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La prima resa nel conflitto ucraino è quella tedesca: Ostpolitik rottamata, nella spazzatura eredità Merkel

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Germania rimessa in riga con l’ordine Nato. Ma c’è voluta una guerra. Molto difficile un ritorno al business as usual con Mosca, almeno finché c’è Putin. Nella spazzatura i 16 anni di Merkel. Berlino in pratica si è impegnata a fare ciò che Trump durante i quattro anni della sua presidenza gli aveva chiesto di fare. Sanzioni pesanti, ma Putin è tutt’altro che battuto

Mentre a Kiev, a Kharkiv, a Mariupol e in altre regioni dell’Ucraina si combatte, abbiamo già una prima resa ed è quella tedesca. Una prima importante battaglia è vinta. Come avevamo spiegato giorni fa su Atlantico Quotidiano, in gioco nel conflitto ucraino non c’è solo Kiev, ma anche Berlino (e l’Europa). Se infatti la dipendenza energetica della Germania e di altri Paesi europei, tra cui l’Italia, si dimostrasse tale da dover subire il ricatto di Mosca e assumere una posizione di fatto neutrale, questo significherebbe per gli Stati Uniti perdere non solo l’Ucraina, ma anche la Germania e con essa l’Europa continentale.

Ebbene, al momento questo scenario, se non del tutto scongiurato, si è quanto meno allontanato. Berlino ha dovuto piegarsi agli eventi, alla evidenza della minaccia russa (e all’emozione suscitata dalla resistenza ucraina), e rinnegare – almeno per il momento – quelle politiche che hanno portato la Germania, ma con essa l’Europa, sul baratro di una pericolosissima neutralità dovuta alla dipendenza dal gas russo. Un rischio che negli anni su Atlantico Quotidiano non ci siamo mai stancati di segnalare.

Se oggi la “svolta” tedesca viene salutata come uno sviluppo che ricompatta l’Occidente, significa che avevamo ragione a ritenere la questione tedesca, quella di una Germania “minaccia pacifista”, la grande questione europea e la principale fonte di stress nei rapporti transatlantici.

Intervenendo ieri al Bundestag il cancelliere Olaf Scholz ha smantellato in pochi minuti la Ostpolitik tedesca (e in particolare del suo partito, la SPD) dell’ultimo quarto di secolo. Il cancelliere ha delineato una nuova agenda di politica energetica per ridurre la dipendenza della principale economia europea dal gas russo. “Faremo di più per garantire un approvvigionamento energetico sicuro per il nostro Paese; dobbiamo cambiare strategia per superare la nostra dipendenza da singoli fornitori di energia”, ha detto Scholz ammettendo che i progetti “per eliminare gradualmente le centrali a carbone entro il 2030 e per chiudere le centrali nucleari” hanno lasciato la Germania “con poche scelte”. E ha quindi annunciato la “rapida” costruzione di due terminali di rigassificazione di gas liquido, a Brunsbuettel e Wilhelmshaven, e l’aumento del volume di gas negli impianti di stoccaggio di 2 miliardi di metri cubi, da acquistare sui mercati mondiali in coordinamento con l’Unione europea.

Non è chiaro se si debba considerare sospesa l’uscita dal nucleare e Scholz non ha citato espressamente il Nord Stream 2 nel discorso di ieri, ma nei giorni scorsi il cancelliere aveva annunciato la sospensione del processo di autorizzazione del gasdotto, annuncio a cui sono seguite le sanzioni Usa sulla società che lo gestisce e i suoi vertici. Il che, come osservavamo, rende difficile per Berlino sbloccarlo unilateralmente, senza il consenso di Washington.

In poche ore il governo tedesco ha anche superato la sua contrarietà a consegnare armi difensive all’Ucraina e ad escludere le banche russe dal sistema SWIFT. Sul fronte militare, un’altra decisione inedita: 100 miliardi di investimenti e il superamento di quota 2 per cento di Pil in spesa nella difesa, come da impegni assunti in sede Nato, finora disattesi da Berlino.

Insomma, a parole la svolta sulla sicurezza energetica e la difesa c’è, è innegabile. Dato il momento e la solennità dell’occasione, non sarà facile fare retromarcia. Sarà molto difficile per i tedeschi tornare al business as usual con Mosca, almeno finché al Cremlino ci sarà Vladimir Putin.

È la fine di un’epoca, un quarto di secolo, che coincide con i cancellierati di Gerhard Schroeder e Angela Merkel, la rottamazione della loro Ostpolitik, la rescissione di quei legami con la Russia di Putin che la cancelliera Merkel nei suoi 16 anni di governo si è testardamente impegnata a tessere, ora approfittando della distrazione delle amministrazioni Usa, ora sfidando apertamente la loro contrarietà (come con Trump). I giornali, i commentatori e gli “esperti” a vario titolo che fino a ieri la celebravano come la più grande statista europea, e oggi privi del minimo senso del pudore salutano la “svolta storica” di Berlino, dovrebbero essere coerenti e riconoscere i danni che la cancelliera ha causato all’Europa e ai rapporti transatlantici.

A rileggere con attenzione gli annunci di Scholz dei giorni scorsi (Nord Stream 2) e di ieri al Bundestag (rigassificatori, 2 per cento di spesa militare) sono esattamente le richieste che Donald Trump – come altre amministrazioni Usa, sebbene con minore senso di urgenza – aveva avanzato alla Merkel, ottenendo per tutta risposta i “nein” della cancelliera e le accuse al di qua e al di là dell’oceano di voler distruggere i rapporti transatlantici.

La Germania in pratica si è impegnata a fare ciò che Trump durante tutti i quattro anni della sua presidenza gli aveva chiesto di fare. A molti farà male ammetterlo, ma Trump aveva ragione, la Merkel torto. All’epoca erano tutti a fare le cheerleader della Merkel proprio mentre lei ostinatamente costruiva la dipendenza energetica della Germania, e dell’Ue, dalla Russia e apriva le porte dell’Europa alla penetrazione di Mosca. Oggi, c’è da scommettere, cadranno dal pero. Se guardiamo a quanto sta accadendo oggi in Ucraina, ci accorgiamo di quanto sia stato non solo un errore, ma una vera e propria follia da parte del governo tedesco incoraggiare e approvare il progetto Nord Stream 2 dopo che Putin aveva già messo in atto la sua prima aggressione contro l’Ucraina, annettendosi la Crimea e destabilizzando il Donbass, e da parte della cancelliera tedesca difenderlo fino all’ultimo giorno con tutte le sue forze.

Memorabile la reprimenda di Trump davanti al segretario generale della Nato Stoltenberg: si suppone che dovremmo difendere la Germania dalla Russia ma intanto Berlino paga a Mosca miliardi di dollari per il suo gas rendendosi dipendente (qui il video).

In foto la reazione della delegazione tedesca all’Onu mentre Trump afferma che la Germania sta diventando dipendente dalla Russia per le forniture energetiche (2018)

Qualcuno proverà ad argomentare che la svolta di Berlino è merito della linea morbida dell’amministrazione Biden. No, è merito di una “linea” ancora più dura di quella di Trump: la guerra alle porte dell’Europa. L’aggressione di Putin, ma anche ci pare l’emozione suscitata dalla resistenza degli ucraini e la tenacia del presidente Zelenski, hanno costretto Berlino alla resa. Se Kiev fosse caduta in poche ore, probabilmente non staremmo qui a parlare di “svolta” tedesca, la pressione su Berlino non sarebbe arrivata al punto di cedimento.

Tutti davano l’Ucraina per persa in pochi giorni. L’intelligence Usa, che alla prova dei fatti aveva fornito informazioni esatte sugli spostamenti di truppe e sulle intenzioni del Cremlino, si aspettava che la Russia avrebbe preso Kiev entro questo weekend. Lo stesso Putin probabilmente pensava di prenderla col minimo sforzo e che a questo punto Zelenski se la fosse già svignata. Per Washington quindi si trattava di massimizzare i costi per Mosca, economici e politici, cercando di tagliare il più possibile la pericolosa relazione energetica tra Europa, in particolare Germania, e Russia. La resistenza di Kiev ha responsabilizzato l’Occidente, inducendolo ad adottare sanzioni molto pesanti, e in particolare Berlino, inducendola alla svolta di ieri.

Tutto questo però non assolve l’amministrazione Biden per i suoi errori – almeno tre. Dall’ultimo in ordine di tempo, l’esclusione di un intervento armato diretto per difendere Kiev, che è suonato come un via libera a Mosca, la disastrosa uscita dall’Afghanistan, che ha provato a Russia e Cina la volontà Usa di uscire in gran fretta dalle aree ritenute non strategiche, ma soprattutto la scelta, maturata nella scorsa primavera e ufficializzata a luglio, di non sanzionare Nord Stream 2, come segnale di apertura a Berlino, dando di fatto via libera al completamento del gasdotto.

Con il completamento e la possibile entrata in funzione del Nord Stream 2, infatti, l’Ucraina, attraversata da tre gasdotti, diventava strategica.

Quando a inizio autunno la Russia ha cominciato a far fluire con il contagocce il suo gas verso l’Europa, come strumento di pressione per ottenere l’apertura del Nord Stream 2, e allo stesso tempo continuava ad ammassare truppe al confine con l’Ucraina, il pericolo è apparso imminente: controllando l’Ucraina, presto o tardi Putin avrebbe costretto Berlino e Ue ad aprire Nord Stream 2. Con Nord Stream 2 aperto e i gasdotti ucraini sotto controllo, avrebbe avuto le chiavi della sicurezza energetica europea, per garantirsi la sua neutralità. Per gli Stati Uniti avrebbe significato perdere Germania ed Europa.

Oggi la certificazione è sospesa e la pipeline sotto sanzioni Usa, che rendono meno facile (ma non impossibile) forzarne l’apertura ricorrendo ad una interruzione dei gasdotti ucraini. Ma se la questione non è ancora del tutto chiusa è anche a causa di quella scelta di Biden che ha permesso di completarne la costruzione. C’è differenza, infatti, tra un’opera ancora da completare e un gasdotto bell’e pronto, ma vuoto, che giace inutilizzato in fondo al mare. Berlino dovrebbe rinunciarvi. Anzi, il gasdotto dovrebbe essere fatto brillare.

Posta di fronte all’alternativa delineata da Musso su Atlantico Quotidiano, Berlino sembra aver scelto “l’ordine Nato” alla sua trasformazione in “Grande Svizzera”, un gigante neutrale tra Occidente e Russia. Imposto uno “stato di guerra economica permanente con la Russia”, spiegava Musso, in Europa finisce l’ordine Ue a guida tedesca e torna l’ordine Nato a guida anglosassone, come durante la Guerra Fredda. Non più l’Europa di oggi destabilizzata dalle politiche di Berlino, ma un’Europa riarmata e diretta dalla Nato, “pacifica e ben funzionante”, nelle parole di Kaplan. Ma questa sicurezza avrà un prezzo: la forte limitazione dei commerci con la Russia, in particolare delle forniture energetiche (con la rinuncia a Nord Stream 2), ma anche una politica economica espansiva, che i tedeschi hanno sempre contrastato.

Putin dovrebbe aver compreso a questo punto di essere stato scaricato da Berlino, su cui puntava (insieme all’Italia) per dividere l’Occidente nella risposta alla sua aggressione. È il momento più pericoloso per Kiev (e non solo probabilmente…).

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