare e legare le mani al governo Netanyahu. In queste ore l’obiettivo è impedire l’operazione a Rafah.

Gli Stati Uniti condivideranno con Israele alternative su come possono eliminare Hamas senza operazioni di terra a Rafah, ha rivelato John Kirby. Ma risparmiare Rafah e anche un solo fazzoletto di terra della Striscia significherebbe risparmiare la vita ai tagliagole di Hamas. Su questo non ci sono divisioni di sorta nel governo israeliano, l’alibi Netanyahu non regge.

“Ho detto” a Blinken che “non c’è modo di sconfiggere Hamas senza andare a Rafah ed eliminare il resto dei battaglioni. E gli ho detto che spero che lo faremo con il sostegno degli Stati Uniti, ma se sarà necessario lo faremo da soli”, ha avvertito il premier israeliano Benjamin Netanyahu al termine dell’incontro con il segretario di Stato Usa. “Gli ho detto che apprezzo davvero il fatto che da più di cinque mesi combattiamo insieme contro Hamas. Gli ho anche detto che riconosciamo la necessità di evacuare la popolazione civile dalle zone di guerra e ovviamente di occuparci anche dei bisogni umanitari e stiamo lavorando a tal fine”.

La posizione dell’amministrazione Biden ha le gambe cortissime, tra l’altro, è motivata principalmente da una esigenza di politica interna. Nel patetico tentativo di recuperare i consensi della base radicale, anti-israeliana e persino pro-Hamas del suo partito, Biden sta sciaguratamente premendo su Israele perché si fermi, nonostante non sia ancora raggiunto l’obiettivo della distruzione di Hamas.

Mentre Israele sta combattendo per la sua stessa esistenza, per debellare un’organizzazione terroristica genocidaria, l’amministrazione Biden è mossa unicamente dalla preoccupazione di aumentare le chance di rielezione del presidente.

Mar Rosso

Insomma, in tutti i teatri di conflitto in cui è suo malgrado impegnata, l’amministrazione Biden gioca al ruolo del pompiere piuttosto che del piromane. Esorta l’Ucraina a non colpire in territorio russo, legando le mani a Kiev. Spinge per fermare l’operazione israeliana contro Hamas. E in ultimo, come abbiamo osservato più volte su Atlantico Quotidiano, rimane sulla difensiva nel Mar Rosso, limitando gli attacchi contro gli Houthi, i quali hanno già dimostrato di poter minacciare a costi molto contenuti la libertà di navigazione in uno degli stretti cruciali per il commercio occidentale sfidando la Marina Usa.

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