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Torlizzi: necessario cancellare il Green Deal Ue per gestire la crisi energetica

Intervista a Gianclaudio Torlizzi: sul price cap “discorsi insensati”, sulla transizione green ci sarà “una retromarcia clamorosa”, dobbiamo re-industrializzare l’Europa

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Conversando con Atlantico Quotidiano, Gianclaudio Torlizzi, esperto di materie prime e fondatore di T-Commodity, avverte che affrancarsi dal gas russo e allo stesso tempo procedere con il Green Deal è “insostenibile” per l’Europa, una transizione che tra l’altro “ci spedirebbe dalle braccia di Mosca a quelle di Pechino”.

Data la divisione del mondo in due blocchi, “non ha senso continuare a criticare le sanzioni alla Russia”, dobbiamo concentrarci sulla re-industrializzazione, aiutando fiscalmente i privati a investire in Europa: una “globalizzazione ristretta” al nostro blocco occidentale.

Sul price cap discorsi insensati

TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Dott. Torlizzi, da tempo sostiene che il tetto al prezzo del gas sia inapplicabile e che la crisi energetica sia una crisi sul lato dell’offerta. Per quale ragione? In che modo proverebbe a risolverla?

GIANCLAUDIO TORLIZZI: In primis, è da annotare come le proposte avanzate negli scorsi giorni dalla Commissione europea siano prive di senso, dato che il price cap proposto da Bruxelles mirerebbe ad imporre a Mosca un tetto massimo al prezzo di vendita del gas, aggiungendo però che bisogna essere pronti ad affrontare lo stop totale delle forniture da parte della Russia.

Pertanto, trattasi di discorsi insensati che evidenziano la poca conoscenza del mercato energetico di chi si occupa della stesura di queste proposte. Eppure, basterebbe poco per comprendere come nelle dinamiche di mercato il potere negoziale sia nelle mani dei produttori e non dei consumatori.

Anche in ragione di ciò, l’unico price cap che potrebbe rivelarsi fattibile sarebbe quello relativo alle bollette dell’elettricità per le imprese: in tal caso dovrebbe essere l’Ue a colmare la differenza tra il prezzo stabilito dal produttore straniero e quello che si deciderebbe di applicare al mercato interno.

Cancellare il Green Deal

TADF: Il mercato energetico europeo non è però privo di storture, come quelle che derivano dalla transizione ecologica, dallo stop ai combustibili fossili. Ritiene che siano anche le politiche green a spingere i prezzi verso l’alto? Quanto c’entra l’Emission Trading System?

GT: Penso che per provare a gestire questa fase drammatica di affrancamento dal gas della Russia sia necessario un pacchetto di provvedimenti. Innanzitutto, è necessaria la cancellazione del Green Deal, dato che mantenere in piedi i piani climatici con l’emergenza attuale rappresenta una sfida insostenibile per l’Europa.

Inoltre, già prima della guerra in Ucraina il mercato energetico europeo aveva mostrato forti tensioni, con i primi picchi al prezzo del gas registrati a partire da ottobre 2021, dovuti ad una condizione di offerta del mercato che risentiva di anni di disinvestimenti, dovuti soprattutto alle politiche green.

Pertanto, il mercato europeo non è in grado di reggere determinati shock, a meno che non si opti per l’esercizio di pesanti razionamenti energetici, che devasterebbero le famiglie, il settore industriale e produttivo dei singoli Stati.

TADF: Ascoltando il discorso di Ursula von der Leyen a Copenaghen dello scorso 30 agosto, dove ha fatto riferimento ad una crisi energetica derivante soprattutto dall’uso di combustibili fossili, sembrerebbe che l’Ue voglia sfruttare la crisi proprio per velocizzare la transizione verde. È dello stesso avviso? In tal caso, cosa rischia l’Italia sul piano industriale?

GT: Andremmo incontro ad un collasso totale del nostro mercato energetico, se si decidesse di perseguire la strada del green dinanzi alla crisi attuale. Senza l’uso dei combustibili fossili l’Unione europea non può esistere e sopravvivere.

Non a caso, lo stesso Elon Musk, uno dei massimi rappresentanti della corsa al green, ha fatto retromarcia dichiarando che carbone, gas e petrolio saranno fondamentali ancora per molti anni.

Tuttavia, l’Ue vede nella transizione verde una sorta di totem ideologico attorno a cui far ruotare una visione strategica di cui però non dispone. Pertanto, mi auguro che a Bruxelles abbiano un ripensamento spontaneo, che altrimenti avverrà per mano di economia e mercati, con conseguenze però ben peggiori.

Nelle braccia di Pechino

TADF: In Stati americani come Texas e Florida sembra che in molti stiano cominciando ad attaccare i meccanismi che comportano i disinvestimenti sulle fonti fossili. Ritiene che si stia ampliando un fronte di investitori e uomini di mercato pronto a ribellarsi attivamente al fanatismo ambientalista?

GT: Sì, perché il green collasserà in primis come ideologia. Esso si basa su principi cardine decisi antecedentemente alla pandemia, in un mondo ancora globalizzato, che permetteva l’acquisto a basso costo di materie prime ed energia da Asia e Russia.

Ad oggi, tutto questo non esiste più, dato che abbiamo appreso il cambiamento dell’economia globale in corso. Procedere verso il green velocemente ci spedirebbe dalle braccia di Mosca a quelle di Pechino, che si comporterebbe nello stesso modo ricattatorio che sta esercitando oggi il Cremlino nei nostri riguardi, in caso di profonda crisi diplomatica e geopolitica.

Pertanto, ritengo che sul tema della transizione ecologica ci sarà una retromarcia abbastanza clamorosa.

La divisione in due blocchi

TADF: È delle scorse ore un accordo tra Russia e Cina che prevede l’acquisto di gas tra le due nazioni, con pagamento effettuato tramite le rispettive monete nazionali. Crede che stia nascendo una stabile alleanza tra i due regimi nel campo economico ed energetico in chiave anti-occidentale?

GT: I due blocchi sono in via di formazione, sia pure non ancora pienamente definiti. Il blocco dell’Est farà sempre più affidamento su controllo di materie prime e logistica, al fine di porre in difficoltà l’Occidente, che dovrà necessariamente inglobare nella propria sfera di influenza Paesi produttori di materia prime, onde evitare di collassare sotto inflazione e carenza di energia.

Ad oggi, il blocco occidentale può far leva su Paesi grandi produttori di questi materiali, come Canada ed Australia, anche se non sono sufficienti: infatti, è necessario esercitare nuovamente una sfera di influenza verso l’Africa, che abbiamo lasciato nelle mani di Mosca e Pechino.

La notizia dell’accordo tra le due autocrazie evidenzia la distanza sempre più profonda tra i due blocchi. Anche in ragione di ciò, è senza senso continuare a criticare le sanzioni, auspicare l’avvio di nuovi gasdotti e una riappacificazione con il Cremlino, dato che i rapporti con Mosca saranno compromessi per molto tempo.

Dobbiamo concentrarci sull’avvio di un processo di totale re-industrializzazione dell’Europa, facendo leva anche su eventuali dazi e controllo di capitali. In un contesto in cui la liquidità scarseggia è fondamentale che essa resti nel nostro continente e non vada ad arricchire nazioni nemiche ed ostili.

Dal punto di vista fiscale i privati vanno incentivati e aiutati ad investire in Europa, concentrando il libero mercato all’interno dei Paesi del nostro blocco. In un contesto completamente diverso chiamiamo tutto ciò friendshoring, che è una parvenza di globalizzazione ristretta ad una zona di mondo: la nostra.

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